Ugolini: coniugare tradizione italiana e anglosassone nella valutazione

da tuttoscuola.com

Ugolini: coniugare tradizione italiana e anglosassone nella valutazione

Il sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini in una videointervista all’agenzia Dire ha parlato della necessità di rivedere in modo sistemico tre fasi importanti del sistema nazionale di valutazione: esame di Stato, esame di ammissione all’Università e prove Invalsi.

In Italia – ha detto l’Ugolini – abbiamo un sistema di valutazione con il quale si può andare avanti“.

La soluzione proposta dal sottosegretario dovrebbe essere quella di coniugare la tradizione classica e tecnica italiana con quella proveniente dal mondo anglosassone. “I nostri ragazzi sostengono l’esame di Stato, poi molte università chiedono degli esami di ammissione perché ‘non si fidano’ dei voti in uscita agli esami di Stato“.

E per l’anno prossimo è prevista anche “una rilevazione esterna degli apprendimenti degli Invalsi su italiano e matematica per tutte le quinte superiori“. Occorre “capire in che modo coniugare la nostra tradizione culturale dell’esame di Stato”, che punta “sull’oralità, sulla creatività, sulla capacità di svolgere delle prove aperte, pratiche, concrete e tecniche, con una tradizione anglosassone di prove esterne standardizzate sugli apprendimenti, magari computer based– ha spiegato Ugolini- che permetteranno di poter fare delle prove aperte, strutturate anche in modo diverso, evitando il cheating (la copiatura) e avendo in tempi brevi dei risultati“.

Stiamo lavorando su questo argomento – ha precisato il sottosegretario Ugolini- sicuramente daremo un disegno prospettico per il nuovo governo, ma già da gennaio ci saranno delle prove esterne standardizzate di italiano e matematica per tutte i ragazzi di quinta superiore. Molte università stanno lavorando affinché quei punteggi possano essere utilizzati anche per le ammissioni“.

Ma l’impegno del ministero continua anche nella direzione di valorizzare, attraverso un decreto, “il voto di maturità per le ammissioni  all’università, perché non ha senso che un ragazzo faccia fatica e lavori per cinque anni e questo non gli venga riconosciuto nell’ammissione“.