Valutazione sì, ma oltre i test

da ItaliaOggi

Valutazione sì, ma oltre i test

L’Ocse individua la nuova frontiera dell’accountability. In Italia sciopero contro l’Invalsi
Lo screening deve estendersi ai processi di apprendimento

di Giovanni Brusio

Se l’istruzione riesce a mantenersi al passo coi tempi è merito della valutazione. Senza i sistemi di valutazione, come da noi ad esempio i test Invalsi, secondo l’Ocse la scuola sarebbe peggiore. Mentre in questi giorni torna d’attualità l’agitazione contro le prove Invalsi (per impedire lo svolgimento-dei quiz, i comitati di base hanno indetto lo sciopero il 7maggio alle elementari, il14 alle medie e il16 alle superiori), l’Ocse pubblica uno studio da titolo «Synergies for better learning», in cui constata come la valutazione nel mondo è sempre più un fatto scontato nella vita degli studenti ma anche dei dirigenti scolastici e docenti.

Insomma, sottolineano dall’Ocse, la valutazione, soprattutto quella tesa a dare un voto alla scuola oltre che agli studenti, è diventata ormai il core business dell’autonomia scolastica. Ma soprattutto diventerà cruciale man mano che si allargherà a comprendere, oltre che il dato sommativo, anche quello formativo, ampliando il proprio orizzonte dalla sfera delle prestazioni sic et simpliciter ai test, a quella dei processi di apprendimento delle persone. L’universo studentesco, afferma Andreas Schleicher, patron dell’Ocse Pisa, diventa sempre più differenziato al proprio interno; di conseguenza diventa sempre più importante esercitare letture diverse e a più livelli del micromondo della scuola, cosa che si può fare attraverso un attento uso dei sistemi di valutazione e autovalutazione. Se la tendenza dei vari Paesi è di coagulare le politiche scolastiche intorno alla valutazione, le declinazioni che se ne registrano possono variare sensibilmente da paese a paese. C’è da dire che nel dibattito in corso, anche nei sistemi scolastici più accountabilizzati, cioè responsabilizzati rispetto ai risultati della valutazione, in gioco c’è un’idea di competitività delle persone che, pare, resta ancora da esplorare in tutti i suoi anfratti. In Italia, ad esempio, il timore degli scettici è quello che attraverso il tracciamento delle prestazioni degli studenti ai test, questi rischino di restare prigionieri dei propri risultati. Dall’Invalsi invece spiegano che l’ancoraggio dei test invalsi all’anagrafe degli studenti serve a dare al sistema scolastico italiano uno strumento statistico per l’analisi delle coorti con cui orientare meglio le politiche scolastiche del futuro, e alle singole scuole uno strumento per misurare anche e soprattutto i processi di apprendimento di ciascuno studente, misurando lo scarto tra i test di entrata e quelli d’uscita, e tra i diversi intervalli delle misurazioni dell’apprendimento nel corso dell’obbligo. D’altra parte che i soli risultati ai test di apprendimento non bastino più lo dimostra la stessa insistenza con cui l’Ocse sta battendo il ferro in questa congiuntura economica.

L’Ocse, infatti, rileva che proprio i paesi che già attribuiscono alla valutazione un ruolo centrale e strategico, sono gli stessi che ne stanno espandendo l’uso e la funzione. Nei Paesi più avanti di noi in fatto di valutazione, ci si sta orientando verso approcci di valutazione sempre più globali, tesi a dare valore soprattutto al processo di apprendimento degli studenti. In tutti i sistemi più accountabilizzati, mentre cresce il peso della valutazione esterna, aumenta anche quello della valutazione dei dirigenti scolastici e degli insegnanti, ma anche il peso della valutazione delle competenze sociali e trasversali degli studenti, come il pensiero critico, la capacità di collaborare ecc.. Insomma per l’Ocse non ci sono dubbi: senza la valutazione la scuola non reggerebbe l’urto del cambiamento. Ma adesso più che convincere gli irriducibili, la vera sfida pare essere quella al superamento dei limiti stessi della valutazione educativa, soprattutto se quantitativamente intesa. Testare le competenze matematiche e scientifiche, oltre a rispondere a istanze strategiche legate prevalentemente al mercato del lavoro, connesso ai settori dell’innovazione tecnologica a breve e medio termine, oggi corrispondono anche ad esigenze economiche. Da una parte oggi conviene concentrarsi sulle competenze che risultano più appetibili all’economia della conoscenza, ma c’è anche da dire che la valutazione è costosissima, soprattutto se si vuole fare bene. Ma quando prima o poi anche i costi della valutazione si abbatteranno grazie alle nuove tecnologie, si potrà allargare il campo al resto delle competenze che contano: l’obiettivo dell’Ocse sono i risultati più formativi che addestrativi. Fattori che, per lo meno qui in Italia, rischiano di restare però soltanto una chimera