Il compagno-tutor

Una proposta operativa per sperimentare l’introduzione del compagno-tutor più grande[1]

di Domenico Sarracino e Lorenzo Luatti

 

Lo scorso anno scolastico (2011/12), alla fine del corso di formazione sull’accoglienza-inte(g)razione degli alunni stranieri, tenutosi ad Arezzo, è stato prodotto un documento di sintesi, riflessione e proposte sul tema: “Alunni Stranieri: il 37% viene ‘fermato’ alla fine del primo anno di scuola superiore e l’11% abbandona. Che cosa possono fare la scuola e le istituzioni locali?”[2] Le proposte riguardavano gli alunni stranieri neo arrivati, ma anche ogni altro studente in particolari difficoltà, che per le ragioni più varie presenti un percorso scolastico che ha richiesto particolari accorgimenti/adattamenti dei piani di studio e che sia stato promosso alla scuola superiore sulla base delle potenzialità di miglioramento e di sviluppo manifestate.

 

È noto quanto il passaggio dalle scuole medie alle superiori sia  caratterizzato da preoccupazioni e aspettative da parte degli studenti e che  le paure più frequenti riguardino il cambiamento di amicizie, il rapporto con i ragazzi più grandi, le materie e gli insegnanti nuovi, la complessità dei nuovi apprendimenti. Mentre la scuola media è percepita generalmente come un ambiente più “familiare”, la scuola superiore è vissuta come qualcosa di più impersonale e anonimo: il passaggio dalle medie alle superiore può quindi rappresentare per i ragazzi stranieri (e non solo) spesso più vulnerabili, ed in particolare per i neo-arrivati, un ostacolo “enorme”.

Al fine di non lasciare solo lo studente che si presenti in questa situazione e di seguirlo nella fase di “attraversamento” sono stati presentati alcuni strumenti, iniziative ed azioni atti a costruire un “ponte” col quale congiungere il lavoro della scuola di provenienza con quella di arrivo. Fra le proposte era particolarmente sviluppata e dettagliata quella che riguardava le azioni che le scuole dei due livelli interessati possono congiuntamente svolgere, a partire dalla fase dell’iscrizione a quella di inizio e svolgimento del nuovo anno scolastico, in modo da assicurare che il percorso formativo abbia una prosecuzione caratterizzata da raccordo, continuità e gradualità fino al raggiungimento di quegli elementi che possono permettere il normale, autonomo cammino scolastico. Altre iniziative erano invece solo accennate e formulate in maniera globale, tra queste quella del “compagno di scuola più grande” con compiti di tutoring.

 

Quest’anno, considerata la diffusa attenzione suscitata dalla proposta del tutor, ci siamo dedicati ad una riflessione su questa figura per cercare di individuarne il profilo e le condizioni necessarie per sperimentarla nelle scuole aretine (e non solo).

 

La proposta di quest’anno: “La figura del compagno più grande”, del “compagno tutor”

Sull’utilità, le possibilità e le condizioni necessarie per l’introduzione di tale figura si è sviluppato una parte del corso di formazione che si è tenuto quest’anno presso l’ITIS di Bibbiena (Ar), rivolto ai docenti dell’area casentinese.

Il documento che presentiamo costituisce uno sviluppo del lavoro svolto lo scorso anno e, nel contempo, è il frutto della riflessione, del confronto e degli approfondimenti tra docenti, elaborato a partire dalle scuole reali, i loro contesti ed esigenze.

Pertanto esso si basa su una serie di riflessioni sul ruolo di tale figura che è chiamata ad aiutare, sostenere e facilitare il compagno in difficoltà sia scolastiche che socio-relazionali, ne esprime le valenze educative e formative, delinea un’ipotesi operativa, tiene conto delle condizioni di fattibilità, scandisce obiettivi, compiti e ruoli per i vari soggetti chiamati ad operare: il dirigente scolastico, i docenti referenti, i docenti in generale, le famiglie, gli studenti, la comunità scolastica.

Più precisamente delinea un quadro di riferimento che contenga gli elementi che possono permettere al progetto, passo dopo passo, di divenire operativo evidenziando gli attori del processo e i loro ruoli, ma anche gli obiettivi, il chi fa che cosa, come e quando.

