La responsabilità dei genitori in educando

La responsabilità dei genitori in educando

di Anna Armone

La tematica è correlata ai casi di danni causati da alunni durante la permanenza a scuola e, in generale, durante le attività didattiche. La tutela del danneggiato parte dalla richiesta di risarcimento del danno all’istituzione scolastica che chiama in causa la società assicuratrice. Ma la storia non finisce qui. L’insoddisfazione della famiglia del danneggiato può portare alla chiamata in causa dell’amministrazione scolastica e, qualora si ritenga che il fatto dannoso trovi la propria origine anche in una carenza educativa del danneggiante, anche dei genitori di quest’ultimo, per responsabilità in educando.

Gli articoli 2047 e 2048 del codice civile

Accanto al sistema della responsabilità civile basato sulla colpa dell’autore dell’illecito sono previste ipotesi in cui l’attribuzione della responsabilità avviene in base a regole diverse (art. 2047 – 2054 c.c.).In particolare, nell’ipotesi del danno cagionato da persona incapace di intendere e di volere la responsabilità del fatto dannoso ricade su persona diversa da quella che lo ha commesso materialmente (art. 2047 c.c.) mentre nell’ipotesi del fatto illecito commesso da un minorenne la responsabilità è attribuita anche ai genitori(art. 2048).

La prima distinzione da fare, dunque, riguarda lo status del minore. Quando il danneggiante è persona incapace d’intendere e di volere, ai sensi dell’art. 2047 c.c., colui che era tenuto alla sorveglianza o vigilanza rimane obbligato per responsabilità diretta, propria, poiché l’obbligo deriva dalla omissione di vigilanza. Esso non nasce, dunque, da una colpa dell’agente (incapace), perché il danno subito ad per opera di persona che non abbia capacità d’ intendere e di volere si traduce sostanzialmente in un caso fortuito, ma il fatto deriva dall’essere stato reso possibile con la omessa sorveglianza. Rimane obbligato colui che aveva dovere di sorveglianza, ed è tenuto ad un completo risarcimento su di una base equitativa, a meno che non abbia potuto impedire il fatto o non possa risarcire il danno.

Viceversa, nei casi di cui all’art. 2048 presupposto è la capacità d’intendere e di volere del minore, e la responsabilità per il fatto dannoso deriva dal concorso di due responsabilità distinte, per quanto concorrenti. Responsabile principale (per dolo, o colpa) è il minore, e con esso son tenuti i genitori, o il tutore, o il precettore, o il maestro di mestiere e di arte per responsabilità indiretta. In conclusione, nell’art. 2048 si tratta di situazioni che afferiscono all’incapacità di agire, non all’incapacità giuridica.

La giurisprudenza è pragmaticamente orientata ad attribuire alle disposizioni di cui agli articoli 2047 e 2048 c.c. il compito di garantire il più possibile la risarcibilità del danno cagionato ingiustamente da soggetti incapaci o comunque minori di età. In alcune decisioni il confine tra colpa e responsabilità oggettiva appare molto sfumato, evidentemente per non lasciare ingiustificatamente privi di copertura risarcitoria eventi dannosi che altrimenti sfuggirebbero al sistema della responsabilità civile. Tuttavia, si può affermare che la giurisprudenza interpreta certamente come fondato sulla colpa del sorvegliante e del genitore il criterio di imputazione della responsabilità nelle situazioni cui fanno riferimento l’art. 2047 e l’art. 2048 del codice civile.

Nel sistema dell’istruzione, se è vero che i docenti rispondono per eventuali danni cagionati agli studenti qualora si accerti la loro culpa in vigilando, anche i genitori possono essere chiamati in causa e rispondere degli stessi fatti per culpa in educando. Dunque, la responsabilità del docente e quella del genitore non sono alternative e possono essere tirate in ballo entrambe per uno stesso episodio. Insomma, l’eventuale culpa in vigilando di un insegnante non esclude la culpa in educando del genitore, in quanto il primo deve sorvegliare gli alunni in modo adeguato, prendendo tutte le misure atte a evitare una situazione di pericolo; ma è responsabilità del secondo impartire al minore l’educazione adeguata a scongiurare comportamenti illeciti o causa di rischio per il proprio figlio o per i suoi compagni.

