di Carmelo Salvatore BENFANTE PICOGNA, Dario Angelo TUMMINELLI, Zaira MATERA
Con l’evolversi delle nuove tecnologie della comunicazione (TIC) nell’odierna “società liquida” impregnata dalla rapida espansione dei mezzi di comunicazione di massa, i pubblici dipendenti (insegnanti compresi) sono sempre più frequentemente esposti a potenziali rischi di natura disciplinare e penale.
In particolare, in ambito scolastico, i “social network” (Facebook, Instagram, Tit-tok, Twitter, canale YouTube, WhatsApp, Telegram etc.), hanno contribuito sensibilmente e in modo esponenziale, con il loro uso improprio (o, comunque, distorto), a spargere addebiti a carico del personale scolastico con successive e consequenziali irrogazioni di sanzioni disciplinari, per inosservanza dei propri doveri d’ufficio e/o nei casi più gravi, fino a provvedimenti espulsivi quali il licenziamento per giusta causa.
Questa non piena “coscienza” dei rischi e la non perfetta conoscenza della norma ha generato, talvolta, tra il personale scolastico un uso improprio dei social.
Può accadere che il postare sui social un proprio commento (convinzione o parere) inopportuno, sconveniente, se non addirittura denigratorio o comunque lesivo, il cui contenuto possa in qualche modo nuocere all’immagine e al decoro dell’Amministrazione a cui appartiene (a tutti i livelli), possa essere erroneamente scambiato per il sacrosanto diritto di critica e di manifestazione del libero pensiero, invocato dai più a seguito dei conseguenti provvedimenti restrittivi (di censura) a carattere sanzionatorio.
Il diritto di critica e di manifestazione del libero pensiero risiedono nella Carta costituzionale del 1948, nello specifico nell’art. 21, il quale statuisce che: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, mentre il comma 2 dello stesso articolo prosegue aggiungendo che: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” naturalmente, a patto che, le stesse pubblicazioni (cartacee e digitali) e tutte le altre forme libere di espressione (manifestazioni di pensiero e diritto di critica) non siano contrarie al buon costume o non offendano altre persone o soggetti di diritto.
Tali principi, si noti bene, di rango costituzionale, sono stati pienamente recepiti e traslati nell’art. 1 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 131 del 27 maggio 1970, semplicemente nota ai più come “Statuto dei lavoratori”.
Per completezza della trattazione si riporta integralmente il citato articolo 1: “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge”.
Fatta questa premessa ci addentriamo nell’argomento oggetto di questo studio.
Con il decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2023, n. 81 “Regolamento concernente modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62” recentemente pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 150 del 9 giugno 2023 si sono, infatti, apportate delle importanti e innovative modifiche al testo originale del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 comunemente noto come “Codice di condotta” o ancora come “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici” a norma dell’articolo 54 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introducendo una serie di articoli (nello specifico 11-bis e 11-ter) che analizzeremo a breve approfonditamente e nel dettaglio (v. infra).
Come previsto dal comma 3 dell’art. 11-bis (da poco introdotto), rubricato in “Utilizzo delle tecnologie informatiche” statuisce che: “il dipendente è responsabile del contenuto dei messaggi inviati” dai loro account istituzionali (caselle di posta elettroniche) e/o personali e similarmente diffusi o pubblicati nelle bacheche virtuali delle piattaforme informatiche e/o digitali.
A regolamentare nel dettaglio l’uso dei mezzi di informazione e dei social media è l’articolo 11-ter del sopracitato decreto. L’articolo in parola, composto da soli cinque commi, sensibilizza ulteriormente il personale dipendente statale, invitandolo sempre e comunque al corretto uso dei mezzi digitali, c.d. “etica pubblica” o comportamento etico, e ad ogni altra forma di prudenza e cautela nell’utilizzare i propri account personali sui “social network”, e nel contempo ad astenersi dal diffondere e pubblicare le proprie opinioni, convinzioni e pareri, o ancora i propri giudizi, il cui contenuto possa in qualche modo nuocere all’immagine e al decoro dell’Amministrazione a cui appartiene, riguardanti eventi, cose o persone (personale dirigenziale e colleghi).
