“La Mite” di ieri, la mite di oggi

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“La  Mite” di ieri, la mite di oggi

 di Adriana Rumbolo

 

Stamani riordinando  la  libreria ho ritrovato uno dei libri più letti nella mia adolescenza: una raccolta di narratori russi.

Una lunga novella di Dostoevskij “La mite” mi aveva  particolarmente coinvolta.

Il  famosissimo scrittore approfondisce  sempre molto l’indagine psicologica dei suoi personaggi patinandoli così di universalità e  modernità.

La novella è  “La Mite”in cui il protagonista che si racconta in prima persona  vive in profonda sofferenza sociale  perché  non si è sentito e non si sente accettato dagli altri. Per inesistente difesa  si   barrica nella propria attività commerciale: un banco di pegni.

Lì ritrova un po’ di stima di  sé  perché  la  clientela è fatta da povera gente, bisognosa a tal punto da nutrire  il suo potere nel tiranneggiarli sul prezzo.

Capita fra i suoi clienti una giovanissima ragazza che porta, per venderli, oggetti di scarsissimo valore, ma per non perderne i contatti lui  alterna durezza a gentilezza fino ad acquistare merce insignificante.

Quella ragazza gli piace.

Si, è consapevole di avere molti anni più di lei e non le parla d’amore, ma la sua richiesta di matrimonio e il rispetto della  estrema povertà della fanciulla fanno si che, sia accolto, con un certo entusiasmo.

Lui prosegue nella  sua storia sempre attento a commentare cosa lui sentiva, cosa  lui pensava, come lui percepiva la situazione, come interpretava quello che lei faceva, diceva.

Mai un chiarimento mai un abbandono ai sentimenti,sempre preoccupato a rimuginare la sua vita forse timoroso di un suo giudizio e ad osservare quella di lei.

Anche lei molto giovane e immatura osservava e  interpretava in confusione.

Due vite parallele, come anche oggi ne possiamo trovare in percentuale altissima dove ognuno cerca di scavare, indagare nell’altro in una incomunicabilità terribile.

La ragazzina in un primo momento anche per  errate interpretazioni ha dei moti di ribellione, ma il poter di lui, per i suoi soldi bloccano tutto ma,  trascorso un po’ di tempo la giovane si chiude in se stessa, si ripiega ed anche il suo aspetto denuncia il suo malessere.

Allora lui si preoccupa, non capisce più niente e chiama il medico.

Il medico rassicura; è solo stanchezza, una bella vacanza e tutto passerà.

Poi un giorno lui la sente canticchiare, chiede spiegazioni alla cameriera che lo informa che quando lui è fuori qualche volta canticchia.

Lui interpreta bene la cosa, lei si sta aprendo a lui, ma, dopo pochi giorni rientrando vede un capannello di persone davanti al suo portone: lei si è gettata dalla finestra.

Alla mite era stata preclusa ogni altra soluzione.

La sua disperazione è enorme; ora vede tutto con chiarezza e la novella termina:”Noi uomini siamo soli sulla terra! Uomini amatevi l’un l’altro….”

Mentre rileggo la novella sento alla televisione l’intervista alla madre di una giovane donna uccisa dal proprio marito.

La madre ripete che era un matrimonio perfetto

Quanto sarà costata a sua figlia quella finzione?

Poi aggiunge che la ragazza non ha parlato prima in famiglia per non dare dolore ai genitori.

Quando sarà stato precluso alla povera ragazza il diritto di condividere un dolore senza sensi di colpa?

Solo  il suo diritto alla maternità l’aveva resa forte per poco, quel poco che aveva permesso a suo marito di riflettere, che il  mondo così avrebbe saputo, forse, delle sue  difficoltà  sessuali  e allora lei era destinata a morire da mite, da vittima.

Gli uomini sono soli e intorno a loro il silenzio – questa è la terra! “Uomini amatevi l’un l’altro!.

Forse la ragazza apparteneva a quel grande numero di figlie uccise dai propri compagni che alla famiglia, alla scuola dicono: prima ci avete disarmate, poi ci avete mandate in guerra!