Dunque la proposta riguarda l’introduzione della figura del “compagno/compagna di scuola più grande” da individuare all’interno delle scuole superiori tra studenti delle classi finali (quarta e quinta) dello stesso istituto. Essa poggia su forme organizzative e modalità di svolgimento interne alle singole scuole; è finalizzata allo stare bene con sé e gli altri, alla riuscita scolastica del numero più alto possibile di studenti, a concorrere fattivamente all’accoglienza, a creare azioni intenzionali di integrazione e interazione, a connotare il “clima” scolastico in direzione dell’apertura all’altro, della partecipazione responsabile, della valorizzazione dell’aiuto reciproco, del fare insieme, nella consapevolezza che attraverso questi fattori si contribuisce a quella trama di occasioni e situazioni, di legami ed esperienze che rendono feconda e vera la comunità scolastica, ravvivandone la complessiva proposta educativa.

 

Altre analoghe esperienze

Altre modalità di organizzazione del medesimo progetto che prevedono il ricorso a tutor esterni (ad esempio a studenti universitari del territorio), che pure sono state sperimentate positivamente[3], non sono qui prese in esame, da un lato perché come si è appena visto esso è tutto pensato internamente alla scuola e vuole contribuire a miglioramenti specifici ma anche alla vita complessiva del contesto scolastico; dall’altro, per taluni aspetti di complessità organizzativa e finanziaria, per gli elementi di responsabilità e di gestione che implicherebbe. Tuttavia, molte indicazioni e attenzioni che valgono per la figura del tutor interno alla scuola e qui precisate, possono utilmente adattarsi alla figura del tutor esterno alla scuola.

Parimenti l’iniziativa qui descritta, pensata per le scuole superiori, può riguardare con adattamenti specifici anche le scuole secondarie di I grado e forse ancora di più le stesse scuole primarie e finanche dell’infanzia. Alcuni docenti presenti al corso hanno riferito di esperienze realizzate nella scuola secondaria di I grado in cui il ruolo di tutor è stato svolto con successo da un alunno straniero nei confronti di compagni italofoni o da studenti delle superiori presso la scuola media del territorio in attività pomeridiane appositamente organizzate; altri hanno fatto rilevare che la proposta può anche essere utilizzata all’interno delle singole classi, nell’ambito di un’organizzazione didattica che superi l’esclusività del lavoro individuale e si apra a proposte didattico-organizzative che riconoscono il valore dell’apprendimento collaborativo, valorizzano e promuovono l’aiuto reciproco. Ci dovrebbe essere uno scambio di abilità e competenze, per cui i ragazzi più bravi in una materia vengono poi aiutati in un’altra da altri studenti: un contributo al successo formativo e alla costruzione dell’autostima per entrambe le parti (del tutor e del tutorato, ruoli che spesso si alternano). Questa può essere la mossa vincente che piace anche ai ragazzi.

Il rapporto di tutoring non comporta le implicazioni istituzionali e la distanza del rapporto insegnante-studente, facendo così acquisire agli studenti tutor senso di responsabilità e fiducia in se stessi, mentre gli allievi tutorati potranno esprimere una maggiore disponibilità al dialogo di apprendimento e migliorare la loro autostima.

 

Articolazione della proposta

Come accennavamo l’idea globale su cui si è concentrata la nostra ricerca ha riguardato la possibilità di introdurre nelle scuole superiori la figura del “compagno più grande”, del compagno che fa da tutor, che essendo più esperto e più inserito vuole e sa farsi carico di un’iniziativa che è nello stesso tempo di amicizia, di accoglienza e di facilitazione: introduce nell’ambiente, apre la strada, suggerisce, consiglia, incoraggia; insomma è capace di agire sia per favorire le relazioni interpersonali, che l’inserimento nella vita di classe e di scuola, ed è nel contempo sostegno nella comprensione dei meccanismi scolastici e negli impegni di studio.

Successivamente abbiamo provato a tradurla in tappe attuative esplicitandone obiettivi, azioni, modalità organizzative, ruoli e figure di riferimento.

Di seguito riportiamo, a mo’ di esemplificazioni, i principali passaggi previsti per l’iniziativa al fine di fornirne una mappa schematizzata, riassumendo considerazioni e proposte in parte già accennate. Le scuole interessate a sperimentarla naturalmente prenderanno tale lavoro come una traccia di massima: da integrare, adattare o rivedere a seconda delle proprie specifiche esigenze e condizioni di lavoro.

