Tra cronaca e letteratura
di Antonio Stanca
Ha sessant’anni, vive e lavora a Londra e vi si trova dal 1970, quando aveva diciassette. Si era trasferito dalla provincia inglese dove era nato nel 1953 e dopo aver ricevuto un’istruzione presso il Lancing College. Nella capitale aveva cercato lavoro e poi aveva cominciato a scrivere per giornali e riviste. Scriveva soprattutto di viaggi, di quelli che faceva nei Caraibi, in Estremo Oriente, nel Pacifico Meridionale. Giornalista indipendente, free-lance era stato per molto tempo e negli ultimi anni del ‘900 aveva cominciato a dedicarsi alla narrativa. Scrittore fantasma, ghost writer si era rivelato nel senso che non sempre il suo nome compariva sulle copertine dei romanzi. Questi trattavano generalmente di vicende ambientate in paesi sottosviluppati, presso popoli gravemente arretrati, di situazioni individuali e sociali molto sofferte, di persone che vivevano in stato di estremo disagio e non avevano nessuna possibilità di dire, parlare, scrivere del loro caso. Perciò l’autore aveva pensato di fare della loro la voce di molte sue opere, aveva rinunciato ad ascriversi la produzione di queste ed aveva permesso che sulla copertina apparissero altri nomi. Altre volte il suo nome era comparso insieme a quello di altri scrittori. Molto ha scritto, in diversi modi si è presentato, molto successo ha avuto come con il romanzo Vendute del 1992, realizzato insieme alla scrittrice inglese Zana Muhsen e risultato, quell’anno, il più letto in Francia e il più venduto nel mondo.
Altri riconoscimenti in patria e all’estero ha ottenuto questo autore, da alcuni suoi lavori sono stati tratti film di successo o sceneggiature televisive, Andrew Crofts è il suo nome e dai luoghi, dalla gente, dagli ambienti conosciuti durante i lunghi viaggi ha tratto i motivi del suo giornalismo e poi quelli della sua narrativa. In questa spesso è rimasto nell’ombra per dare una voce a chi non ce l’ha e non sa come fare per dire di sé, della sua pena, a volte ha scritto insieme ad altri e a volte si è mostrato da solo, nella sua identità. E’ il caso di un romanzo del 2006 intitolato Il piccolo eroe e recentemente ristampato dalla casa editrice Piemme Bestseller di Milano col titolo Il fabbricante di sogni e con la traduzione di Leonardo Dehò (pp.199, € 9,50). Come in altre opere anche in questa Crofts si muove tra realtà e invenzione al fine di realizzare i suoi propositi di giornalista e scrittore, cioè denunciare le sopraffazioni, gli abusi ai quali sono esposte intere popolazioni o fasce di esse che, pur in un mondo moderno, patiscono ancora condizioni di schiavitù. Ne Il fabbricante di sogni ci si trova in Pakistan, Asia Occidentale, e ad essere rappresentati sono i bambini di un villaggio sperduto che vengono sistematicamente venduti ai proprietari di fabbriche di tappeti o mattoni. Questi fanno dei prestiti alle famiglie dei bambini che tanto bisogno hanno di aiuti economici e in cambio usufruiscono senza limite del lavoro dei minori. Un mercato simile avviene nel Pakistan ma uno di quei bambini, Iqbal, è diverso, non sopporta la situazione e fugge. Fugge dalla fabbrica di tappeti dove è costretto a lavorare senza sosta, fugge dalla famiglia che lo ha venduto e s’imbatte nei rappresentanti di un’associazione sorta da alcuni anni nel suo Paese e interessata a tutelare i diritti dei minori, a scoprire e risolvere casi nei quali essi vengono sfruttati. Iqbal diviene amico di chi presiede l’associazione, da questi è protetto, difeso, fatto istruire e trasformato nel simbolo di quell’umanità che si vorrebbe liberare dalle catene della schiavitù. Iqbal parla del problema nelle scuole, nelle piazze, viene invitato a farlo anche all’estero, ottiene dei riconoscimenti dal momento che oltremodo giusta sembra ovunque la sua battaglia a favore di bambini sottratti alla famiglia, alla scuola e utilizzati per produrre con poca spesa. Il bambino, ormai ragazzo, è ovunque ammirato per il suo coraggio, la sua determinazione, nel giro di pochi anni il suo nome è noto in molti posti, diventa quello di un personaggio. Ma basta che rientri a casa per trascorrervi le festività pasquali e una mano anonima pone fine alla sua vita: stava sfidando un sistema che durava da secoli. Tuttavia il suo nome, le speranze, i sogni da lui rappresentati non finiranno poiché la loro importanza era stata tale da farli rientrare nel pensiero, nella cultura, nella storia del popolo pakistano, da procurare alla figura del ragazzo i caratteri della leggenda, del mito.
Bene è riuscito Crofts ad usare i modi del parlato e ad ottenere significati profondi, estesi, a fare letteratura della cronaca, a tradurre in romanzo un evento, a coinvolgere fin dall’inizio il lettore, a richiamarlo attraverso i sentimenti, le emozioni del protagonista ai principi della giustizia, ai doveri della coscienza, a provare come siano inalterabili, come valgano pur in circostanze disperate.
Sarà il lungo esercizio giornalistico a permettergli di raggiungere con facilità tali risultati!
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