Scuola, non mancano solo i soldi

da L’Espresso

Scuola, non mancano solo i soldi

L’ennesimo confronto con gli altri paesi europei mostra che restiamo fanalino di coda per i finanziamenti all’istruzione. Ma il problema non è solo questo: mancando gli investimenti strutturali, la qualità è a macchia di leopardo. E soprattutto non si riesce a capire qual è il progetto per il futuro

Galatea Vaglio

Ennesima tabella di confronto con i paesi europei, ennesimo scappellotto: l’Italia (non è una novità, ma una triste conferma) per la cultura e scuola spende poco, pochissimo. Molto meno, per dire, di Stati che hanno un patrimonio artistico ridicolo in confronto al nostro.
E’ per questo, si dice, che la scuola italiana è di bassa qualità: ci sono pochi investimenti, pochi fondi.
E’ vero. O meglio, è vero che la scuola arranca. Non è del tutto vero che sia “di bassa qualità”, come viene dato per scontato ogni volta negli articoli: il problema della scuola italiana, semmai, è che è di buona e media qualità, talvolta anche alta ed altissima, ma questa qualità è distribuita a casaccio, a macchia di leopardo, proprio perché, non essendoci in realtà finanziamenti certi e investimenti strutturali e strutturati, le scuole si reggono sulla buona volontà del corpo docente che capita in servizio, e quindi se un anno in un istituto ti ritrovi con personale motivato e disposto a fare anche senza finanziamenti, la cosa funziona, se invece l’anno dopo il personale cambia o non è più disposto a lavorare molte ore gratis e solo per la gloria va tutto a catafascio e amen.
I soldi, dunque servono: servono per dare continuità ai progetti, servono per far funzionare a regime le sperimentazioni inventate per spirito di servizio dai docenti e dai dirigenti illuminati, servono per l’organizzazione ed il mantenimento delle buone pratiche. Ma non sono solo quelli il problema. Il problema fondamentale, secondo me, è che noi tutti, docenti, dirigenti, anche genitori, vorremmo sapere e capire, prima di avere i soldi e presentare i progetti, che cavolo di scuola si vuole in Italia.
Perché vi giuro, da addetta ai lavori che ormai da anni lavora nel settore, io, per esempio, non lo so. Abbiamo avuto diverse riforme, e Ministri dell’Istruzione che si sono succeduti in governi fra i più vari. Ma quale sia l’idea che sta sotto alla scuola italiana di oggi, l’idea didattica fondante, il progetto non l’ho capito.
A scuola, come in ogni altro settore dell’economia italiana (e la scuola è un settore dell’economia, anzi, è quello che deve dare il la allo sviluppo economico) si naviga a vista, e ognuno un po’ facendo come gli pare. Le indicazioni ministeriali e le riforme arrivano, vengono applicate anche, ma un po’ così come capita, anche perché un po’ così come capita paiono fatte. Un anno ci dicono che dobbiamo digitalizzarci, e noi ci digitalizziamo: mettiamo le lim in classe, ci arrivano i nuovi libri in formato ebook, ci dicono che quello è il futuro ma non ci mandano un “foglio del come”, fidandosi nell’italica arte di arrangiarsi ad imparare cosa serve, o sul tacito patto che il docente che non vuole in realtà adottare la novità si limiterà ad adottarla per pro forma continuando a fare come ha fatto prima.
Ci dicono che gli alunni devono imparare a rispondere ai test INVALSI, secondo i criteri OCSE PISA, ma poi a cosa servano gli INVALSI non è neppure ben chiaro nella scuola, vengono inseriti come prova agli esami di terza media non si sa perché, gli altri dati restituiti alle scuole dove come al solito sta alla buona volontà del docente farsene qualcosa, e la valutazione dell’istituto che dovrebbe dipendere da loro non si sa come verrà fatta e che ricadute pratiche avrà.
Ci dicono che la scuola per dimostrare di essere dinamica deve fare progetti, ma, a parte che poi si tagliano i fondi per finanziarli, non è chiaro come venga poi valutata la ricaduta pratica di questi progetti stessi: perché se io durante l’anno faccio cinque progetti bellissimi ma poi nella mia classe i ragazzini non sanno distinguere un complemento oggetto da un predicato sono io una insegnante più valida di quella che non fa nessun progetto ma gli insegna la banale sintassi?
