Sulla via di Piero Romei

Sulla via di Piero Romei

di Francesco Scoppetta

 Sul  prof.  Piero  Romei,  che  insegnava  Teoria  delle  organizzazioni  complesse  all’Università  di  Bologna  ed  è  scomparso  nel  2006,  esiste  sul  web  il  commovente  ricordo  scritto  allora  da  Nicola  Casaburi.  In  tanti  anni  resto  sorpreso  come  di  lui  non  mi  sia  stato  possibile  rintracciare  ancora  una  biografia,  per  esempio  non  conosco  neppure  la  sua  data  di  nascita  (neppure  nei  libri  è  riportata).  Adesso  tenterò  di  ricordare  l’importanza  dei  suoi  studi  per  noi  presidi,  dal  momento  che  lo  conobbi  la  prima  volta  quando  il  Ministero  ci propose una sua conferenza televisiva.

 Mi  colpì  tanto  il  suo  discorso  sulla  “organizzazione”  che  comprai  tutti  i  suoi  libri  e,  nel  mio  piccolo,  cercai  di  realizzare  nell’istituto  per  ragionieri  che  dirigevo  in  Calabria  le  sue  acute  indicazioni.  Non  l’ho  mai  incontrato,  so  che  esiste  un’  associazione  culturale  da  lui  fondata  nel  1998,  OD,  e  dunque  resto  solo  un  piccolo  testimone  di  quel  che  ha  prodotto  il  suo  insegnamento  nella  scuola  militante,  pur  essendo  egli  scomparso  troppo  presto.  In  suo  onore  coniai,  nel

 1995,  il  motto  per  la  scuola  che  dirigevo:  Persone  prima  che  studenti  ( Persone oltre         le cose della       Conad è venuto ben dopo) .

 Il  filosofo  Maurizio  Ferraris  in  un  articolo  sul  Corriere  (sett.  2023)  ci  ha  ricordato  qualcosa  che  forse  secondo  me  è  la  premessa  necessaria  per  comprendere  l’approccio  di  Romei  alla  questione  “scuola  dell’individualismo”.  Eccola:  “  I  conservatori,  spesso,  sanno  fin  troppo  bene  quanto  l’umano  sia  debole,  difettoso,  malvagio  e  limitato.  Sanno  quanta  fatica  la  società,  e  la  tecnica  che  ne  è  una  parte  o  meglio  la  precondizione  (perché  il  mondo  sociale  è  un  mondo  tecnologico,  inizia  con  la  scoperta  del  fuoco  e  con  i  racconti  intorno  ai  bivacchi),  debbano  spendere  per  trasformare  questa  creatura  egoista  in  un  essere  capace  di  convivere  con  i  propri  simili  e  con  il  mondo  circostante.  Sanno,  soprattutto,  che  lo  sforzo  non  è  mai  pienamente  coronato  da  successo (…)   sanno,  insomma,  che  l’appellativo  «homo  sapiens»  è  l’emblema  di  cartapesta  con  cui  si  è  auto-incoronata  una  specie  che  si  definisce  «sapiente»  solo  per  distinguersi  dai Neanderthaliani che ha fatto fuori insieme a tante altre forme di vita”.

 La  premessa  culturale  del  discorso  di  Romei  è  stata  che  anche  un  insegnante  (homo  sapiens  per  definizione)  va  trasformato  da  creatura  egoista  in  un  essere  capace  di  lavorare  insieme  con  i  colleghi  assumendo  la  logica  del  compito  unitario .  In  Italia  è  stato  lui  (sin  dal  1986,  ma  nel  1999  il  suo  “ Guarire  dal  mal  di  scuola ”,  La  nuova  Italia  ed.,  rappresenta  il  punto  più  alto)  a  proporre  una  lettura  organizzativa  delle  scuole  che  potesse  avere  un’  efficace  ricaduta  pratica.  Egli  ha  affrontato  l’aspetto  fondamentale  del  lavoro  scolastico,  per  ri-costruire  un  equilibrio  nel “  dilemma  tra  Individuo/libertà  ~ Organizzazione/regole  ”.

