Autonomia e riorganizzazione rete scolastica

LE CONTRADDIZIONI DELLA POLITICA TRA AUTONOMIA E RIORGANIZZAZIONE DELLA RETE SCOLASTICA

di Gian Carlo Sacchi

Due ministri dello stesso partito, uno sta cercando di decentrare i poteri alle regioni (Calderoli), tra i quali non potranno non rafforzarsi quelli di programmazione della rete scolastica, l’altro (Valditara) è difensore di un provvedimento introdotto nell’ultima legge di bilancio nella quale viene avocata allo stato l’autorizzazione delle scuole autonome secondo il numero degli studenti, lasciando alle regioni solo scelte all’interno del territorio.

I due interventi non hanno gli stessi tempi, ma ci si sarebbe aspettato andassero nella stessa direzione, invece mentre l’uno asseconda le necessità del risparmio statale, l’altro, nell’ottica del regionalismo differenziato, ancora da approvare, parrebbe orientato ad attribuire alle regioni ulteriori competenze con i relativi finanziamenti, secondo quanto sarà derivato dal federalismo fiscale.

La rete scolastica è forse il tema principale in cui si consumano le incertezze politiche nei rapporti tra centro e periferia, in quanto fin dall’attribuzione della personalità giuridica alle scuole fu trasferita alle regioni la competenza nella programmazione territoriale, mentre l’assegnazione delle risorse finanziarie e di personale sono rimaste allo stato. Anche le scuole autonome avrebbero dovuto dire la loro nei provvedimenti di modifica della rete stessa, ma nonostante la Costituzione facesse salva la considerazione dellaloro autonomia, furono estromesse dalle iniziative di riorganizzazione avvenute nel corso degli anni ed assistettero loro malgrado a provvedimenti emanati dall’amministrazione che non tenevano conto ne della coerenza tra gli indirizzi, ne dell’aggregazione dei plessi in base alle esigenze del territorio.

Questa diarchia fin dall’inizio provocò proteste da parte delle regioni e pronunciamenti della Corte Costituzionale finirono per accettare la reclamata competenza regionale ad esempio nell’assegnazione del personale, ma le sentenze non furono applicate da parte dello stato, ed il contenzioso continuò con successo nell’ambito di ricorsi ai TAR da parte di genitori e comuni circa l’autorizzazione delle classi. 

La chiusura netta da parte del ministero circa l’applicazione delle “competenze concorrenti”, peraltro sancite dalla riforma costituzionale del titolo quinto, ha mosso le regioni a statuto ordinario a richiedere il regionalismo differenziato per dare maggiore efficienza all’organizzazione del sistema, sull’onda dell’autonomia già presente in quelle a statuto speciale.

Oggi come allora nello stesso governo di centro-destra si riapre il processo legislativo, in vista della conclusione del decentramento delle competenze , quello cioè relativo all’assegnazione del personale ed al finanziamento, che dovrebbe conferire maggiore spazio di manovra nell’organizzazione del servizio da parte delle autonomie territoriali e scolastiche. Cambiando cioè le modalità di calcolo delle risorse ci potrebbe essere un’offerta più aderente alle esigenze dei territori, magari sviluppando maggiore qualità e perequazione. 

Diverso se, come prevede la finanziaria, il sistema deve seguire il calo degli alunni, la conseguente diminuzione delle dirigenze e quindi la riaggregazione dei plessi di tutti i gradi scolastici, obbedendo a logiche di risparmio e non di reinvestimento che si avrebbe sicuramente mantenendo gli attuali numeri, ad esempio quelli assicurati dal governo Draghi, che andrebbero a beneficio della qualità, dell’equità e di una maggiore flessibilità per potersi accompagnare alle modifiche dei comuni e di altre strutture locali.

Volendo operare un ridimensionamento del sistema su tutto il territorio nazionale, addirittura in un ottica pluriennale, sulla base di stime demografiche, che sappiamo bene non corrispondere al reale movimento della popolazione, non si poteva che mettere in azione un ulteriore contenzioso, ed anche se nella legge è previsto un piccolo coefficiente di compensazione regionale, si è persa un’occasione storica per dare risposte a quelle zone disagiate sul piano territoriale e sociale che della scuola hanno bisogno per la vita della comunità stessa.

Benchè si riaffermi in tutte le occasioni il ruolo della scuola come presidio culturale, come centro civico, e si indichi la plurifunzionalità tra i criteri per le nuove architetture, i parametri dettati dalla burocrazia economica continuano ad essere prevalenti, senza che si possa intervenire per modificare il modo di procedere che non necessariamente, sull’onda di una maggioreautonomia locale, comporterebbe un impegno più oneroso per lo stato, perché si tratterebbe di chiamare il territorio stesso a contribuire, se davvero il servizio fosse una componente ritenuta indispensabile dalla comunità.  

