Nel cuore della scuola dell’infanzia

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Nel cuore della scuola dell’infanzia

di Margherita Marzario

La scuola dell’infanzia, nonostante la sua rilevanza sotto molteplici aspetti, continua a essere bistrattata o marginalizzata, soprattutto nell’immaginario collettivo o dalle stesse famiglie. Il pedagogista Daniele Novara richiama: “Una volta si chiamava scuola materna, oggi ha preso il nome di scuola dell’infanzia, per levarle quel retrogusto di maternage che non deve avere in quanto nasce proprio per togliere i bambini e bambine dal puro e semplice accudimento dei genitori. Lì si vivono esperienze, avventure, scoperte, laboratori…”. La scuola dell’infanzia è la prima istituzione pubblica ove si applicano gli articoli 2 e 3 della Costituzione a favore dei bambini ma, purtroppo, la funzione della scuola dell’infanzia non è riconosciuta, soprattutto da parte dei genitori che, tra le tante, ancora la chiamano “asilo”.

Il pedagogista Novara aggiunge: “Ritengo che siano proprio i cicli iniziali della frequenza scolastica quelli più interessanti. In particolar modo la scuola dell’infanzia che raggiunge i bambini e le bambine dai 3 ai 6 anni, periodo in cui si crea il cosiddetto «attaccamento sociale», ossia le regole a cui bisogna adeguarsi per stare assieme agli altri nel rispetto reciproco. A questa età si impara a litigare superando la frustrazione del proprio egocentrismo e cominciando a riconoscere la presenza altrui. In queste poche parole si trova il nucleo stesso dell’essere cittadini: rispetto me stesso rispettando gli altri e assumendo i miei diritti e i miei doveri in una logica di reciprocità e condivisione”. La scuola dell’infanzia è la prima scuola di cittadinanza e i primi che devono cogliere questo aspetto e contribuirvi sono i genitori, ancor di più i genitori di figli unici.

Infatti, l’educazione civica a scuola non deve essere intesa solo come un adempimento normativo ma coronamento del percorso scolastico quale educazione alla cittadinanza, di cittadini non del domani ma già del presente. In tal modo la scuola si concretizza quale formazione sociale ai sensi dell’art. 2 della Costituzione e si mostra istituzione, comunità, servizio e non una qualsiasi agenzia educativa. È un percorso che comincia già con la scuola dell’infanzia non con ore dedicate ma con lo stesso modus operandi della scuola dell’infanzia, con l’accoglienza e con i campi di esperienza, in modo particolare con il campo di esperienza “Il sé e l’altro” e con l’accoglienza anche delle famiglie con la sottoscrizione del Patto educativo di corresponsabilità.

Nella scuola dell’infanzia è prassi diffusa svolgere attività sulle cosiddette “parole gentili”, in primis il “grazie”, perché educazione civica è anche quella “educazione alla gentilezza”. Nelle famiglie odierne non tutti i genitori educano i figli a dire o esprimere in altro modo il “grazie”, perché essi stessi non sono educati in tal senso rivelando spesso ingratitudine verso i loro genitori o gli altri, o perché non fanno sperimentare la gratuità ai figli nelle relazioni sempre più spesso ridotte a un “do ut des”, o perché danno tutto e subito ai figli che, poi, pretendono altrettanto a scuola e in ogni altro ambiente (a differenza di quanto avviene in altre culture o civiltà, tra cui quella giapponese). Educare è anche allevare (cioè elevare), inculcare il rispetto di valori (art. 29 lettera c Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Novara afferma: “Avere un insegnante che spieghi la filosofia in un liceo è importante, ma avere una maestra o un maestro che dai 3 ai 6 anni aiuti i bambini a stare con gli altri, non ha paragone”. La scuola dell’infanzia è la prima scuola in cui si applicano i principi costituzionali, come lo svolgimento della personalità (art. 2 Cost.), rimozione degli ostacoli (art. 3 comma 2) e altri, ma questa funzione sociale non è adeguatamente riconosciuta in Italia e, soprattutto, nel Sud.

Daniele Novara continua: “Faccio mia l’esperienza francese e lancio un appello alla politica italiana: rendiamo le scuole dell’infanzia un luogo dove tutti i bambini e le bambine, necessariamente e obbligatoriamente, possano e debbano passare un pezzo importante della loro vita”. La scuola dell’infanzia è uno dei pochi luoghi (e non posti) dove i bambini possono essere, fare, diventare bambini.

È anche il luogo per eccellenza delle fiabe; le fiabe, soprattutto quelle classiche (tenendo conto che hanno avuto già varie riscritture), si possono usare anche per far inventare a bambini e ragazzi altri finali, la continuazione o farle riscrivere al contrario: per esempio si può proporre loro il lupo minacciato da Cappuccetto Rosso, che nella realtà succede quando si trasmette ai bambini l’ingiustificata paura degli animali o la mancanza di rispetto nei loro confronti, anche delle formiche. Così si può fare letto-scrittura creativa sin dalla scuola dell’infanzia.