I genitori, pertanto,  sono coinvolti, ai sensi dell’art. 2048 c.c., in due tipi di responsabilità per i fatti illeciti dei minori che abbiano la capacità di intendere e di volere: la “culpa in educando” a carico dei genitori che non abbiano impartito al figlio una adeguata educazione così come previsto dall’art. 147 c.c. e la “culpa in vigilando” a carico dei genitori, dei precettori e dei maestri d’arte che sono liberati dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.

Il primo comma dell’art. 2048 si incentra sulla figura dei genitori (in solido) nei confronti dei figli minori non emancipati e/o del tutore nei confronti delle persone soggette alla tutela.

I presupposti affinché sussista la responsabilità sono:

• la convivenza con l’autore dell’illecito

• la mancata educazione impartita ai figli, così come prevede l’art. 147 c.c. in tema di doveri verso i figli ed ai sensi dell’art. 30 Cost.

L’ultimo comma disciplina la prova liberatoria in capo a chi ne risponde. Nella fattispecie, è previsto che chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, il padre e la madre, in solido hanno la possibilità di liberarsi dalla suddetta responsabilità solo nel caso in cui dimostrino di “non aver potuto impedire il fatto”.

I genitori avranno l’onere di dimostrare il tipo di educazione che hanno impartito al minore, che deve essere idonea, seguendo i dettami del “buon padre di famiglia” e, tale, per cui, il figlio sia stato in grado di sapersi relazionare in maniera diligente e seguendo le regole di una corretta convivenza civile; e, altresì, dimostrare di aver vigilato correttamente sullo stesso.

Nel caso si dovessero ravvisare tutti gli elementi in grado di identificare quel fatto come illecito, in capo ai genitori ricadrà una responsabilità diretta, la cui prova liberatoria assumerà i connotati della c.d. “probatio diabolica”, con minor riguardo nei confronti del ragazzo (Cassazione civile, sez. III, sentenza 19.02.2014 n° 3964.

 

Il ruolo genitoriale in educando

Nel processo educativo l’ordinamento stesso si è dato dei limitinon superabili, proprio per non interferire nell’autonomia familiare nella gestione della relazione educativa con i propri figli.In questo spazio gestito dai genitori prevale l’aspetto morale e sociale su quello regolato normativamente. Ma, nonostante ciò, però, l’obbligo educativo rimane e comporta conseguenze sulla responsabilità genitoriale, tra le quali rientra la responsabilità risarcitoria rispetto ai terzi danneggiati dalla condotta del minore.

Il dovere educativo consiste nell’impartire principi e regole di comportamento finalizzati allo sviluppo armonico della persona per il suo migliore inserimento nella società, a beneficio, dunque, anche di quest’ultima.   A differenza della potestà, la responsabilità, così come l’obbligo di mantenimento, non cessa, secondo l’opinione più diffusa, automaticamente con il raggiungimento della maggiore età. Contestualmente bisognaconsiderare il trend oramai inarrestabile della crescita anticipata dei minori e della loro autonomia. Vengono definiti “grandi minori” proprio per indicare questa nuova dimensione dei ragazzi agita fuori dal controllo dei genitori. Tutto ciò incide sulla determinazione del contenuto dell’obbligo educativo e della correlata responsabilità.

 

Prova liberatoria di responsabilità

La presunzione di responsabilità per i genitori è iuris tantum, per cui la prova liberatoria consiste nel non avere potuto impedire il fatto. 