Cosa dirà la Corte Costituzionale questa volta, visti i precedenti ? C’è sicuramente un problema di numeri, che toglie le classi piccole, ma non riduce quelle grandi e concentra le scuole nelle aree urbane, di cui conosciamo le difficoltà e che la pandemia ci ha segnalato la pericolosità, ma quello che conta sono le competenze regionali che di nuovo vengono messe in discussione, mentre un’altra legge dello stesso governo dice di voler ampliare. Agli inizi del secolo questo problema vide in lotta due schieramenti politici opposti, ora il tutto si svolge all’interno dello stesso partito: e a rimetterci è sempre la scuola.

La mancata applicazione dell’ art. 117 della Costituzione ha messo in sofferenza il centralismo ministeriale di fronte ad evidenti disservizi che si sarebbero potuti attenuare o eliminare con una gestione più decentrata, ma quello che più ha nuociuto al sistema è stata la disequità delle condizioni sociali ed economiche delle diverse aree del nostro paese che spesso si accompagnavano ai fallimenti scolastici ed ai fenomeni di abbandono, che la rigidità delle disposizioni nazionali non consentiva di intervenire adeguatamente rispetto alle domande locali.

La proposta di legge del ministro Calderoli dice di voler rispettare i principi di unità giuridica ed economica, di indivisibilità del paese, in attuazione del decentramento amministrativo, che forse verrà completato ? L’attribuzione di funzioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia è consentita subordinatamente alla determinazione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, come prevede la stessa Costituzione. Tali livelli servono a favorire un’equa ed efficiente allocazione delle risorse e il pieno superamento dei divari territoriali, in risposta alle richieste soprattutto del sud d’Italia, ma che devono guardare anche alle aree interne, alle isole e ad altre realtà territorialmente disagiate.

La procedura indicata è assai complessa, vuole coinvolgere tutti i soggetti istituzionali e la maggiore autonomia viene sancita attraverso un’intesa sottoscritta dal presidente del consiglio dei ministri e dalla regione richiedente. Per chi non entra a far parte delle intese è garantita comunque l’invarianza finanziaria, quella decisa dai predetti livelli essenziali. Sono questi ultimi infatti a richiedere  risorse perequative, come previsto dall’art 119 della Costituzione.

Sono le singole regioni ad avanzare le richieste di maggiore autonomia. Ormai quasi tutte si sono mosse con pronunciamenti più o meno ufficiali e forse solo Veneto e Lombardia hanno pensato ad un trasferimento del sistema scolastico, tenuto conto anche del fatto che in base alla legge Moratti del 2003 entrambe avevano già ipotizzato un intervento sul curricolo locale, mentre ad esempio l’Emilia Romagna aveva demandato tali poteri alle autonomie scolastiche; nessuna delle altre vorrebbe avere tale competenza in via esclusiva. Quindi l’ordinamento generale della scuola potrebbe essere contenuto nelle norme generali che la Costituzione attribuisce allo Stato, ma quasi tutte le regioni si dichiarano interessate ad intervenire sull’istruzione tecnica e professionale, al fine di stabilire un raccordo con il sistema produttivo territoriale e l’apposito canale formativo regionale.

E’ facile pensare che rimanga una scuola statale su tutto il territorio nazionale per quanto riguarda il ciclo di base ed una componente unitaria del secondo ciclo, mentre una maggiore flessibilità è richiesta per gli indirizzi della scuola superiore,  per un collegamento più efficace con l’istruzione terziaria accademica e non. Detto questo però bisogna pensare ad un decentramento della gestione, già iniziata nel 1998 e proseguita con il federalismo fiscale, che ancora però rimane sospesa, procurando disservizi per l’utenza e disagi per il personale. Per quest’ultimo infatti, pur mantenendo un contratto nazionale, si potrebbe pensare ad una dipendenza funzionale dalle regioni, come aveva già sentenziato la Corte Costituzionale nel 2004 per quanto riguardava l’assegnazione, le quali, come avviene nelle province autonome, dovrebbero poter applicare meccanismi incentivanti, previa contrattazione, in base alle esigenze del territorio, compreso il caro vita. Così come, una volta soddisfatti i predetti livelli essenziali, si dovrebbero consentire maggiori investimenti finanziari da parte degli enti territoriali.

Come si vede si può mantenere il sistema unitario rendendolo più flessibile e adatto a soddisfare le esigenze locali; una maggiore autonomia sarebbe utile a tutti, soprattutto a coloro che si trovano in difficoltà se motivati a migliorare la loro situazione, con adeguate garanzie perequative.

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