Lottare per vivere
di Antonio Stanca
Al 2007 risale la versione originale del libro La bambina con i sandali bianchi di Malika Bellaribi, la cantante lirica di origine algerina che è nata nel 1956 nella bidonville di Nanterre, presso Parigi, dove i suoi genitori si erano rifugiati insieme a tanti altri emigranti provenienti da ogni parte del mondo. A cinquantasei anni la Bellaribi, che ha iniziato ad essere nota nella lirica dalla fine degli anni ’80, vive in Francia, partecipa a molti concerti ed anni fa, dopo insistenti richieste, ha accettato di scrivere quest’opera che consiste in un’autobiografia. Ora è comparsa in Italia nelle Edizioni Piemme Bestseller di Milano (pp. 218, € 10,00). La traduzione dal francese è di Roberto Boi. In undici altri paesi il libro è stato tradotto e pubblicato e ha avuto successo.
In verità nella narrativa più recente il genere autobiografico è risultato fortunato molto probabilmente perché più semplice, più vero, più sincero rispetto alle tante complicazioni che gli altri generi hanno assunto nel contenuto e nella forma. Nella scrittura autobiografica l’autore e il lettore si ritrovano con facilità. Mentre il primo ricostruisce quanto è successo nella sua vita, spesso drammi dai quali intende liberarsi, il secondo rivive alcune emozioni, alcuni sentimenti che gli sono stati propri poiché ad ogni vita sono appartenuti. E subito coinvolto si sente in ciò che legge, protagonista si scopre di vicende che anche a lui sono capitate e che finalmente vede valere pure per gli altri, per tutti. Non un documento, infatti, rimane la narrazione ma un romanzo diventa nelle mani dello scrittore, significati estesi raggiunge.
Così è successo che molto letto sia stato l’unico libro scritto da Malika Bellaribi. Lo ha fatto quando aveva cinquantuno anni, ha trasformato in un romanzo i gravi casi della sua vita, ha procurato loro una dimensione superiore a quella reale.
Era nata nella bidonville di Nanterre, un misero sobborgo di Parigi, era vissuta, settima di nove figli, nella povertà, nella miseria e aveva sofferto anche la mancanza di ogni affetto da parte della madre. Neanche dopo il grave incidente subito all’età di quattro anni e dal quale era stata immobilizzata, dopo i lunghi anni di degenza in ospedali e cliniche, dopo i tanti interventi chirurgici per farle recuperare le gambe, neanche quando sarà guarita, avrà avuto una famiglia, una bambina, sarà diventata nota come cantante lirica, neanche allora la madre l’avrebbe accettata. Né in precedenza aveva potuto contare sul padre o sui fratelli e sorelle, tutti a lei ostili forse perché contagiati dal comportamento della madre. Nella loro casa si sentiva soltanto urlare, i più piccoli perché piangevano, i più grandi perché sempre agitati. Era, quindi, fuggita, si era esposta a imprevisti, rischi di ogni genere. Ai vecchi problemi aveva visto aggiungersi altri, discriminata, respinta si era ovunque sentita a causa delle sue origini, del colore della sua pelle. Ma non si era mai completamente arresa, aveva sempre reagito, aveva sempre creduto di farcela, sperato in una situazione diversa, in un futuro migliore. Sarà questa aspirazione, questo bisogno di altro a farle scoprire la musica. Con la musica crederà di colmare quella mancanza di affetto che l’aveva fatta soffrire per una vita intera, di rifarsi di quanto non aveva mai avuto, di soddisfare il suo bisogno di bene, di amore perché la musica annulla ogni distanza e differenza, porta ad incontrarsi, unisce, “la musica è universale, associativa, è accessibile a qualunque ambiente socio-culturale”. La studierà pur con molti sacrifici, tra tante difficoltà ed anche se lentamente arriveranno i primi risultati, quelli che la incoraggeranno a continuare fino a diventare una nota cantante lirica, la Bellaribi che oggi, oltre alla sua attività professionale, promuove e svolge operazioni finalizzate a far giungere la musica nelle zone più povere della Francia, a farla apprendere alle persone che vi abitano, adulti e bambini, a coinvolgerle con essa, in essa, a farle sentire capaci di progredire tramite la conoscenza e la pratica della musica, di superare la grave condizione nella quale versano e partecipare della vita degli altri. Una funzione morale, culturale, sociale è giunta ad attribuire alla musica.
Questa la vita, questo il pensiero, questa l’opera della Bellaribi e un romanzo sono diventati del quale è protagonista e autrice. Un messaggio ha ricavato dalle sue pene e lo ha rivolto a chiunque soffre nel mondo. Lo ha invitato a non disperare, a credere sempre possibile una modifica, un miglioramento. Come ha fatto lei così dovrebbero fare quanti hanno vissuto e vivono dei drammi, non dovrebbero rassegnarsi né rinunciare a lottare. Un ideale di fiducia, di resistenza persegue e propone il libro, ad esso si appella, esso affida alle forze dell’anima.
Chiara nell’espressione l’opera è giunta a moltissimi lettori. E’ stata letta come se si trattasse di un testo religioso tanto vicino a quello di un comandamento è il suo tono.
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