E il mio ruolo del docente, qual è? Mi dicono che devo essere più severa e bocciare di più? Ok, ma quelli che non ce la fanno, magari non solo per cattiva volontà loro ma per problemi sociali e famigliari pregressi? Li boccio e basta, confidando che qualche altra istituzione dello Stato se ne faccia carico, e ci sia qualcuno che applica quel famoso articolo della Costituzione che dice che gli ostacoli economici e sociali vanno rimossi per garantire a tutti i cittadini la libertà? Non li boccio, ma non avendo soldi per corsi di recupero che aiutino loro a colmare le lacune, li mando allo sbaraglio promuovendoli a caso, e così facendo mi assumo la responsabilità di abbassare il livello medio dell’istruzione impartita? E i miei obiettivi, come insegnante, quali sono? Un livello medio stantard uguale in tutti gli istituti, per cui io mi devo limitare ad insegnare ai ragazzini le tecniche per rispondere ai test che certificano le loro competenze, e se lo faccio sono una brava insegnante, oppure un apporccio creativo, che magari li renda un po’ meno veloci a rispondere ai test, ma insegni loro il pensiero creativo e critico? Un mix fra i due? Ma poi questo “mix” come fa ad essere valutato e controllato, se poi ho un sistema valutativo a test che raramente riesce a tener conto di altri aspetti? Ecco, io, prima ancora dei soldi, vorrei delle risposte. Delle risposte qualunque, dal Ministero, che mi spiegassero in maniera chiara e una volta per tutte, che idea di scuola e di apprendimento si ha e si vuole applicare. Perché dopo io, al limite, da bravo soldatino, la applico, anche. Ma se si vuole che i docenti siano motivati, che sappiano cosa fare esattamente in classe e lo facciano, bisognerebbe anche che qualcuno, finalmente, ci convocasse ad un tavolo e ce lo spiegasse. Perché così, con riforme e circolari che arrivano ad ogni piè sospinto e dicono di applicare ora un modello educativo e didattico ora un altro, ora nessuno, noi per primi siamo spiazzati, in classe e con i ragazzi.Quando si dice che gli insegnanti sono demotivati, è vero. Parte della nostra insoddisfazione è dovuta al fatto che siamo diventati meri esecutori, ma non capiamo nemmeno bene di cosa. Ci proviamo, andando in classe, ma non abbiamo nemmeno la certezza assoluta che la nostra interpretazione sia quella giusta e quello che progettiamo per la nostra classe sia del tutto corrispondente allo spirito o alla sostanza delle direttive. E questo non perché siamo fanulloni poco aggiornati e resistenti al cambiamento, ma perché proprio il cambiamento nemmeno si capisce esattamente in cosa consista e cosa sia. E’ come se ci dicessero che dobbiamo andare in un posto, ma non ci dicessero quale e come ci si deve arrivare.
Insomma, io credo che il problema della scuola italiana non siano “solo” i soldi. E’ che bisognerebbe che qualcuno discutesse poi decidesse che cosa è la scuola, a che cosa serve e come va di conseguenza impostata. Ci vuole un confronto e una riflessione: aperta, franca, di quelle che anche finiscono in rissa, ma chiarificatrice. Non solo fra politici e parlamentari, e neanche solo fra Governo e Sindacati. Bisogna proprio che se ne parli con il corpo docente, che si ascolti, che si spieghi, che si decida un modello nuovo e valido per tutti, per poter ripartire da quello come base condivisa.
Finché non ci sarà questo, continueremo con le riforme applicate un po’ qua e un po’, là, le resistenze, le incomprensioni, i progetti bellissimi ma estemporanei, il dover impapocchiare le cose alla bell’e meglio per far finta che le direttive vengano applicate. Poi, secondo me, i soldi in qualche modo si trovano e le cose si fanno. Ma prima bisogna decidere cosa e come fare, uff.