da La Tecnica della Scuola
Di Giovanna Lo Presti
Ci volevano la conoscenza della scuola italiana, l’equilibrio e anche l’arguzia di Reginaldo Palermo per commentare degnamente e senza alzare i toni le esternazioni del ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara e quelle della sua sottosegretaria Paola Frassinetti sugli esiti delle iscrizioni alla “filiera 4+2”. Per raccontare questa ordinaria vicenda di interpretazione al contrario dei dati basterebbero i dati stessi. Lascio da parte i calcoli della Flc-Cgil che fa notare come 628 percorsi attivati per 5.449 iscritti producano 8,6 alunni per classe. In questo caso ci rallegreremmo per la fine, pur parziale, delle classi-pollaio, ammesso che si varino norme in deroga della normativa esistente sul numero di alunni per classe. Ma qui siamo nell’ambito delle possibilità.
Ragiono invece sui dati ufficiali, che ogni cittadino può trovare sul sito del Ministero e mi limito a quelli, lasciando perdere le numerose osservazioni sul contenuto della “riforma”. Parto dalla dichiarazione di Valditara: “A conclusione delle iscrizioni online, sono stati registrati 5.449 iscritti al primo anno della filiera del 4+2, un risultato che segna un aumento straordinario rispetto ai 1.669 dello scorso anno.[…] si prevede un ulteriore incremento nelle prossime ore, dato che le scuole stanno procedendo con la ricognizione delle iscrizioni cartacee”. La dichiarazione ministeriale sullo stesso tema dello scorso anno era la seguente: “I dati finali evidenziano una accresciuta preferenza per i percorsi tecnici e professionali della filiera 4+2. In dettaglio, la percentuale di scelta dei nuovi quadriennali di filiera rispetto al totale degli iscritti all’istruzione tecnica è salita allo 0,89% e allo 1,06% per il professionale. Il dato conferma inequivocabilmente il gradimento per la sperimentazione della nuova filiera”.
I ragazzini che usciranno nel 2025 dalla scuola media e che quindi si sono iscritti alla prima classe delle superiori sono circa 523.000 (prendo i dati forniti da Il Sole24Ore); se a questi aggiungiamo i ripetenti vedremo che il trionfalistico risultato è quello di aver convinto circa l’1% delle famiglie ad iscrivere i propri figli alla cosiddetta “filiera del 4+2”.
Visto che è conclamato che la scelta della scuola superiore sia compiuta dalle famiglie e che il livello socio-economico-culturale delle stesse determini la scelta, dovremmo concludere che una risibile percentuale delle famiglie italiane, prevalentemente di ceto medio-basso, ha scelto questa proposta.
Un dato ulteriore ci orienta: per le classi prime delle primarie e delle secondarie di primo e secondo grado le iscrizioni online sono obbligatorie. Se le segreterie devono completare, come ci informa il Ministro, “la ricognizione delle iscrizioni cartacee” vuol dire che le famiglie non sono state in grado di gestire autonomamente l’iscrizione online. Ciò conferma, se mai ce ne fosse bisogno, una certa casualità della scelta: ho i miei dubbi che famiglie poco acculturate siano state in grado di comprendere il testo della “riforma”, peraltro carente e piuttosto confuso anche per me, che mi sono applicata a decifrarlo.
Inoltre il “4+2”, per vocazione, dovrebbe trovare il proprio terreno ideale in luoghi in cui l’industria prospera: uno degli obiettivi dichiarati del percorso quadriennale è infatti quello di far entrare prima i giovani nel mondo del lavoro. Paradossalmente è nel Sud d’Italia che si concentrano le richieste del “4+2”.
A questo proposito faccio due osservazioni, l’una attinente al tema l’altra di carattere generale. Se sono più numerose le richieste laddove il tessuto produttivo è meno vivace, vuol dire che le famiglie sono state suggestionate più dalla possibilità di abbreviare il percorso di studi che dal possibile ingresso negli ITS.
