I docenti e le prove Invalsi

da Tecnica della Scuola

I docenti e le prove Invalsi
di Giovanni Sicali
Sulla base dell’articolo 51 non resta alcun margine di dubbio sull’obbligatorietà delle prove Invalsi per le “istituzioni scolastiche”. E qui c’è largo spazio alle interpretazioni e al dibattito per una corretta prassi comportamentale
I docenti hanno subito una serie di pretese indebite dalle norme Miur per lo svolgimento delle prove Invalsi, secondo un vero e proprio crescendo rossiniano. Inizialmente , con la C.M. n.86 del 22 /10/2009, è stato loro richiesto un “armonico coinvolgimento di tutte le parti interessate”, la “collaborazione” e la “disponibilità”. Poi si è passati all’obbligatorietà con l’Art. 51, comma 2 della Legge 4/4/2012, n. 35 su “Potenziamento del sistema nazionale di valutazione”. Qui si afferma categoricamente: “Le istituzioni scolastiche partecipano, come attività ordinaria d’istituto, alle rilevazioni nazionali degli apprendimenti degli studenti”.
Sulla base di questo articolo 51 ormai non resta alcun margine di dubbio sull’obbligatorietà delle prove Invalsi per le “istituzioni scolastiche”. E qui c’è largo spazio alle interpretazioni e al dibattito per una corretta prassi comportamentale.
In questo sito, il 6/10/2012, è stata riportata la sentenza n. 212/2012 del 29/8/2012 del Tribunale ordinario di Trieste, sezione civile riguardante la obbligatorietà della somministrazione delle prove dell’Ente Invalsi da parte del personale docente. “Si tratta di una materia sottratta all’autonomia del singolo istituto scolastico che trova disciplina uniforme e competenze unitarie nell’ambito del territorio nazionale. In particolare, è proprio e significativamente il regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche che, all’art. 10, comma 1, DPR 275/1999 prevede che “per la verifica del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento e degli standard di qualità del servizio il Ministero della Pubblica Istruzione fissa metodi e scadenze per rilevazioni periodiche (…) Al Collegio Docenti potrebbero tutt’al più riconoscersi facoltà propositive di modalità organizzative per conciliare lo svolgimento delle rilevazioni Invalsi con l’ordinaria attività didattica, ma non ha decisione sullo svolgimento o meno delle stesse”.
Dopo aver sottolineato che è indispensabile il “concorso istituzionale” di tutti i soggetti e specialmente la collaborazione delle scuole, il Ministero ( con le note del 20/4/2011 e del 18/10/2011) rammenta anche che “gli impegni connessi allo svolgimento delle rilevazioni dovranno trovare adeguato spazio di programmazione nell’ambito del piano annuale delle attività, predisposto dal dirigente scolastico e deliberato dal collegio dei docenti ai sensi dell’art. 28, comma 4, del vigente CCNL”.
Le prove Invalsi rientrano quindi nell’attività ordinaria dell’Istituto e sono un obbligo nella loro articolazione totale per i dirigenti scolastici (rappresentanti delle istituzioni), ma non attengono – in tutte le fasi dello svolgimento – alla persona del singolo docente. Il problema nasce dal fatto che i docenti non sono l’istituzione scolastica.
A nostro parere, l’unico obbligo individuale per i docenti rimane quello previsto dal contratto ancora in vigore all’art. 29, comma 5. Questo dovere si può riferire unicamente alla fase di somministrazione delle prove Invalsi in orario di ordinaria attività di servizio, e come attività di vigilanza sugli studenti. Per altre attività al di fuori di queste (ad esempio la preparazione e la correzione delle prove Invalsi), giustamente, il riconoscimento economico potrà essere individuato in sede di contrattazione integrativa di istituto, ai sensi degli artt.6 e 88 del vigente CCNL come attività incentivate. Ma proprio perché incentivate, tali attività propriamente aggiuntive restano soggette alla libera accettazione dei docenti e quindi non sono obbligatorie perché non previste dalla funzione docente.
I docenti, contrari alla “invalsione” della scuola, sono ormai disprezzati e calunniati dall’opinione pubblica e sono tacciati di essere fannulloni quando invece è proprio sulla pelle dei pubblici dipendenti che si accaniscono tutti i governi: vengono aumentati gli oneri di lavoro ma restano bloccati gli scatti stipendiali e i contratti nazionali; e si allungano gli anni prima del sospirato pensionamento.