Attraverso le fiabe, e non solo, si possono mettere in campo altre esperienze e attività, come l’educazione emotiva, quella motoria e lo yoga.

È necessario costruire e coltivare la memoria personale e familiare nei e dei bambini condividendo con loro esperienze, raccontando e raccontandosi, organizzando riti e routine (come si fa nella scuola dell’infanzia), raccogliendo e conservando almeno alcuni “cimeli” (fotografie, libri, giocattoli, vestitini) della loro infanzia, come si faceva in passato. È un processo importante per la formazione dell’identità personale e familiare (art. 8 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia “identità e relazioni familiari”) e della interiorità del bambino (art. 27 Convenzione “sviluppo spirituale”).

Sono in aumento i disturbi motori nei bambini, dall’iperattività alla disprassia. A parte le cause genetiche, ricerche recenti hanno rivelato che può dipendere da stimoli più o meno ricevuti nei primi sei mesi di vita. A questo si aggiungono altre cause esogene, come l’abuso della tecnologia già in tenera età, cattive abitudini dei genitori che portano in braccio i bambini per accompagnarli alla scuola dell’infanzia, non li fanno salire e scendere le scale autonomamente per paura che cadano, li portano nel passeggino anche quando hanno più anni di età e altro ancora. I genitori hanno abolito le fasce ai neonati, il girello e il box ma hanno adottato altri atteggiamenti più nocivi di quelli abbandonati. I genitori si occupano e preoccupano di tutto ciò che concerne la crescita dei figli ma non altrettanto del loro sviluppo. Lo sviluppo motorio è fondamentale per quello sviluppo integrale di cui all’art. 27 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Lo yoga è un’occasione speciale per riconnettersi con se stessi attraverso il respiro, il movimento e la consapevolezza. Lo yoga, però, non si pratica solo sul tappetino: può essere anche un viaggio interiore che comincia dalla lettura. Etimologicamente “yoga” significa “unione”, unione tra anima e corpo, tra uomo e realtà, armonia: quello cui educare i bambini e che si pratica soprattutto nella scuola dell’infanzia, per esempio nella routine del sedersi in cerchio o nella metodologia del circle time e che si potrebbe praticare anche nei gradi successivi.

Gli insegnanti dovrebbero fare gli artigiani delle emozioni e gli architetti delle menti degli alunni, a cominciare dalla scuola dell’infanzia o, soprattutto, nella scuola dell’infanzia, da cui gli altri gradi scolastici dovrebbero prendere esempio. Spesso, però, non ci sono le condizioni soggettive e oggettive per operare in tal modo, a cominciare dalla mancata collaborazione di molti genitori.

“L’affido familiare offre al bambino un contesto in grado di accompagnarlo nella crescita, ma ha anche l’obiettivo di ricostituire una base sicura nella relazione tra il bambino e chi si prende cura di lui. Una buona relazione di attaccamento è fondamentale per crescere sereni, mettere ordine nel passato, dare un senso agli eventi sfavorevoli e favorire i rapporti con la famiglia d’origine” (cit.). Tutti i genitori dovrebbero assumere l’atteggiamento dei genitori affidatari, cioè sviluppare una “misurata” relazione di attaccamento con i figli con la consapevolezza che i figli non appartengono ai genitori e che prima o poi devono uscire da quell’ambiente e andare altrove. Oggi, purtroppo, in molte famiglie non si sviluppa un “buon attaccamento” e gli effetti si vedono negli ambienti extrafamiliari, a cominciare dalla scuola dell’infanzia. Dove, alcuni genitori non solo non facilitano l’inserimento dei figli ma, in seguito, controbattono con le/gli insegnanti e giustificano o difendono ad ogni costo i figli arrampicandosi sugli specchi come i figli stessi: “Eppure a casa sta calmo, fa di tutto, disegna, colora… e da solo!”.

La collaborazione e il confronto dei genitori con la scuola dell’infanzia, invece, è costruttivo non solo per il percorso del bambino ma anche come supporto alla genitorialità stessa, perché il modello della coppia educativa delle/gli insegnanti (che si fonda e completa sulle e nelle differenze personali e intrapersonali) e l’identità stessa della scuola dell’infanzia (che, si ricordi, non è più scuola materna) offrono spunti e stimoli alla modulazione della propria genitorialità e della coppia genitoriale per allontanarla pure dalla “maternalizzazione” educativa solitamente dominante.

I bambini arrivano dalle famiglie e ritornano nelle famiglie, per cui urge che prendano consapevolezza di “famiglie come partner di un’alleanza educativa”, così definite nelle “Linee pedagogiche per il sistema integrato zerosei” (adottate con il decreto ministeriale 22 novembre 2021 n. 334).