 

Obiettivi generali  per la scuola

Migliorare l’accoglienza-inte(g)razione all’interno della scuola

Facilitare le relazioni interpersonali nella scuola e nelle classi

Favorire lo star bene con sé e con gli altri

Promuovere forme di collaborazione, di solidarietà e di aiuto reciproco

Valorizzare la responsabilità e la capacità di assumersi impegni

Contribuire a creare un clima di scuola volto a fondare operativamente la comunità scolastica

Migliorare la complessiva offerta formativa della scuola.

 

Obiettivi specifici per gli studenti in difficoltà

Facilitare l’inserimento e l’inte(g)razione nella vita della scuola e della classe

Facilitare la conoscenza dei meccanismi di funzionamento della scuola: regole, organizzazione, orari, diritti-doveri, scadenze, etc.

Facilitare la partecipazione ad iniziative, gruppi, manifestazioni scolastiche e parascolastiche

Aiutare a riconoscersi capacità e potenzialità e ad avere fiducia nelle proprie risorse

Favorire il successo scolastico e l’inclusione sociale a scuola e nel più ampio contesto sociale.

 

Esempi di possibili attività-azioni verso gli studenti in difficoltà

Interessarsi al percorso scolastico e sostenerli di fronte a difficoltà con consigli e suggerimenti

Interessarsi ai risultati scolastici e fornire sostegno nel processo di apprendimento, negli impegni scolastici e nell’organizzazione dello studio a casa, nella preparazione dei compiti e nelle interrogazioni-verifiche

 

La figura dell’alunno tutor: né adulto, né pari

Ci siamo chiesti quale debba essere il profilo personale di tale figura. Pensiamo ad un ragazzo/a più grande (classi finali della scuola secondaria di II grado), riconosciuto, ascoltato e stimato dai compagni, che si presenti motivato per autentica convinzione verso le tematiche dell’accoglienza, della diversità e il superamento di stereotipi e pregiudizi; che conosce i meccanismi della sua scuola, le regole esplicite ed implicite; che in qualche modo è capace di mettersi nei panni dell’altro e conoscere le difficoltà che i compagni possono incontrare nelle relazioni interpersonali e nello studio, i fattori che distolgono ed allontanano dagli impegni, le cattive abitudini (disorganizzazione, spreco di tempo, mancanza di concentrazione, scoraggiamento, etc.); che è in grado di assumersi una responsabilità e portarla avanti in maniera continuativa. La differenza di età colloca il tutor in uno spazio intermedio e nella giusta distanza, sia rispetto agli adolescenti seguiti, che agli insegnanti e ai loro genitori. Questo permette al tutor di stabilire una relazione più aperta e autentica con i compagni più piccoli.

 

Chi lo individua e lo propone

Il dirigente scolastico in collaborazione con il docente referente (per l’intercultura, per l’orientamento, per il successo scolastico o altra figura) invita i docenti coordinatori dei Consigli di classe e/o gli altri a ricercare e segnalare uno o più studenti che presentano le caratteristiche indicativamente delineate nel punto precedente. Ne parla con l’interessato, gli illustra il progetto, ne verifica la disponibilità, coinvolge la famiglia, formalizza l’accordo.

 

Quando può operare

La questione dei tempi da dedicare all’iniziativa, trattandosi di studenti che devono seguire le loro lezioni, è importante e va gestita con prudenza.

Noi pensiamo che lo studente tutor debba agire soprattutto nei seguenti momenti: nel tempo di prescuola, cioè al mattino prima dell’inizio delle lezioni, durante quel lasso di tempo in cui i ragazzi liberamente si incontrano, costruiscono contatti e amicizie o restano appartati o isolati, si escludono o sono esclusi; durante la pausa dell’intervallo, in cui i ragazzi hanno un altro breve tempo libero che gestiscono in maniera autonoma, formando gruppi, capannelli, coltivando amicizie e scambi, svolgendo qualche attività ludica, intessendo relazioni; nel postscuola, alla fine delle lezioni, andando a casa, in attesa del bus. Sono questi i principali momenti in cui l’alunno tutor può svolgere quell’azione amicale, di avvicinamento, di contatto e di scambio, di facilitazione delle relazioni, improntata a disponibilità discreta e rispetto. Altri momenti utili sono quelli dedicati ad attività parascolastiche (assemblee di istituto, gruppi di lavoro, iniziative studentesche, manifestazioni culturali, celebrazioni, incontri con esperti esterni, etc.) o inter-scolastiche, e ad altre occasioni come le uscite anticipate o le entrate posticipate. E poi all’accompagnamento nei momenti dedicati ai laboratori linguistici, all’apprendimento e allo studio, con modalità e forme da definire.

