Il carcere di nessuno

Il carcere di nessuno

 di Vincenzo Andraous

Ogni giorno c’è qualcuno che prende la parola per dare senso a quel che resta dei valori inalienabili della Costituzione.

Personaggi noti afferrano la parola per non mollare gli ormeggi di fronte alle altre parole dette in fretta per non dire nulla, peggio, per continuare a affermare che il carcere è questo, non possiamo liberarcene, men che meno renderlo migliore di quello che è diventato.

C’è così tanta malafede e ritrosia umanitaria che ai silenzi protratti per tanti innumerevoli morti ammazzati dentro una cella, improvvisamente c’è l’ìmpatto con la ragione, con la coscienza, con la dignità di ognuno e di ciascuno, degli innocenti, delle vittime e dei colpevoli.

Per quanto sorprendente irrompe il rinculo, il dietro front rispetto ai toni indifferenti al dovere giustizia e legalità cui è tenuto chiunque dentro una prigione, uomini liberi e uomini ristretti.

Ecco che a qualcuno viene improvvisamente bene innalzare i vessilli del diritto penale e penitenziario,  di un art. 27 della nostra carta magna fino a ieri declassato a poco più di niente, di una non più rinviabile pena giusta e riparatrice. Sovraffollamento,  violenza e pene aggiuntive mai contemplate da alcun codice e riforma, non smuovevano di un passo le ideologie, quelle vetuste e quelle di un presente ripiegato su se stesso.

Di colpo saggi e profani per risolvere il problema endemico all’Amministrazione Penitenziaria; il sovraffollamento, i suicidi in aumento, l’ingiustizia lasciata scorrazzare a briglia sciolta,  son tutti concordi ad accompagnare in un percorso di misure alternative migliaia di persone detenute, che fino a ieri restavano spintonati nell’angolo buio, oggi presi a esempio per risolvere qualche problemino sfuggito di mano.

Passare da una amnistia, un condono, una misura di clemenza, a una pratica effettiva delle misure alternative, queste si contemplate ma disattese da sempre, potrebbe significare riconsegnare scopo e utilità a un carcere fallimentare.

Da molti anni svolgo il mio servizio come operatore comunitario, conosco la fragilità e la solitudine di tanti ragazzi, cosa significa pregiudizio e indifferenza, rimanere soli ad affrontare la competitività di una società che sempre più non fa prigionieri.

Mi viene da pensare e consigliare sottovoce a qualcuno assai più lungimirante di me, di proseguire su questa strada finalmente, quindi approntando una rete efficace efficiente a sostenere persone detenute nella consapevolezza che la libertà è responsabilità di tutti nessuno escluso.