Approfondimento In merito all’etica pubblica o comportamento etico, l’Amministrazione di appartenenza, come previsto espressamente l’art. 15 comma 5-bis del decreto n. 81, dovrà prevedere dei cicli formativi sui tali temi, da “svolgersi obbligatoriamente, sia a seguito di assunzione, sia in ogni caso di passaggio a ruoli o a funzioni superiori, nonché di trasferimento del personale, le cui durata e intensità sono proporzionate al grado di responsabilità”. Si evidenzia che l’etica professionale di un educatore, quale è appunto l’insegnante, non si risolve a conclusione del suo orario lavorativo o di servizio, ovvero varcando l’uscita del cancello della scuola, ma permane sempre e ovunque esso/a si trovi e con chiunque si relazioni. Il docente è, dunque, chiamato a non trascendere mai nei toni e nel linguaggio e a non usare parole e/o espressioni deplorevoli o comunque lesive, offensive o denigratorie per altrui cose e persone. |
In buona sostanza, la recente disposizione normativa stabilisce che l’uso degli account istituzionali (posta elettronica) è consentito esclusivamente per finalità connesse all’attività lavorativa.
Nello specifico, infatti, il comma 2 invita il pubblico dipendente: “ […] ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale” mentre il successivo comma 4 istituisce per la prima volta una “Social Media Policy”, potremmo dire una sorta di “netiquette” da introdurre a sua volta nei Codici di comportamento, all’uopo adottati dalle pubbliche Amministrazioni, individuando in tal modo le condotte passibili di procedimenti disciplinari, graduandoli adeguatamente e proporzionalmente in base alla gravità delle condotte come di seguito riportato nello tralcio: “Nei codici di cui all’articolo 1, comma 2, le amministrazioni si possono dotare di una “social media policy” per ciascuna tipologia di piattaforma digitale, al fine di adeguare alle proprie specificità le disposizioni […]. In particolare, la “social media policy” deve individuare, graduandole in base al livello gerarchico e di responsabilità del dipendente, le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni”.
È interessante notare che il comma 5, prevede che: “Fermi restando i casi di divieto previsti dalla legge, i dipendenti non possono divulgare o diffondere per ragioni estranee al loro rapporto di lavoro con l’amministrazione e in difformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 33, e alla legge 7 agosto 1990, n. 241, documenti, anche istruttori, e informazioni di cui essi abbiano la disponibilità”.
Per completezza della trattazione si evidenza che il codice di comportamento generale deve essere poi integrato con quello specifico adottato dalle singole amministrazioni.
Per tutti i dipendenti in servizio presso il Ministero dell’Istruzione (Amministrazione centrale e periferica, ivi compreso il personale con qualifica dirigenziale, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e determinato, a tempo pieno e a tempo parziale, nonché il personale comandato) è attualmente in vigore il Codice di comportamento allegato al Decreto Ministeriale del 26 aprile 2022, n. 105.
Il decreto in parola, a firma dell’allora Ministro Bianchi, superato il controllo di legittimità, è stato ammesso alla registrazione alla Corte dei conti, con prot. n. 1676 del 03 giugno 2022.
Come viene riportato nel sito del Ministero, la violazione degli obblighi previsti dal Codice integra comportamenti contrari ai doveri d’ufficio ed è dunque fonte di responsabilità disciplinare nonché, nei casi previsti, di responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile.
Si dà, infine, menzione della Tabella di corrispondenza tra la violazione dei doveri e le sanzioni disciplinari vigenti, consultabile dal link:
Casistica
A conclusione della presente trattazione, si dà menzione della casistica richiamando alcuni orientamenti giurisprudenziali oggetto di sanzioni disciplinari per violazione dei doveri d’ufficio per l’uso improprio dei “social media” o per dichiarazioni o espressioni lesive nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza.
Con sentenza n. 24989 del 6 novembre 2013 la Corte di Cassazione ha definitivamente pronunciato il licenziamento disciplinare di un insegnante per aver criticato e offeso l’Istituzione scolastica d’appartenenza consigliando contestualmente, ad alcune studentesse e studenti, di iscriversi altrove palesando apertamente un pregiudizio radicato verso la gestione scolastica.
