da Tuttoscuola
Mentre le punte più avanzate della ricerca spostano avanti le frontiere tecnologiche, dall’intelligenza artificiale al quantum computing, in Italia il livello di competenze digitali di base è tra i più bassi in Europa: solo il 45,8% della popolazione italiana ne è in possesso (quintultimo posto in Europa), con uno scarto di circa 10 punti percentuali in negativo rispetto alla media europea.
Ma che si intende per livello di base? In pratica, in maniera un po’ cruda, si può metaforicamente equiparare a chi è ancora alle prese con aste e bastoncini rispetto a chi fa un dottorato di ricerca, che è il livello che servirebbe per stare al passo con i tempi, tra Large Language Model e quantum computing.
E non sembra esserci un vero piano per raggiungere l’obiettivo fissato dalla UE nel Piano “Digital Decade”: entro il 2020 (che è dietro l’angolo) almeno l’80% dei cittadini europei dovrà possedere competenze digitali almeno a livello base.
Con quel 45,8% del 2024 (indice DESI 2024) siamo ben lontani dal target. In 6 anni dovremmo recuperare 34,2 punti percentuali. Se si considera che tra il 2023 e il 2024 il miglioramento è stato dello 0,2% (l’indice DESI 2023 era del 45,6% di cittadini con competenze digitali di base), di questo passo si resterà distanti anni luce dall’obiettivo.
Anche considerando lo “sconto” che la Commissione europea ha fatto all’Italia (tenuto conto del nostro ritardo si accontenterebbe che il nostro paese arrivasse nel 2030 al 74,6%), senza un piano strutturato che coinvolga milioni di cittadini non si arriverà mai all’obiettivo. E il sistema di istruzione non può che essere al centro di questo piano. Il PNRR fa frequenti richiami ai framework europei sulle competenze digitali (DigComp 2.2 e DigCompEDU), ma le scuole ne hanno compreso l’importanza per gli studenti e per il personale?