Neuroni specchio

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Neuroni specchio

Il ruolo della relazione nell’apprendimento scolastico

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Nel cuore dell’apprendimento non vi è solo il sapere, ma la relazione. Ogni bambino che entra in una classe porta con sé un mondo fatto di emozioni, bisogni e desideri di connessione. La scuola diventa, così, il primo grande contesto in cui il soggetto sperimenta sé stesso, all’interno di una rete sociale più ampia, fatta di pari, adulti significativi e ambienti simbolici. Apprendere non è un gesto solitario, ma un processo profondamente sociale, radicato nella condivisione, nello scambio, nel riconoscersi nell’altro.

Le neuroscienze contemporanee hanno evidenziato che il cervello è un organo plastico, creato per interagire. Le aree cerebrali deputate all’empatia, alla regolazione emotiva e all’attenzione si attivano in presenza di relazioni significative, e ciò influenza direttamente i processi cognitivi. I cosiddetti neuroni specchio, studiati da Rizzolatti, dimostrano che osservare un’azione o un’emozione negli altri stimola nel nostro cervello le stesse aree che si attiverebbero se fossimo noi stessi a compierla o provarla. Questo conferma che impariamo anche attraverso l’osservazione, la condivisione e l’imitazione.

Le più recenti teorie pedagogiche, da Bruner a Vygotskij, convergono su un punto fondamentale: il cervello apprende meglio quando è in relazione. Ogni apprendimento autentico avviene attraverso la mediazione sociale, linguistica, simbolica. A partire da questa consapevolezza, il cooperative learning e il collaborative learning si configurano come approcci didattici capace di valorizzare l’intelligenza condivisa, trasformando la classe in una comunità attiva e partecipativa, in cui ciascuno è risorsa per l’altro. Ma cosa significa davvero apprendere insieme? E come può questa visione concretizzarsi nei diversi gradi scolastici?

Il cervello sociale e la natura relazionale dell’essere umano

Le neuroscienze affermano che il nostro cervello è cablato per la relazione, ossia predisposto biologicamente a interagire con l’altro. Fin dalla nascita, l’essere umano apprende in modo attivo e multisensoriale, attraverso il contatto visivo, il linguaggio, la gestualità e il tatto, tutti canali che veicolano interazioni fondamentali per lo sviluppo cognitivo ed emotivo. I cosiddetti “neuroni specchio”, scoperti nel cervello dei primati e successivamente nell’uomo, si attivano non solo quando compiamo un’azione, ma anche quando osserviamo un altro individuo compierla, generando una sorta di immedesimazione empatica e motoria. Questo meccanismo è alla base della comprensione intuitiva delle intenzioni altrui, dell’imitazione, della condivisione emozionale e quindi di ogni forma di apprendimento sociale.

Ciò significa che la relazione non è un elemento accessorio dell’apprendere, ma ne costituisce la struttura portante. Quando uno studente si confronta, chiede aiuto, ascolta un compagno o espone il proprio pensiero, attiva reti neuronali che integrano le informazioni cognitive con le dinamiche affettive e motivazionali. In questi momenti, il sapere viene consolidato attraverso l’interazione e il dialogo, generando apprendimenti duraturi e significativi.

Nella scuola dell’infanzia, questa dimensione si concretizza in molteplici situazioni quotidiane. Durante le attività di gioco simbolico, ad esempio, i bambini interpretano ruoli diversi, riproducono situazioni sociali e condividono narrazioni. Quando costruiscono una torre o risolvono un puzzle insieme, sviluppano capacità di negoziazione, cooperazione e problem solving. Le esperienze narrative, lette o drammatizzate, stimolano l’identificazione, la comprensione degli stati mentali altrui e la capacità di regolare le proprie emozioni. È in questi gesti semplici, ma profondamente significativi, che si gettano le basi del pensiero relazionale e si forma quella competenza sociale che accompagnerà il bambino per tutta la vita scolastica e oltre.

Dalla cognizione individuale all’intelligenza condivisa

L’intelligenza non è una dote innata racchiusa in una mente isolata. È un prodotto collettivo, che cresce nei contesti sociali, dove la relazione con l’altro stimola la costruzione del pensiero e della conoscenza. Secondo Vygotskij, ogni funzione mentale superiore compare due volte nello sviluppo: dapprima a livello interpersonale e poi a livello intrapersonale. Questo significa che il bambino impara prima nel dialogo con gli altri, e solo in seguito interiorizza ciò che ha sperimentato socialmente. Il livello di sviluppo potenziale, ossia ciò che un allievo può raggiungere con l’aiuto di un adulto o di un pari più competente, è il cuore della sua teoria della zona di sviluppo prossimale. L’intelligenza si moltiplica nel dialogo, si nutre dell’alterità, si costruisce nella cooperazione.

