La riparazione come via rieducativa

La riparazione come via rieducativa

di Vincenzo Andraous

Decreto carceri, bello che fatto, lanciato oltre le linee, nel bel mezzo della contesa, ma non delle leggi giuste che fanno del bene, bensì addosso a chi già è morto penzoloni in qualche letto  a castello arrugginito, a chi domani o dopo morirà un’altra volta ancora, in barba alle leggi appunto, quelle leggi varate per fare giustizia dell’ingiustizia. Perché questo decreto carceri? Le sintomatologie che ne hanno richiesto l’urgenza sono differenti, da una parte i morti ammazzati a raffica che non suscitano vergogna, neppure casi di ansia in chi nasconde la verità sotto la bandiera sdrucita della pena certa, quando morire in questo modo è sicuro ben di più della pena certa, quella che comunque dovrebbe consistere in un inizio e in una fine, quindi di certo allo stato attuale c’è soltanto l’uso improprio delle parole o meglio delle ideologie inconcludenti in questi tempi di poca umana compassione. Più la galera assume i connotati di una bolgia indegna di un paese civile, più sorgono anfratti politico gestionali causati dall’intorpidimento ad affrontare con cognizione di causa le sfide quotidiane di quella pena si da scontare ma nella umanità  e rispetto della dignità di tutte le persone, anche quelle ristrette che intendono scontare la propria pena nel tentativo di riparare al male fatto. I decreti si varano inarcando le sopracciglia per poi  richiedere ulteriori sedute all’insegna  di una riflessione che possa correggere gli interrogativi rimasti a metà del guado. Nel frattempo si muore, ci si ferisce, si protesta, ci si rivolta, innocenti e colpevoli si scambiano di posto tra lividi e disperazione, dimenticando che chi è disperato è colui che non ha più sentore della più remota speranza. Il carcere è ormai ridotto a un lazzaretto disidratato, sappiamo fin troppo bene che non può esserci salute senza salute mentale e non è più accettabile che nelle diverse situazioni di bisogno occorra ogni volta ricorrere alla protesta, alla violenza, a pagare prezzi inusitati per diritti palesemente negati, una gravissima e persistente violazione dell’articolo 32 della nostra Costituzione.Dell’articolo 27 della stessa carta magna mi sembra davvero una bestemmia a questo punto continuare a parlarne.