 La  qualità  formativa  delle  scuole  risente  della  organizzazione  «segmentaria»  o  «a  sommatoria  di  docenti»,  in  cui  ogni  unità-docente  svolge  isolatamente  tutte  le  funzioni  del  sistema  e  in  cui  non  esiste  un  curricolo  di  scuola,  ma  tanti  curricoli  quanti  sono  i docenti  .  Tale  modello  organizzativo  produce  un  duplice disagio:   scarica  sugli  studenti  il  compito  di  integrare  la  frammentazione  delle  azioni  formative  e  di  trovare  un  senso  organico  nella  molteplicità  di  proposte,  metodi,  stili;  e  lascia  i  singoli  insegnanti  soli  di  fronte  alla complessità   dei  problemi  didattici  ed  educativi.  Per lui   l’individualismo  non  è  colpa  dei  docenti:  «Resta  il  fatto  che  il  modello  individualistico  è  stato  interiorizzato  così  profondamente  da  assumere  un’aura  di  indiscutibilità e   una  forza  di  inerzia  quasi  invincibile».  «Mentre  la  tendenza  all’individualismo  è  naturale e   corrisponde  all’ansia  di  libertà  di  ciascuno,  la  collegialità  è il   prodotto  di  un  processo  culturale,  deliberato,  esplicito,  intenzionale  di  scelta  di  mettersi  al  servizio  di  un  compito  rispetto  al  quale  si riconosce la propria non autosufficienza ».

L’individualismo  ,  spiegava,  è  un  atteggiamento  difensivo  che  va  capito,  però  non  può  esistere  un  bravo  insegnante  che  lo  sia.  «Ho  imparato»  diceva  don  Milani  «che  il  problema  degli  altri  è  uguale  al  mio.  Sortirne  tutti  insieme  è politica. Sortirne da soli è avarizia ».

 Nella  scuola  italiana  a  mio  parere  forse  ci  sono  due  periodi,  il  prima  e  il  dopo  Romei .  Di  solito  questa  organizzazione  la  si  guarda  dal  basso,  attraverso  la  visuale  del  singolo  che  vi  opera  dentro;  oppure  la  si  osserva  dalla  luna.  Dall’alto  si  osservano  le  connessioni  tra  scuola  ed  altre  istituzioni  o  tra  scuole  di  paesi  diversi,  però  sfuggono  i  particolari  e  i  dettagli  importanti.  Romei  invece  guarda  alla  scuola  dall’altezza  giusta  per  farci  capire  come  l’organizzazione  sia  un  artificio  umano  necessario .  Riportando  l’esempio  della  paradossale  partita  di  calcio  descritta  da  J.  March,  che  Weick  (1976) riprende, costruisce il paradigma dell’«organizzazione a legami deboli».

 Immaginate  di  essere  arbitro,  allenatore,  giocatore  o  spettatore  di  una  singolare  partita  di  calcio:  il  campo  ha  forma  circolare,  le  porte  sono  più  di  due  e  sono  sparse  disordinatamente  lungo  i  bordi  del  campo.  I  partecipanti  possono  entrare  ed  uscire  dal  campo  a  piacere;  possono  dire  «ho  fatto  goal»  per  quanto  vogliono,  in  ogni  momento  e  per  quante  volte  vogliono.  Tutta  la  partita  si  svolge  su  un  terreno  inclinato  e  viene giocata come se avesse senso.