Apprendere con gli altri è più efficace perché consente non solo di arricchire i propri punti di vista, ma anche di sviluppare competenze metacognitive, come la riflessione sul proprio pensiero, e sociali, come l’empatia e la capacità di negoziazione. La mente si affina grazie al pensiero condiviso, che rende l’apprendimento un processo dialogico e non meccanico. Non si tratta soltanto di accumulare nozioni, ma di imparare a rielaborarle insieme, in modo attivo e significativo.

Nella scuola primaria questa dinamica si realizza pienamente quando una classe viene guidata a lavorare in piccoli gruppi cooperativi. Durante un’attività di matematica, ad esempio, gli alunni possono proporre strategie diverse per risolvere un problema, confrontarsi e correggersi a vicenda, sperimentando l’efficacia del ragionamento collettivo. In un laboratorio di scienze, osservano insieme una pianta, ne discutono i cambiamenti, ipotizzano cause, registrano le trasformazioni e costruiscono collettivamente una mappa concettuale. Anche in un’attività di scrittura creativa, collaborano per inventare una storia comune, riflettendo sul lessico, sulla coerenza del testo e sul messaggio che desiderano comunicare. In tutti questi casi, l’apprendimento si trasforma in un’esperienza dialogica, cooperativa e non competitiva, in cui ciascun bambino sente di avere un ruolo attivo e riconosciuto nel processo.

La classe come comunità di apprendimento

La classe non può più essere considerata un insieme di individui isolati, seduti in file ad ascoltare passivamente. Deve diventare un luogo vivo, dove si sperimenta, si dialoga, si cresce insieme. Una vera comunità di apprendimento è un ambiente in cui ogni voce conta, dove l’errore è accolto come occasione, dove il sapere nasce dall’incontro tra soggettività differenti. In questo contesto, il ruolo del docente cambia radicalmente. Non è più un semplice trasmettitore di nozioni, ma si configura come un facilitatore e un mediatore culturale, un promotore di connessioni, capace di orchestrare relazioni, stimolare il confronto, valorizzare la cooperazione e sostenere l’autonomia degli studenti. Tale trasformazione implica un nuovo modo di pensare la didattica, basato sulla progettazione partecipata, sulla responsabilizzazione dei discenti e sull’adozione di strategie inclusive.

Nella scuola secondaria di primo grado, la costruzione di una comunità di apprendimento può emergere attraverso progetti interdisciplinari a forte valenza formativa. Si pensi a un percorso su ambiente e sostenibilità, in cui i ragazzi lavorano in cooperative learning per realizzare un video informativo, ciascuno con un ruolo preciso: chi scrive il testo, chi ricerca i dati, chi si occupa della grafica, chi cura l’aspetto tecnico. In questo modo, si apprende attraverso la cooperazione, si sviluppano competenze trasversali, come la comunicazione efficace, il pensiero critico, la gestione dei conflitti e il problem solving. Inoltre, si coltiva il senso di appartenenza al gruppo e alla scuola, si rafforzano i legami interpersonali e si favorisce l’inclusione degli studenti più fragili. L’apprendimento diventa così un processo condiviso, dinamico e significativo, capace di motivare profondamente e di lasciare tracce durature nel vissuto degli alunni.

Il cooperative learning come strategia per apprendere insieme

Il cooperative learning è una metodologia didattica fondata su strutture precise, in cui ogni membro del gruppo ha un compito definito e contribuisce al raggiungimento di un obiettivo comune. Non è un semplice lavoro di gruppo, ma una modalità organizzata di apprendere insieme, fondata su principi pedagogici ben definiti e supportata da numerose evidenze scientifiche. I principi fondamentali sono la dipendenza positiva, l’interazione faccia a faccia, la responsabilità individuale, le abilità sociali e la riflessione sul lavoro svolto. Questi elementi contribuiscono a creare un ambiente inclusivo, cooperativo e motivante, in cui ogni studente si sente valorizzato per le proprie risorse uniche. Questa strategia favorisce la motivazione intrinseca, potenzia le competenze trasversali e migliora il rendimento scolastico, oltre a sviluppare un atteggiamento critico, dialogico e responsabile verso il sapere. Inoltre, abitua a gestire i conflitti, a negoziare significati e a trovare soluzioni condivise in modo costruttivo, responsabilizzando i partecipanti nella costruzione di un clima relazionale positivo.

Nella scuola secondaria di secondo grado, il cooperative learning può essere applicato in diversi contesti disciplinari. In un laboratorio di filosofia, ad esempio, gli studenti possono essere suddivisi in gruppi per analizzare un brano di Platone, Hannah Arendt o Simone Weil, producendo una sintesi collettiva da esporre alla classe attraverso una rappresentazione teatrale, una mappa concettuale o un dibattito regolato. In un modulo di educazione civica, i ragazzi possono simulare un’assemblea parlamentare, assumendo ruoli diversi, documentandosi su normative reali e progettando una proposta di legge condivisa. Anche nella letteratura, il cooperative learning può essere utilizzato per analizzare romanzi da prospettive multiple, confrontare interpretazioni e costruire recensioni collettive. In ambito scientifico, può favorire la realizzazione di esperimenti cooperativi, con registrazione e interpretazione condivisa dei dati. In tutti questi casi, l’apprendimento diventa partecipazione attiva, riflessione critica, costruzione condivisa del sapere e occasione per allenare la cittadinanza democratica.

