Di una condizione sempre sospesa
di Antonio Stanca
Mancarsi (Einaudi, Torino, pp. 98, € 10,00), l’ultimo romanzo dello scrittore napoletano Diego De Silva risale al 2012. Altri ha scritto a partire dal 2001. Alcuni, Certi bambini, Non avevo capito niente, sono stati premiati e dal primo è stato tratto un film di successo. Anche racconti e sceneggiature ha prodotto De Silva oltre a svolgere attività giornalistica.
E’ nato a Napoli nel 1964, ha quarantanove anni, tra Salerno e Roma conduce la sua vita ed alla scrittura dedica quasi esclusivamente il suo tempo. Conosciuto è ormai il suo nome, tradotte all’estero sono le sue opere e generi diversi sembrano esprimere se si tiene conto che alle ambientazioni fosche, alle situazioni gravi delle prime narrazioni hanno fatto seguito le vicende comiche dei più recenti tre romanzi, Non avevo capito niente (2007), Mia suocera beve(2010), Sono contrario alle emozioni (2011). In questi “l’avvocato d’insuccesso” Vincenzo Malinconico fa ridere delle sue disavventure ma fa pure trasparire la malinconia, la tristezza che gli procurano. Un personaggio significativo ha creato con lui De Silva, un esempio di incompreso, deluso, sconfitto dalla realtà che si collega ad altri celebri precedenti della letteratura non solo italiana e li fa rivivere nell’attualità, li adatta alla contemporaneità. Amaro è il riso che Malinconico suscita, apparente la sua comicità e non tanto diversi dai precedenti del De Silva sono i romanzi a lui dedicati. A quelli possono essere accostati poiché in tutti primario è l’interesse dell’autore per quanto avviene nell’anima, nello spirito dei personaggi mentre vivono quel che accade, quel che la vita procura e non hanno possibilità di cambiarlo, ridurlo ai propri pensieri e sentimenti. Una realtà diversa da questi si verifica sempre, due piani si creano nelle opere dello scrittore , quello dell’idea e l’altro della realtà e divisi rimangono fino alla fine, alla continua ricerca di quella combinazione, di quella comunicazione che mai avverrà.
Così pure in Mancarsi dove Nicola e Irene, entrambi sposati ed entrambi liberi dal vincolo matrimoniale poiché vedovo l’uno e separata l’altra, sognano l’amore che finora non hanno avuto né Nicola dalla moglie né Irene dal marito. Molto probabilmente se si conoscessero, se stessero insieme si sentirebbero completati, realizzati, troverebbero appagamento ai loro bisogni interiori ma per una serie di circostanze, a volte curiose, non s’incontrano, non giungono a conoscersi nonostante frequentino lo stesso locale pubblico. Il caso che tante volte è così amico, così favorevole, per loro diventa un avversario, un ostacolo e lontani rimarranno, “si mancheranno” e continueranno nelle loro vite solitarie fatte di pensieri, dubbi, sospetti, ricordi, sogni, speranze, paure, delusioni. Soltanto di questo l’opera li mostra capaci, soltanto a questo movimento interiore fa assistere, a come rimanga esso separato da ciò che avviene intorno a Nicola e Irene. Due altri sconfitti dalla realtà, dalla vita sono essi, due altre interiorità sofferte sono le loro ed a quelle dedica per intero la sua attenzione il De Silva di questo romanzo. A registrare gli interminabili risvolti dei pensieri dei due protagonisti s’impegna lo scrittore tramite un linguaggio rapido, essenziale che si trasforma in una corsa, in un inseguimento di quel che si vorrebbe raggiungere e che si può soltanto intravedere.
Non è facile rendere una simile condizione sempre sospesa e se De Silva è riuscito e con una lingua che rimane sua propria è un merito che gli deve essere riconosciuto.
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