 Non  esiste ( o  magari  io  me  la  sono  persa)  una  descrizione  migliore  e  più  realistica  delle  organizzazioni  scolastiche,  dove  l’arbitro ( il  preside),  gli  allenatori  (gli  insegnanti),  i  giocatori  (gli  studenti),  gli  spettatori  (i  genitori),  partecipano  ad  una  partita  di  calcio ( attività  scolastica)  senza senso  .  Una  partita  per  giunta  giocata  con  un  pallone  sgonfio ,  per  cui  le  migliori  intenzioni  malgrado  gli  sforzi  individuali  non  riescono  ad  imprimere  al  tiro  traiettorie  precise  e  lunghe.  Tutto,  eventi,  processi,  comportamenti  degli  attori,  si  svolge  senza  che  si  colga  una  trama,  secondo  una  totale  arbitrarietà  e  casualità.  Le  scuole  pertanto  sono  «non-luoghi»  (Augè)  come  le  piazze,  gli  atri  delle stazioni ferroviarie, le sale d’aspetto, gente che va gente che viene. Estranei.

 Romei  con  tutti  quelli  che  ha  influenzato  e  guidato  attraverso  le  sue  analisi,  ha  tentato  di  far  diventare  questo  “non-luogo”  una  scuola  riconoscibile,  organizzando  questa  realtà,  cioè  «stabilendo  una  trama  capace  di  descriverla,  interpretarla,  prevederla,  per  poi  magari  tentare  di  influenzarla  e  indirizzarla  –  di  gestirla  –  intervenendo  in  essa  per strutturarla deliberatamente ed intenzionalmente» .

 Se  la  scuola  fosse  come  un’automobile,  ogni  sua  parte  o  componente  contribuirebbe  al  buon  funzionamento  e  attraverso  una  visione  d’insieme  si  potrebbe  capire  il  meccanismo.  L’auto,  Romei  ne  è  ben  consapevole,  non  si  guida  da  sola,  occorre  un  conducente  che  sia  in  grado  di  farlo,  ma  non  è  che  l’unico  problema  siano  i  soldi  per  comprare  la  benzina.  Soltanto  un  meccanico  che  sappia  come  funziona  la  macchina  è  in  grado  di  individuare  bene  i  problemi  per  tentare  di  risolverli,  magari  ricorrendo  agli  strumenti  di  una indispensabile cassetta degli attrezzi.

 Però,  ecco  il  punto,  a  differenza  di  un’auto  dove  ogni  parte  assolve  necessariamente  ad  una  funzione  ben  precisa,  ogni  scuola,  essendo  una  organizzazione  complessa  a  «legami  deboli»,  consente  alle  diverse  figure  organizzative  presenti  all’interno,  non  subordinate  gerarchicamente  ma  finalizzate  a  scopi  comuni,  di  autodefinire  a  livello  personale  i  propri  compiti  e  doveri. I   legami sono  laschi,   perché le  varie  relazioni  presenti  ( dirigente-docente; docente-alunni;  docente-genitori;   docenti-personale  Ata…)  non  sono  regolate,  oppure  lo  sono  così tanto  come   in  Italia  che  ogni  soggetto

 «interpreta»  il  ruolo  secondo l’umore   del  momento.  Ognuno  appare  all’interlocutore  come  un  muro  di  gomma ,  ciascuno  non  si  comporta  come  deve  ma  come  se  facesse  un  «favore»  all’altro.  L’alunno  studia  per  compiacere  i  genitori  o  un  professore  che  gli  è  simpatico;  un  docente  è  puntuale  per  compiacere  il  preside;  il  preside  autorizza  un  giorno  di  ferie  per  compiacere  un  docente  e  così  via.  Per  capire  bene  il  concetto  di  legame  «debole»  che  esiste  per  esempio  tra  dirigente  e  docente,  basta  pensare  al  rapporto  che  si  crea  nella  nostra  democrazia  rappresentativa  tra  elettore  ed  eletto.  Quest’ultimo  svolge  il  suo  ruolo  come  vuole  senza  vincolo  di  mandato  e senza sentirsi per nulla influenzato da chi gli ha dato il voto.