Collaborative learning e peer learning: apprendere con e attraverso i pari

Accanto al cooperative learning, altre due metodologie attive pongono al centro la relazione tra pari come motore dell’apprendimento: il collaborative learning e il peer learning. Entrambe si fondano sulla convinzione che la conoscenza sia un costrutto sociale e che il confronto fra studenti generi pensiero critico, autonomia e consapevolezza.

Il collaborative learning si basa sull’assunzione che gli studenti lavorino insieme per costruire significati condivisi, risolvere problemi complessi o produrre artefatti cognitivi (come relazioni, presentazioni, progetti). A differenza del cooperative learning, nel collaborative learning i ruoli non sono assegnati rigidamente e il processo è più flessibile e aperto, lasciando spazio alla negoziazione spontanea delle responsabilità. Questo approccio promuove il pensiero creativo e la capacità di autoregolarsi nel gruppo.

Il peer learning, invece, si realizza quando studenti di pari livello o con competenze leggermente differenti si aiutano reciprocamente, insegnando e imparando insieme. Può assumere la forma del tutoring tra pari, del confronto su esercizi, della revisione reciproca dei compiti. Questa modalità consente di consolidare le conoscenze, sviluppare l’empatia cognitiva e rafforzare l’autoefficacia.

Entrambe le strategie si prestano a essere applicate in ogni ordine di scuola. Nella scuola primaria, il peer learning può manifestarsi nei momenti in cui un bambino spiega a un compagno un’operazione matematica o lo aiuta nella lettura. Nella scuola secondaria di primo grado, il collaborative learning si esprime nella stesura condivisa di articoli per un giornalino scolastico. Nella secondaria di secondo grado, può essere adottato per realizzare podcast, dossier tematici o ricerche multimediali a più voci. In tutti i casi, la dimensione relazionale non è solo un mezzo, ma diventa essa stessa oggetto di apprendimento.

Apprendere relazionandosi, un investimento per la vita

Educare all’intelligenza condivisa non significa rinunciare alla valorizzazione dell’individuo, ma comprenderlo in una rete di relazioni significative che lo aiutino a fiorire. Ogni persona costruisce la propria identità non in isolamento, ma nel continuo confronto con l’altro. La scuola, in quanto microcosmo sociale, ha il compito di educare al dialogo, all’ascolto attivo, all’empatia, rendendo le relazioni il terreno fertile su cui crescono la conoscenza, la consapevolezza e la responsabilità personale. Insegnare a collaborare, a mettersi nei panni dell’altro, a comunicare in modo efficace è uno dei compiti fondamentali della scuola del futuro, chiamata ad affrontare le sfide dell’iperconnessione e dell’isolamento emotivo.

Le competenze relazionali non sono un’aggiunta accessoria al curricolo, ma costituiscono un prerequisito per ogni forma di apprendimento autentico. Studi pedagogici e neuroscientifici dimostrano che un clima relazionale positivo potenzia le funzioni esecutive, favorisce la regolazione emotiva e sostiene la motivazione a imparare. In un mondo complesso, fragile e interdipendente, la capacità di costruire ponti, di cooperare, di agire insieme per il bene comune non è solo auspicabile, ma necessaria per la sopravvivenza democratica e ambientale del pianeta.

Promuovere una didattica fondata sulla relazione significa preparare i giovani a vivere nella società in modo consapevole, etico e responsabile, sviluppando un senso di appartenenza e di impegno verso il contesto in cui vivono. E questo vale per ogni età, dal bambino che costruisce una torre con un compagno, imparando il valore della cooperazione, allo studente che discute con i suoi pari il significato della giustizia, esercitando il pensiero critico e l’etica del confronto. Insegnare a pensare insieme è un atto profondamente educativo, perché educa non solo alla conoscenza, ma alla convivenza civile.

Conclusione

Dal cervello sociale al cooperative e al collaborative learning, il percorso è chiaro: imparare è un atto collettivo. Le neuroscienze ci mostrano quanto la relazione sia il nutrimento del pensiero, la pedagogia ci offre gli strumenti per trasformare questa consapevolezza in pratica educativa. Una scuola che crede nell’intelligenza condivisa è una scuola che accoglie, che ascolta, che include. È una scuola che prepara non solo studenti competenti, ma cittadini solidali, capaci di costruire con gli altri un mondo più giusto. Perché si impara sempre insieme, anche quando si studia da soli. E perché, in fondo, ogni sapere ha senso solo se riesce a essere condiviso.