Stefano Benni, una condizione dell’anima
di Antonio Stanca
Aveva quarant’anni Stefano Benni quando pubblicò la prima volta Il bar sotto il mare. Era il 1987 e quella comparsa adesso, ancora presso Feltrinelli, è la sessantesima edizione dell’opera. In verità l’idea di un bar, dove dei quasi sconosciuti s’incontrano e si raccontano storie tra le più strane, era stata attuata dallo scrittore già prima, nel 1976, quando aveva pubblicato Bar Sport. Allora, però, si era trattato di un’opera soprattutto umoristica mentre in quest’altra va notata un’intenzione, un’aspirazione che non si limita a pochi risultati ma ambisce a verità più ampie, a significati più estesi. E l’altra differenza sta nell’ambientazione giacché stavolta il bar con le persone che narrano si trova sotto il mare ed in esso lo scrittore ha immaginato di far entrare da un ingresso particolare il personaggio che sarà la voce narrante del romanzo, che dirà tutto quanto avrà visto e sentito.
Benni è nato a Bologna nel 1947. Ha vissuto fino a giovane in ambienti di campagna lontani dai grossi centri urbani. Si è formato all’insegna dei valori, dei principi che in quegli ambienti vigevano e valevano. Erano regole di carattere morale, spirituale, non ammettevano alterazioni, erano il segno di una vita, di un’umanità sicura dei suoi propositi, convinta delle sue azioni. Si viveva di pensiero, di sentimento, d’idea, non c’era posto per trasgressioni. Benni rimpiangerà quegli ambienti quando, diventato maturo, trasferitosi in importanti città e conosciuto ormai come scrittore, poeta, giornalista, si accorgerà che c’era una vita diversa da quella dei suoi primi posti, una vita che aveva perso tanti dei suoi aspetti morali, spirituali perché annullati da altri di carattere materiale. Era la vita moderna, quella dei tempi nuovi che avanzavano senza sosta con le loro conquiste, le loro trasformazioni. Non si sarebbe, tuttavia, arreso ai nuovi sistemi, non avrebbe rinunciato a quanto aveva creduto durante gli anni della sua formazione, agli ideali che lo avevano sostenuto, ispirato. Protesterà contro quanto della nuova storia, della nuova vita tendeva a combatterli, eliminarli. Sarà nelle sue opere, di qualunque genere fossero state, che questa protesta troverà la sua maggiore espressione. Scriverà molti romanzi Benni, alcuni diventeranno famosi e saranno molto tradotti, sarà autore di molte poesie, farà molto giornalismo, produrrà opere teatrali, libri per ragazzi, fumetti e ovunque sarà possibile rintracciare un senso di amarezza, di delusione, quasi di sconforto per un tempo che era finito per sempre, che non poteva essere recuperato. Erano stati due i tempi della sua vita ma uno, il primo, sarebbe valso di più, alla sua fine non si sarebbe mai rassegnato.
Anche Il bar sotto il mare sarà percorso da quest’aria di perdita, anche i racconti degli avventori che in quel bar si susseguiranno la lasceranno intravedere. Saranno tanti perché tanti saranno i narratori, diversi saranno come questi, di diversi luoghi, di diversi tempi, di diverse persone, di diversi eventi diranno. Ma pur tra una varietà così articolata sarà sempre possibile rintracciare quella pena che ogni cambiamento, ogni passaggio comporta, quel rimpianto per quanto si è lasciato, si è perduto senza che possa essere sostituito. È il problema, il motivo che ha caratterizzato questo autore fin dalle prime opere, è la sua difficoltà a trovare elementi, aspetti della modernità nei quali possa egli riconoscersi, con i quali possa identificare quanto ancora crede che sia unico, assoluto. Impossibile è diventato dal momento che tutto ormai è esposto a cambiamenti, modifiche, niente può rimanere inalterato. Una constatazione quasi tragica è stata questa per il Benni, è stato come accettare che di tutto si deve dubitare, che di nulla si può essere sicuri.
È il mondo moderno, il mondo nuovo dove quelli che prima erano errori sono diventati la norma al punto da non ammettere altra maniera. Questo il significato che Benni ha perseguito tramite i racconti strani degli strani personaggi del romanzo. Stavolta, però, è diventato più difficile scoprirlo dal momento che non è una la vicenda impegnata a mostrarlo ma tante sono le situazioni, le persone, le circostanze alle quali quei racconti si riferiscono. Più difficile da cogliere ma più esteso, più ampio è risultato quel significato, quel senso di sfiducia proprio del Benni autore. Dell’uomo è diventato, non dell’uomo di un particolare momento ma dell’uomo di ogni momento, di ogni tempo, di ogni luogo, dell’uomo proprio dei racconti che è sempre cambiato, sempre ha rinunciato a quanto aveva acquisito, sempre ha saputo di non poterlo più avere. È una condizione dell’anima, è quella che Benni ancora vive, ancora soffre e che ha voluto mostrare come propria dell’umanità.
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