 Per  quanto  mi  riguarda  è  stato  decisivo  un  ragionamento  che  Romei  ha  sviluppato  a  partire  dall’affermazione  che  le  materie  separano  i  docenti .  Con  questa  sua  osservazione  finalmente  mi  è  stato  chiaro  il  senso  di  frustrazione  che  tutti  abbiamo  provato,  docenti  o  dirigenti,  in  un  consiglio  di  classe  allorchè  si  apre  il  confronto  su  ogni  singolo  allievo ( e  per  ogni  disciplina  gli  si  attribuisce  un  voto).  A  seconda  della  materia  che  viene  insegnata  i  giudizi  sullo  stesso  allievo  divergono  a  tal  punto  da  essere  talvolta  inconciliabili:  “genio”  o  “asino”.  La  parabola  dei  sei  ciechi  che  toccavano  un  elefante  è  troppo  nota  per  ripeterla,  ma  essa  spiega  bene  la  dinamica  presente  nel  confronto  tra  insegnanti  di  materie  diverse  che  “valutano”  lo  stesso  allievo.  Romei  allora  propone  di  saper  distinguere  ciò  che  è  “ disciplinare”  da  ciò  che  non  lo  è,  perchè  “ in  classe  succedono  molte  più  cose  di  quante  possano essere viste e controllate dagli insegnanti ”.

 Quindi  nel  consiglio  di  classe  egli  propone  che  il  confronto  avvenga  sul  “non disciplinare”  ,  la  sfera  delle  relazioni  affettivo-relazionali  dell’allievo  e  il  loro  metodo  di  studio ,  così  gli  insegnanti  sono  costretti  a  guardare  lo  studente  senza  gli  occhiali  delle  proprie  competenze  disciplinari.  Mentre  in  ogni  dipartimento  (o  GD,  gruppo  disciplinare)  i  docenti  sono  impegnati  in  un  lavoro  di  ricerca  sul  valore  formativo  della  disciplina,  nel  consiglio  di  classe  (CdC)  si  predispone  un  progetto  che  insegni  norme  comportamentali  e  un  metodo  di studio  ,  strumenti  indispensabili  per  consentire  l’apprendimento delle discipline.

 Romei,  a  me  pare,  in  estrema  sintesi  è  stato  accolto  soltanto  da  chi  condivide  questa  sua  netta  distinzione  tra  disciplinare  e  non  disciplinare ;  e  da  chi  condivide  la  sua  gerarchia  di  priorità  tra  le  4  famiglie:  discipline  (al  primo  posto),  poi  il  metodo  di  studio ,  quindi  le  norme  comportamentali ,  infine  le  dinamiche  psicosociali .  E’  facile  trovare  il  punto  dirimente  di  chi  non  ha accolto le analisi di Romei. Non si condivide la sua seguente osservazione:

 Se  i  ragazzi  sono  aggressivi  o  indisciplinati  o  svogliati  questo  non  è  la  causa  ma  l’effetto  di  una  proposta  didattica  povera,  non  chiara  o  comunque  inadeguata  sul  piano  dei  contenuti,  o  del  metodo.  Se  agli  studenti  vengono  proposti  temi  disciplinari  resi  interessanti,  strumenti  di  lavoro  percepiti  come  utili,  norme  comportamentali  comprese  come  necessarie,  allora  le  dinamiche  psicosociali  si  manterranno  a  livelli  di normalità fisiologica.