C’è infine il tempo dell’extrascuola che può costituire un’importante risorsa ed opportunità per lo svolgimento della funzione amicale, che può consistere nel ritrovarsi fuori del contesto scolastico, svolgere qualche attività socio-ricreativa, frequentare insieme altre persone, coltivare qualche hobby ed anche incontrandosi per un supporto nello studio. L’utilizzo soprattutto del tempo extra-scolastico naturalmente deve essere una costruzione che nasce dalle cose, che si realizza passo dopo passo, in maniera graduale, senza forzature, in rapporto ad occasioni e necessità condivise.

 

Gli studenti da “accompagnare” e la loro individuazione

Pensiamo innanzitutto, come detto, agli studenti stranieri in particolare difficoltà, a rischio di isolamento, demotivazione ed insuccesso scolastico. Ma anche ad ogni altro studente che per le più varie ragioni può trovarsi in questa situazione.

L’individuazione può avvenire secondo le modalità indicate per la figura del compagno-tutor. È importante far capire il significato del progetto e quello che prevede, non solo all’alunno ma anche ai genitori ed acquisire il consenso.

 

Preparazione al compito di compagno-tutor

Individuato l’alunno, acquisita la disponibilità è però necessario che gli sia fornito un minimo di preparazione al compito. La scuola individua tra le sue risorse professionali interne la figura/le figure più adatta/e e motivata/e che in pochi incontri spiega:

– gli obiettivi, i contenuti e le modalità del progetto;

– i tempi utilizzabili,

– gli aspetti psicologici e relazionali implicati;

– l’interlocuzione che può avere con il docente coordinatore del consiglio di classe e con gli altri docenti, con il docente referente del progetto,

– gli strumenti (snelli) a carattere documentale che il tutor deve utilizzare.

 

Il gruppo dei tutor: alcune caratteristiche

Sarebbe preferibile, al fine di permettere il pieno dispiegamento delle potenzialità della proposta, individuare non uno, ma più studenti tutor, coordinati da uno o più docenti di riferimento, di modo da costituire un vero e proprio gruppo di lavoro e di intervento, in grado di avere una maggiore incidenza e presenza nella vita scolastica. Diventano aspetto centrale e di crescita la periodica condivisione e lo scambio degli obiettivi e delle esperienze tra più studenti tutor, sia nella fase di preparazione al compito, sia durante il percorso, sia nella fase finale. Nella composizione del gruppo dei tutor, per quanto possibile, la scuola dovrebbe considerare alcune caratteristiche significative (oltre alla già menzionata “distanza” anagrafica tra tutor e tutorato): che sia multiculturale ovvero comprenda giovani italiani nativi e giovani stranieri che hanno vissuto direttamente la migrazione, ma anche giovani di “seconda generazione” e italiani di origine straniera; che sia “misto” anche per genere; che vi sia una presenza di giovani bilingui, perché è questo un elemento di valorizzazione delle lingue di origine dei ragazzi stranieri.

 

Riconoscimenti per il compito del compagno tutor

Il gruppo si è interrogato su questo aspetto, considerandolo un punto importante in relazione allo spirito che anima il progetto. Innanzitutto è necessario assicurare un’intima e gratuita adesione alle sue finalità di fondo. La nostra esperienza ci suggerisce che alcuni ragazzi manifestano autonomamente la propensione ad aiutare compagni in difficoltà, anche in maniera non formalizzata. Dai racconti di studenti che hanno svolto il compito di tutor, provenienti da altre esperienze, emergono riferimenti e consapevolezze sull’arricchimento personale e socio-culturale, che essi hanno tratto dalla relazione con i compagni seguiti, con gli insegnanti che hanno incrociato e dal rapporto con gli altri tutor del gruppo. Detto ciò, e considerando, comunque, la normativa esistente che riconosce “crediti formativi” agli studenti delle ultime classi delle scuole superiori, utili nella valutazione d’esame, si ritiene che l’impegno nel progetto possa permettere l’acceso a tale tipologia di riconoscimento e che ciò non infici lo spirito solidaristico dell’iniziativa.