Nel tempo in cui il minore si trova affidato al precettore od a colui che gli insegna un’arte od un mestiere, i genitori, od il tutore, sono legittimamente esonerati dall’obbligo della vigilanza, sostituendosi ad essi il precettore od il maestro d’arte. Responsabilità solidale potrà sorgere solo se il fatto illecito del minore sia imputabile ad entrambi, come se il genitore, tenendo incustodita in casa un’arma, non abbia saputo evitare che il figlio minore se ne impossessi nell’atto di uscire in strada, ed il precettore o maestro non abbia saputo impedire l’uso di questa, causativo di danno al terzo, mentre l’allievo si trovava con lui. È ovvio che se il fatto del minore non si collega all’ insegnamento, ma derivi da mala educazione, risponderà il genitore; se connesso all’ insegnamento, il maestro.

La giurisprudenza si è mostrata molto restrittiva per la “culpa in educando”, ammettendo il raggiungimento della dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto. Ciò, anche perché la Cassazione ha finito per richiedere ai genitori la prova positiva di aver impartito una sana e adeguata educazione. Di conseguenza la prova liberatoria è divenuta sempre più difficile al punto d trasformare la responsabilità da colposa a quasi oggettiva.
Infatti, nelle sentenze in materia è stata sempre più tralasciata una concreta indagine sulla effettiva colpevolezza dei genitori, dando maggiore spazio alle “modalità” del fatto illecito; molto spesso sulla base di documentazioni raccolte in un giudizio penale che costituiscono “prove atipiche” ed hanno valore di indizi semplici.Da più di un decennio, però, sempre la Suprema Corte (Sez. 3, 6/12/2011 n. 26200) sembra mostrare una attenzione nuova: enuncia infatti il principio che va imputata ai genitori la responsabilità degli “illeciti dei figli minori riconducibili ad una obiettiva carenza dell’ attività educativa”. 

Prove queste che vanno costruite con le testimonianze di persone che abbiano conosciuto la famiglia e il minore, con i precedenti dello stesso e con le di lui frequentazioni.

D’altra parte, anche le sentenze più restrittive avevano, comunque, enunciato che la valutazione delle modalità vanno sempre confrontate con le prove raccolte nel giudizio per verificare se siano in contrasto con le risultanze processuali.

In tema di responsabilità dei genitori per i danni cagionati dall’illecito del figlio minore, ove manchi, da parte dei primi, la prova liberatoria di non aver potuto impedire il comportamento dannoso – e cioè la dimostrazione di avere impartito al minore l’educazione e l’istruzione consone alle proprie condizioni familiari e sociali e di avere vigilato sulla sua condotta, così da non potersi configurare a loro carico una “culpa in educando” o “in vigilando” – i genitori medesimi sono obbligati a risarcire i detti danni nella stessa misura con cui tale obbligazione graverebbe sull’autore materiale dell’illecito e, quindi, in caso sussistano le condizioni, anche a risarcimento dei danni non patrimoniali.

Con riferimento alla regolazione dei rispettivi comportamenti, la scuola e la famiglia devono trovare nell’ambito del patto di corresponsabilità educativa il luogo in cui impegnarsi nell’azione educativa. Tale regolazione costituisce, quantomeno, prova dell’impegno reciproco finalizzato ad evitare situazioni causative di danno tra gli alunni.

Dal punto di vista della natura dell’obbligazione risarcitoria, in caso di concorso di responsabilità tra istituzione scolastica e genitori, la responsabilità è “solidale”, ossia il danneggiato può rivolgersi a ciascuno dei responsabili e pretendere l’intero risarcimento anche da uno solo di essi.

Ecco, dunque, l’opportunità, se non necessità, per le famiglie di stipulare una polizza assicurativa per la responsabilità civile. Ciò perché nel caso di pagamento del risarcimento in toto da parte dell’amministrazione, la famiglia si troverebbe a subire un’azione di regresso per la percentuale di responsabilità riconosciuta da giudice a suo carico.