In generale, però, sarebbe ora di finirla di pensare che la crisi industriale del nostro Paese (gli ultimi dati Istat hanno lanciato un allarme rosso) sia determinata dal fatto che la scuola non prepari i giovani al mondo del lavoro. Questa è una falsa idea, eppure è il tasto su cui, ministro dopo ministro, si è intonata la litania sulla scuola tecnica da riformare. Anche se Marx secondo Valditara è superato (è più attuale la Bibbia, a quanto pare) resta il fatto che la struttura economica determina la sovrastruttura ideologica e non viceversa.
Le prove ce le abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi: l’offerta di lavoro precario e dequalificato è quella di gran lunga più abbondante e, caso strano, anche se i nostri politici continuano a lagnarsi per l’assenza di personale debitamente formato, ricercatori, medici, tecnici migrano e lasciano la terra natia, in cerca di miglior lavoro all’estero.
Aggiungo che anche quest’anno, come lo scorso anno, il Ministero ha fatto tutto il possibile per propagandare la propria “riforma” ed è slittato di nuovo in avanti il termine per le iscrizioni. Non basta: per sostenere il “4+2” sembra che si siano presi fondi destinati ad altro, per dirottarli verso le scuole che hanno aderito al progetto. Sulla “filiera”, quindi, pioverebbero soldi, il cui destino non appare così trasparente: numeri alla mano, con la legge di bilancio 2025 si sono aggiunti ai 10 milioni previsti per il biennio 2024-2025 altri 20 milioni per l’anno 2026.
Ma non solo. Per lo sviluppo dei campus si prendono direttamente dai fondi Pnrr, con una certa disinvoltura, più di 124 milioni di euro. Ecco cosa si legge nel sito di una delle tante aziende che si occupa di supportare le scuole nel compito di costruire un campus didattico: “Le scuole interessate devono presentare un progetto di campus didattico, dimostrando il potenziamento delle dotazioni tecnologiche e delle infrastrutture digitali. Il finanziamento verrà assegnato sulla base della qualità della proposta e della distribuzione territoriale. […]Supportiamo le scuole nella progettazione di soluzioni per rendere l’apprendimento più stimolante ed efficace proponendo percorsi personalizzati in base agli obiettivi. Ai dispositivi affianchiamo piattaforme, soluzioni di gestione e l’esperienza dei nostri C&C Teacher, che aiutano a trasformare l’apprendimento in un percorso entusiasmante”.
Conclusioni: oltre ai 300.000 euro medi che le scuole hanno avuto per trasformarsi in base ai dettami della mission 4 del Pnrr, arrivano adesso, per la gioia delle imprese che si occupano di tecnologia applicata alla didattica, altri 124 milioni di euro destinati prioritariamente alle scuole che ospiteranno i circa 5.500 studenti del “4+2”.
Ne aggiungo all’ingrosso 2.500 dell’anno precedente e arriviamo a 8.000 studenti (secondo me, sono di meno – mi attengo al dato fornito dal MIM); divido per 20 ed ottengo 400 classi. Divido il tesoretto di circa 155 milioni per 400 e so che ogni classe avrà a disposizione circa 387.500 euro. Per farne cosa? E se pur fossero impiegati bene e in modo trasparente, è questo il modo migliore di gestire le risorse disponibili?
Intanto, l’edilizia scolastica è sempre fatiscente, il personale, per un quarto, è sempre precario, ha gli stipendi tra i più bassi d’Europa, le scuole vengono accorpate per risparmiare e ci si permette di usare in questo modo i soldi dei contribuenti?
C’è poi la quarta “missione” del Pnrr, quella che riguarda Istruzione e Ricerca, prevede lo stanziamento a fondo perduto di 18,81 miliardi di euro e un prestito di 11,28 miliardi: sarebbe meglio non sprecare queste risorse, che in parte dovremo poi restituire con gli interessi.
Per finire, una nota di colore: abbiamo già detto che l’1% degli studenti iscritti al primo anno della “filiera 4+2” viene definito dal Ministro un successo. Il liceo Made in Italy ha visto invece un incremento di circa il 10% rispetto alle iscrizioni dello scorso anno, quando gli iscritti erano 375. Adesso ci sono 38 studenti in più! Ci chiediamo che valore abbia una simile sperimentazione e come mai numeri che per chiunque sono fallimentari vengano invece considerati un vero successo. La risposta nella prossima puntata.