Il silenzio più colpevole
di Vincenzo Andraous
Da tanti anni il carcere minorile del Beccaria sta nell’occhio del ciclone.
Da tanti e troppi anni c’è un silenzio tombale come unica risposta a quanto oggi esplode e implode con tutta la forza di una ingiustizia eretta a sistema.
Oggi se ne parla attraverso testimonianze, video-filmati, indagini a tutto campo divenute ormai inevitabili e certamente più che opportune sebbene in ritardo.
A leggere i giornali, ascoltare le televisioni, a vedere le immagini di video rubati, le sequenze delle violenze messe in pratica nei riguardi di giovanissimi detenuti, si evince l’assenza del più derelitto moto di vergogna, nella più tumefatta delle coscienze.
Ebbene questo corpo a corpo con una umanità sconfitta, solo apparentemente ci fa tremare le vene dei polsi, perché a ben guardare, pensare, riflettere, sono una riedizione inaccettabile di accadimenti ripetuti con tanto di residenza dentro cattedrali nel deserto, così ben edificate per meglio rendere silenziati comportamenti e atteggiamenti che nulla hanno a che vedere con le Leggi, gli Ordinamenti, la Costituzione.
Ritornando con la mente agli anni in cui il Beccaria prorompeva nelle cronache nazionali per i ben noti fatti inerenti la metodologia del detenere e accompagnare attraverso la vituperata parolaccia del ri-educare giovani e giovanissimi, brandendo gli strumenti mai vetusti della forza e della violenza fine a stessa, con i corposi arresti dei vari operatori conducenti la piccola cittadella, viene da chiedersi in questo presente di nuove e rinnovate indagini, ricerca di riscontri, di messa in accusa di altri operatori e volontari operanti nella struttura; ma quando tutto questo costante scempio accadeva, quando tutto questo dispendio inusitato di infrazioni a ogni legge statuale riconosciuta, quando i corpi stavano scomposti e segnati dalle percosse, dalle sevizie, dove erano coloro che oggi si scandalizzano, si stracciano le vesti per non aver saputo, visto, letto tra le righe la storia vera e non quella recitata in qualche palcoscenico di periferia.
Autorevoli esperti, saggi, conoscitori del genere umano, soprattutto quello in catene che hanno scelto autonomamente di aiutare in un percorso di rinascita, come hanno potuto non rendersi conto di quanto giornalmente veniva portato a temine con scientificità. Io non sapevo, tu non sapevi, egli non sapeva, in questo spintonamento autoassolutorio, rimane lo sguardo “comprendente” improvvisamente assente nel silenzio più colpevole.
E nonostante questo sfacelo di disumana disumanità, occorre persistere a immaginare un futuro in cui il rispetto della dignità delle persone, anche di quelle ristrette, minori e adulti, uomini e donne che scontano la propria pena, non siano umiliate e costrette a una sofferenza imposta nell’indifferenza delle istituzioni e della collettività.