Cl@ssi 2.0? Meglio chiuderle

da ItaliaOggi

Cl@ssi 2.0? Meglio chiuderle

di Mario D’Adamo

Viale Trastevere non dà retta all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, (Ocse), alla quale il ministro dell’istruzione Profumo aveva chiesto una valutazione sul piano nazionale della scuola digitale, e incrementa il numero delle cl@ssi 2.0 invece di ridurle e puntare tutto su scuol@ 2.0.

Il piano, secondo il comunicato reso pubblico il 5 marzo sul sito del ministero, «presenta numerosi punti di forza e interesse, seppur in un quadro nel quale non mancano problemi e criticità», ma sarebbe stato meglio invertire i termini e ammettere che la valutazione è stata negativa, mentre ridotto è il numero degli elementi positivi, per lo più confinati nelle buone intenzioni, nella disponibilità del personale e in vaghe prospettive di crescita. E non si tratta di guardare al bicchiere mezzo vuoto, poiché agli attuali ritmi per l’estensione del piano a tutte le classi, con tanto di tablet e lavagne Lim per tutti, dovranno passare almeno quindici anni, quando ne saranno trascorsi ventisette dall’annuncio del 2001 delle tre “I” del ministro Moratti e del presidente del consiglio Berlusconi. Per l’Ocse, infatti, è un grosso limite che le risorse annuali a disposizione del piano siano così scarse da rappresentare l’1 per mille del budget del ministero dell’istruzione, anche se in cifre assolute la somma è pur sempre elevata, trenta milioni di euro, solo cinque per ogni alunno. Troppo ridotto il numero delle classi coinvolte nei progetti cl@sse 2.0 (416) e scuol@ 2.0 (14+15), poche le risorse didattiche digitali a disposizione dei docenti, non sufficiente lo sviluppo professionale del personale, quest’ultimo punto compare solo nella versione inglese del rapporto. Tra i punti di forza c’è «la volontà dell’Amministrazione di incrementare l’uso delle tecnologie e di internet nelle scuole italiane». L’obiettivo sarebbe in sintonia con quello di altri paesi, che però hanno superato l’Italia non tanto nella volontà di dotare le scuole di strumentazioni, le buone intenzioni non ci mancano, quanto nell’assegnazione concreta di risorse. In Gran Bretagna, infatti, ben l’ottanta per cento delle classi può contare già oggi su strumenti didattici e digitali. È positivo poi che la Lim, lavagna multimediale interattiva, possa essere utilizzata a costi iniziali non elevati e sia compatibile con tutti i metodi di apprendimento e didattici, e che si sia «rivelata (_) una sorta di cavallo di Troia che incoraggia la maggior parte dei docenti a incrementare l’uso delle tecnologie (internet e PC) nella loro attività professionale». È anche positivo l’approccio utilizzato per l’introduzione del piano: non un’imposizione dall’alto, destinata a creare resistenze, ma una risposta alle richieste di adesione che volontariamente provengono dalle scuole. Ciò dovrebbe ridurre al minimo il rischio che le nuove tecnologie non siano utilizzate, ma l’osservazione non è sostenuta con dei dati che smentiscano le lamentele di genitori e alunni che vedono deperire le Lim. E infine, sono positive le procedure di acquisto delle lavagne, dei pc e dei portatili attraverso gruppi di acquisto temporanei costituiti dalle scuole e sostenute da Consip. Sono tutti elementi, però, destinati a non far fare un passo in avanti alla diffusione del piano, se contemporaneamente alle scuole non saranno aumentati i finanziamenti, è la raccomandazione principale dell’Ocse, che si spinge a suggerire «di concentrare le risorse su Scuol@ 2.0 e interrompere l’iniziativa Cl@sse 2.0». Ma è una raccomandazione che, senza affermarlo, il ministero è costretto a respingere, avendo già stipulato il 18 settembre scorso una serie di accordi con le regioni, che prevedono dal prossimo anno scolastico l’installazione di altre 4.200 lavagne interattive e l’attivazione di altre 2.700 cl@ssi 2.0 e solo 17 scuole 2.0.