 

Il ruolo del docente referente del progetto

Il docente (o i docenti) riunisce periodicamente gli studenti-tutor per concordare gli aspetti attuativi del progetto, per monitorarlo ed adattarlo in itinere,  per fare il punto sulle varie situazioni, permettere la socializzazione delle esperienze, ricercare soluzioni a situazioni di difficoltà, programmare i passi successivi, per fornire consigli, suggerimenti e supporti.

Il docente referente mantiene i contatti con i coordinatori dei consigli di classe interessati, opera per valorizzare il progetto ed il ruolo del compagno-tutor e realizzare il coinvolgimento di tutte le figure scolastiche. In particolare rende partecipe il dirigente scolastico, garante e primo promotore dell’iniziativa. Questo importante e impegnativo ruolo di accompagnamento e costante supervisione, individuale e di gruppo, decisivo per la buona riuscita dell’iniziativa di tutoring, non dovrebbe ricadere sulle spalle di un singolo docente, ma la scuola dovrebbe affidarlo ad un team di docenti (di 2-3 docenti almeno) interno ad essa, che potrebbero avvalersi, periodicamente (se necessario e se le risorse lo consentono), di una figura di supervisione esterna.

 

Il ruolo del Collegio dei docenti e del Consiglio d’Istituto

Il gruppo ritiene che condizione basilare per la riuscita del progetto sia che esso venga riconosciuto come elemento di valorizzazione della complessiva proposta formativa dell’istituzione scolastica, e cioè del C.d.D., del C. I. del personale ATA, dei collaboratori scolastici e della componente genitori. Nell’iniziativa si devono riconoscere tutti, e ciascuno contribuire alla sua buona riuscita.

Difatti avere cura di ciò non può essere un compito affidato solo ad una persona, ma deve riguardare tutti. Perché a ben guardare anche da questa iniziativa può emergere in termini pratici il profilo di una scuola che respira aria nuova, che vuol farsi carico fino in fondo del successo scolastico di tutti i suoi studenti, che valorizza la responsabilità, la solidarietà, l’aiuto reciproco, lo star bene degli allievi. Che si fa insomma comunità scolastica mettendo a frutto le potenzialità e la voglia di partecipare e contribuire degli studenti, e l’impegno dei docenti e delle altre componenti educative a fornire una offerta formativa capace di proporre operativamente inclusione e riuscita scolastica.

 

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Si ringraziano i docenti che hanno partecipato al corso, i quali con la loro esperienza e le loro competenze hanno contribuito alla realizzazione di questo documento. Il documento è stato redatto da Domenico Sarracino (famsarracino@tin.it) e Lorenzo Luatti (lorenzo.luatti@oxfamitalia.org).

 

 



[1] Si riporta il documento conclusivo del corso di formazione in servizio “Passaggi e soste. Idee e pratiche per la continuità scolastica tra scuole secondarie”, tenutosi a Bibbiena (Ar) dal febbraio ad aprile 2013, nell’ambito del PROGETTO “Inte.N.Di. – Inte(g)razione nelle Diversità: percorsi formativi e consulenziali per una scuola promotrice dei processi di inclusione”promosso dalla Regione Toscana e realizzato da Oxfam Italia (www.oxfamitalia.org).

[2] Il documento e gli allegati sono on-line:http://www.badiacomp.it/Materiali/2011_12/documento%20finale.pdf

[3] Vedi da ultimo, l’esperienza biennale di “BUSSOLE. Cinque buone pratiche per l’integrazione degli adolescenti stranieri nella scuola secondaria” (aa.ss. 2010/11 e 2011/2012) che ha coinvolto alcune scuole delle città di Torino, Milano, Bologna e Arezzo (riferimenti al progetto e ampia documentazione su: www.centrocome.it).