La relazione per il dialogo: un valore per le persone del nostro tempo
di Carlo De Nitti
Parole per il dialogo è il volume, curato da Santo Pagnotta o.p., padre domenicano della Basilica Pontificia di San Nicola di Bari, che offre alla meditazione di chi non vi ha partecipato gli Atti del Corso di aggiornamento in Ecumenismo tenutosi a Bari presso l’Istituto di Teologia ecumenico-patristica “San Nicola” di Bari dall’ottobre 2022 al maggio 2023. Scrive nell’Introduzione al volume Luca de Santis, Coordinatore del medesimo: “Conservare il testi non è solo un’operazione d’archivio, ma una sollecitazione sempre possibile della memoria per continuare a intrattenersi nel dialogo, in un incontro sereno e sempre imprevedibile” (p. 8). Non, quindi, un’operazione di mera erudizione filologica ma di ampio respiro teoretico.
A chi scrive queste righe piace pensare che la preposizione “per” nel titolo del volume abbia sintatticamente valore finale: le parole non possono che avere come loro fine il dialogo, quella pratica cui non può essere estranea quella comprensione dell’umano che nasce solo attraverso la relazione con gli altri e con l’Altro.
Le parole-chiave per il dialogo su cui il Corso si è incentrato – Dio (Carla Canullo), Bellezza (Gianpasquale Greco), Fraternità (Vincenzo Di Pilato), Intrattenersi (Annalisa Caputo) e Tolleranza (Adrien Candiard) – costituiscono altrettanti capitoli che compongono il volume a più mani qui recensito. La relazione dialogica è ontologicamente costitutiva dell’essere dell’uomo: non già, quindi, soltanto un “io” ma un “io”, un “tu” ed un “voi” che, insieme, costituiscono un “noi”. La relazionalità, come dimensione originaria dell’essere umano, è un concetto acquisito sin dal IV secolo a. C. con l’aristotelico “animale politico” e che corre lungo tutta la storia della teologia e del pensiero filosofico (occidentale). poiché l’essenza dell’essere umano è la relazionalità con gli altri e con l’Altro/Dio, l’uomo nasce ‘plurale’.
Una pluralità che è generata dalla bellezza, il cui archetipo è il modello greco del καλὸς καὶ ἀγαθός, transitato nel pulchrum et bonum della tradizione latina e cristiana come scrive Giampaolo Greco (cfr. p. 33), evitando quei fraintendimenti a causa dei quali l’arte ostacola il dialogo: “il principio fondamentale della bellezza come sorgente di dialogo sta nella non sopraffazione, nello scambio e nella necessità di comuni parametri misurativi, quando si sentisse l’esigenza di una comparazione di merito” (p. 73).
Il dialogo – argomenta con un ampio excursus filologico, nel suo saggio, Carla Canullo – non può che essere quello di Dio (di qualunque religione) con l’uomo: “un dialogo che parte dall’appello che poi in ogni religione Dio lancia ad ogni vivente a partire dal quale ogni altro dialogo diventa possibile” (p. 24) in una dimensione di fraternità, intesa tanto come legame “orizzontale”, quanto “verticale”, ovvero originario, generativo. Scrive Vincenzo Di Pilato: “la fraternità è anche la via per un autentico ecumenismo che sappia riavvicinare i fedeli battezzati in Cristo nella lotta per i diritti civili di ogni uomo e donna sulla terra. A conclusione della sua enciclica “Fratelli tutti”, papa Francesco confessa di essersi sentito sì motivato, in special modo, da s. Francesco d’Assisi, ma anche da altri fratelli come il pastore battista Martin Luther King jr.” (p. 90).
Nella fraternità, si situa lo spazio dell'”intrattenersi”, come lo denomina il filosofo francese François Jullien e su cui si effonde, nel suo contributo Annalisa Caputo, dopo aver analizzato i modelli di dialogo dominanti in Occidente. L’intrattenersi è in stretta connessione con il dialogo, in quanto entrambi partono da un concetto fondamentale, quello di “scarto”, ovvero “se c’è un ‘tra’, se c’è un ‘attraverso’, ci sarà anche uno spazio di separazione, di divergenza […] Questo Jullien lo chiama: movimento dello SCARTO” (p. 101). Esso è esemplificato paradigmaticamente anche nell’arte: basti pensare alla celeberrima statua di Amore e Psiche di Antonio Canova (1757 – 1822). Essa “ci fa cogliere immediatamente cosa significano scarto e attraversamento” (Ibidem).
Lo spazio che si colloca tra i corpi e le bocche è lo scarto che consente l’attraversamento e l’incontro: ove non ci fosse stato, questo dialogo, questo intimo cercarsi, sarebbe venuto a mancare. “Non ci siamo ‘io’ e ‘te’, io più l’altro o l’altra: perché io mi colgo nella mia distanza, nel mio scarto … solo in rapporto a te; e viceversa” (p. 104).
La necessità dello scarto vale per tutte le relazioni affinché ci sia dialogo: tra uomini, tra culture, tra comunità, tra uomo e Dio. “Dio è zoopoieîn: vita che crea vita. La creazione e l’incarnazione sono un bisogno vitale di Dio stesso” (p. 119). E’ attraverso lo scarto che si consegue quell’intimità che è indispensabile all’in-tra-tenersi, a cui non è estranea la dimensione del dialogo senza parole, il silenzio.
Il dialogo postula la tolleranza, concetto connesso come quant’altri mai, con quello di verità: solo se è definita la verità si può definire ciò che è tollerabile, in religione come in politica. Non a caso, l’autore cita il filosofo empirista inglese Joh Locke (1632 – 1704): la verità – insegna Papa Francesco – al di là dell’indifferenza e del sincretismo, è plurale, perché è sempre connessa con la carità, come asseriva già il filosofo e matematico francese Blaise Pascal (1623 – 1662).” […] se assolutizzo le formule del credo cristiano – che sono e restano vere – se le utilizzo per attaccare qualcuno, se le uso come strumenti di potere per farmi valere sull’altro la verità può diventare un idolo. A questo punto la verità, oggettivamente resterà vera, ma non sarà più niente perché la spoglio della sua divinità se la riduco ad uno strumento con cui impormi” (p. 134).
A conclusione di questo breve testo, chi scrive queste righe ritiene l’epilogo del saggio di Adrien Candriard e, contestualmente, di questo bel volume, la vera sintesi essenziale del tema proposto: “Il dialogo [anche interreligioso] è molto più centrale perché ci aiuta a vedere che Dio è più grande di noi siamo mai proprietari di Dio […] Quando prendiamo sul serio il fatto di parlare di Dio, si scopre che Dio è già presente nella vita dell’altro e lì mi aspetta […] prendendo sul serio l’altro rispetto a quello che dice a quello che vive posso cercare anch’io Dio” (Ibidem).
Nel rispetto delle idee e delle vite di tutti, perché il dialogo è consustanziale alla condizione umana, la quale non può che esistere nelle relazioni.
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