 Prima  di  concludere,  della  lezione  di  Romei  mi  preme  sottolineare  un  ultimo  punto  (che  di  certo  servirebbe  anche  per  l’unione  europea):  « Una  maggiore  solidarietà  è  possibile  tra  i  membri  di  una  comunità,  se  accompagnata  da  una  progressiva  cessione  di  sovranità » .  Chi  sono,  nelle  tre  categorie ( disponibili,  refrattari,  tiepidi)  degli  insegnanti,  coloro  che  si  oppongono  con  tutte  le  forze  e  con  qualsiasi  mezzo  a  tale  lezione?  E’  facile  dirlo,  tutti  quelli  convinti  che  il  raggiungimento  di  un  livello  soddisfacente  di  conoscenza  dipenda  esclusivamente  da  chi  apprende.  Quelli  convinti  che  si  devono  valutare  solo  gli  allievi  mentre  si  dà  per  scontato  ciò  che  scontato  non  è,  «l’adeguatezza  sia  delle  procedure  didattiche  nel  loro  complesso,  sia  delle  specifiche  soluzioni  tecniche  adottate,  come  possono  essere  la  lezione,  le  esercitazioni,  i  materiali  didattici» .  Il  nodo  cruciale  è  questo  e  nei  tempi  biblici  che  ci  sono  congeniali  prima  o  poi  arriveremo  ad  un  processo  di  valutazione  di  tutte  le  componenti  del  sistema.  Perchè  la  corruzione  non  sta  solo  nelle  mazzette,  una  comunità  corrotta  è  quella  i  cui  membri,  qualsiasi  lavoro  facciano,  non  rispondono  di  sé  e  non  rispondono  agli  altri.  In  altre parole, non sono responsabili.

 Romei  comunque  ha  seminato  così  bene  che  alcune  sue  intuizioni  (o  metafore)  sono  entrate  ormai  a  far  parte  della  cultura  diffusa  nelle  nostre scuole           .

 Occorre  decidere,  facendo  scelte  meditate  e  responsabili,  che  cosa  è  fondamentale  e  che  cosa  non  lo  è ”.  “ Progettare  (nella  complessità)  significa  fare  delle  scelte  di  priorità,  e  verificare  sperimentalmente  la  fondatezza  delle ipotesi di lavoro ad esse ispirate ”.

 La  sua  “ logica  del  cruscotto”  (in  un’auto  il  cruscotto  contiene  alcune  spie  per  funzioni  importanti,  livello  dell’acqua,  olio…Quali  sono  le  spie  da  tenere  sotto  controllo  in  una  scuola?)  non  ha  forse  portato  all’Autovalutazione  delle  scuole,  al  Piano  di  miglioramento,  al  Rav,  di  cui  l’Indire  si  è  fatto  meritoriamente  promotore?  Quelli  che  Romei  aveva  battezzato  “vincoli  rigidi”  dell’organizzazione  a  legami  deboli  non  sono  forse  gli  “indicatori”  che  tutte  le  scuole  scelgono  per  portare  avanti  le  loro  azioni  di  miglioramento  dopo aver individuato punti di forza e debolezza?

 Insomma,  una  scuola  che  riflette  su  quello  che  fa  e  cerca  di  misurare  gli  effetti  e  le  conseguenze  delle  sue  azioni  e  della  sua  progettualità ,  invece  di  procedere  per  “adempimenti”  successivi  decisi  dall’alto,  di  portare  avanti  vecchie  abitudini  o  peggio  ancora  di  recitare  il  rosario  del  “faccio  così  perchè  si  è  sempre  fatto  così”,  a  me  pare  che  debba  molto  ai  libri,  alle  sperimentazioni,  ai  seminari,  alle  idee  di  Romei.  E’  quello  che  avviene  ai  precursori,  sono  capiti  in  ritardo  e  certe  pratiche  ormai  diffuse  sul  territorio  e  diventate  normali  si  finisce  per  dimenticare  quando  sono  cominciate  e  chi  le ha rese possibili.

 Quello  che  oggi  appare  scontato,  magari  una  volta  non  era  compreso,  insomma  solo  il  tempo  dà  ragione  ai  precursori.  A  me  capita  ancora  di  chiedermi  cosa  avrebbe  scritto  oggi  il  prof.  Romei  quando  vedo  che  la  polemica  con  la  “scuola-azienda”  procede  sempre  accoppiata  al  lamento  sui  “guasti  del  neoliberismo”,  a  dimostrazione  che  non  sono  state  mai  lette  quelle  pagine  che  lui  aveva  dedicato  alla  scuola-impresa,  quella  che  sa intra-prendere strade nuove ed inesplorate.