Approfondimento Con ordinanza del 12 novembre 2018 n. 28878 la Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa inflitto ad un dipendente che aveva pubblicato sui “social media” (nella fattispecie, Facebook) immagini e commenti offensivi nei confronti della società privata (azienda) in cui il dipendente prestava servizio confermando la sentenza di secondo grado emessa dalla Corte d’Appello di Torino (e, ancora prima, dal Tribunale di Alessandria). La suprema Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, con sentenza precedente del 27 aprile 2018 n. 10280 confermava lo stesso orientamento. |
È interessante, inoltre, citare l’ordinanza n. 246 del 03 marzo 2016 del Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia, sezione III, con la quale il giudice ha ritenuto violazione dei doveri d’ufficio l’aggiunta del like o pollice in alto (ovvero c.d. “mi piace”) al commento di una notizia a sua volta pubblicata sulla bacheca di Facebook. Questa ha determinato un danno all’immagine all’Amministrazione, assumendone dunque rilevanza disciplinare.
Approfondimento La Corte EDU, sezione II, con sentenza 15 giugno 2021, ric. n. 35786/19 si è pronunciata su un noto caso avvenuto in Turchia in merito al licenziamento disciplinare di un insegnante del Ministero dell’Istruzione per aver messo e cliccato “Mi piace” su diversi articoli pubblicati sulla bacheca virtuale di Facebook da terzi. I Giudici di Strasburgo hanno ritenuto insufficienti le ragioni per il licenziamento alla docente e sproporzionate rispetto alla sanzione inflitta per violazione dell’art. 10 Cedu. |
Si è invece pronunciato, in senso opposto, il Tribunale di Roma, con sentenza del 19 maggio 2020. Il Giudice adito ha sollevato una docente dalla contestazione di addebito nella quale veniva accusata di aver pubblicato su Facebook, durante il suo orario di servizio, espressioni lesive e indecorose che lasciavano intendere una cattiva gestione scolastica. Il Giudice le ha ritenute troppo generiche; diversamente il Tribunale di Alessandria, sezione lavoro, recentemente con sentenza n. 130/2021, pubblicata il 19 maggio 2021 ha confermato il licenziamento individuale per giusta causa inflitto all’insegnante dall’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte (Ufficio III, Affari Giuridici, Contenzioso e Disciplinare)
Riferimenti normativi
- COSTITUZIONE ITALIANA, art. 21
- CODICE CIVILE, artt. 1175, 1375, 2105
- LEGGE 20 maggio 1970, n. 300 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, art. 1
- LEGGE 30 marzo 1981, n. 116 “Interpretazione autentica dell’articolo 93 del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 417, concernente norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato”, art. 1
- DECRETO LEGISLATIVO 30 marzo 2001, n. 165 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, art. 54
- DECRETO Presidente Repubblica 31 maggio 1974, n. 417, “Norme sullo stato giuridico del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato”, art. 93
- DECRETO del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 “Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”
- DECRETO del Presidente della Repubblica 13 giugno 2023, n. 81 “Regolamento concernente modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62”
- DECRETO MINISTERIALE del 26 aprile 2022, n. 105
- TRIBUNALE Amministrativo Regionale Lombardia sezione III, ordinanza n. 246 del 03 marzo 2016
- TRIBUNALE di Roma, sentenza del 19 maggio 2020
- TRIBUNALE di Alessandria, sezione Lavoro, sentenza n. 130/2021 del 19 maggio 2021
- CORTE di CASSAZIONE, sentenza del 6 novembre 2013 n. 24989
- CORTE di CASSAZIONE civile, sezione lavoro, ordinanza del 12 novembre 2018 n. 28878
- CORTE di CASSAZIONE civile, sezione lavoro, sentenza del 27 aprile 2018 n. 10280
- CORTE EDU, sezione II, sentenza 15 giugno 2021, ric. n. 35786/19
Sitografia
- MINISTERO DELL’ISTRUZIONE Codice disciplinare e di condotta
https://www.miur.gov.it/codice-disciplinare-e-di-condotta