V. Robles, Il fascismo dietro le quinte

Quando la storia “locale” invera ed arricchisce la storia “generale” …

di Carlo De Nitti

È con vero e sincero piacere che ho voracemente letto quest’ultima fatica storiografica che Vincenzo Robles, storico e studioso di alto profilo, regala ai suoi affezionati lettori (certamente molti di più dei venticinque che si augurava Alessandro Manzoni). Questo suo Il fascismo dietro le quinte. Il caso Bitonto ha visto luce in queste settimane a Bari per i tipi della Edizioni Dal Sud.

A chi scrive non appare possibile non connettere le vicende storiche bitontine qui studiate narrate senza potesse la nobile figura di antifascista del pedagogista Giovanni Modugno (1880-1957). A lui Vincenzo Robles ha già dedicato due eccellenti volumi: Giovanni Modugno Il volto umano del Vangelo e Giovanni Modugno Il rifugio bresciano, rispettivamente pubblicati nel 2020 e nel 2022 dalla medesima casa editrice barese, non a caso nella medesima collana dal titolo ” Memoria”.

Com’è ampiamente noto, Giovanni Modugno, nel trentennio studiato in questo volume, non viveva nella città di Bitonto, abitando egli, dal 1920 fino alla morte, nel “quartiere umbertino” di Bari, in via Cardassi, poiché insegnava nell’allora Istituto Magistrale Statale “Giordano Bianchi-Dottula”. La sua figura, le sue idee, le sue azioni sono efficacemente presenti nche in questo volume, a cominciare dalla citazione di un suo pensiero nella nota n° 2 della Premessa

Il volume si snoda attraverso la Premessa, nove capitoli (Il locale brodo primordiale: il giolittismo; Il 1920: la svolta; Il biennio 1922-23; Verso l’amministrazione podestarile; L’amministrazione del Podestà Achille Lorenzo; L’amministrazione del Podestà Serafino Santoro; Il Podestà Giovanni Dragone 1938-1943; La città verso la fine dell’amministrazione podestarile; La lenta ripresa democratica) e la Conclusione.

In questo itinerario, l’Autore analizza con puntualità le vicende politiche cittadine dalle origini del fascismo in Bitonto fino alle prime elezioni democratiche a suffragio universale, maschile e femminile, del 1946 (non quello giolittiano del 1912)!

Perché “dietro le quinte”? Cosa sta a dire la metafora teatrale utilizzata dall’Autore? Nel suo volume, Vincenzo Robles scrive: “una storia ‘dietro le quinte’, una storia che non ha voluto raccontare il fascismo scenografico, ma il fascismo come è stato interpretato e vissuto dai nostri concittadini Da noi mancò un iniziale entusiasmo, il fascismo fu accettato con calma e senza una completa adesione: I nostri concittadini lo vollero e pian piano si adeguarono e si lasciarono convincere (p. 15).

Nei capitoli centrali del suo volume, Robles ricostruisce con grande acume storiografico e con ricchezza di documentazione, riveniente da un profondo lavoro di archivio, come il fascismo a Bitonto si sia inserito nel brodo di coltura costituito dal notabilato giolittiano ed abbia attraversato varie e conflittuali fasi nel biennio 1922-23 ed attraverso le esperienze podestarili di Achille Lorenzo, di Serafino Santoro e di Giovanni Dragone.

Non è questa la sede – quella modesta di una recensione – per rendere conto di tutta la ricchezza documentaria su cui si fonda la ricostruzione storica dell’Autore che, con questo volume, persegue un fine eminentemente educativo, come sottolinea nell’epilogo della sua trattazione: “Il fascismo non è qualcosa di astratto, non è soltanto un’idea e un movimento politico del passato, il suo posto non è soltanto nei libri scolastici, dove appare sempre meno. Per questo si è voluto raccontare la storia del fascismo a Bitonto come fosse la cronaca di tante giornate, la cronaca di tante amministrazioni che si sono succedute […] una storia che si è insinuata nel quotidiano di tanta gente distratta o forse occupata a gestire il proprio interesse” (p. 199) 

Non é per caso che la narrazione di Vincenzo Robles non si concluda con la fine del ventennio ma giunga alle prime elezioni democratiche del 1946: il “disorientamento che aveva accompagnato la fine del fascismo continuò a caratterizzare il nuovo che avanzava. Diventava conveniente dimenticare il passato per poter più facilmente accettare e vivere il nuovo presente” (p.16). A Bitonto, come altrove. il nuovo presente non era esente da conversioni e gattopardismi, come la storia di ogni epoca ci insegna

Del resto, già nell’ormai remoto 1987, il decano dei sociologi italiani Franco Ferrarotti, nel suo volume laterziano, Il ricordo e la temporalità – ovviamente tutt’affatto diverso da quello di cui qui si discorre -scriveva che l’amnesia favorisce l’amnistia. L’assonanza tra i due vocaboli e la comune origine nel medesimo verbo greco dice una verità da non sottovalutare né nascondere.

Il volume di Vincenzo Robles di cui qui si discorre è completato da una preziosa appendice documentaria ed è arricchito dalla prefazione di Ferdinando Pappalardo, letterato, docente illustre dell’Università degli studi di Bari, e storico esponente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Egli sottolinea in modo inequivocabile la valenza pedagogica attuale dell’indagine condotta da Vincenzo Robles e consegnata a questo volume tutto da leggere e da meditare. “La sincera passione civile che anima Robles, e che lo induce a rivendicare la funzione pedagogica di ogni (e dunque anche del suo) impegno teso al restauro e alla conservazione della memoria collettiva, spesso abrasa o rimossa per ipocrita perbenismo, è temperata da una vigile acribia, che lo tiene distante da atteggiamenti inquisitori e che lo induce a dichiarare con sincerità i limiti della sua ricostruzione storica, dovuti alla parzialità delle fonti documentarie disponibili” (pp. 9 – 10).

Il sigillo dell’intenzione pedagogica dell’Aurore non può che essere invenuto nella dedica del volume: “Ai miei nipoti”.

Cos’altro aggiungere ai lettori – bitontini e non (al pari di chi scrive) – che hanno avuto la pazienza di leggere sin qui, se non il sincero augurio di buona (ed educativa) lettura dell’interessantissimo volume!