Di quanto non si sapeva
di Antonio Stanca
Inquieto, insofferente, molto ha viaggiato, molto ha visto, molto ha scritto e filmato, molto ha fatto Edgardo Cozarinsky, scrittore, saggista, giornalista, regista, drammaturgo argentino che a settantatré anni si mostra sempre impegnato. E’ nato a Buenos Aires nel 1939, qui in ambienti modesti ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza, ha letto opere di autori moderni, ha assistito alla proiezione di film americani, ha studiato fino all’Università ed ha cominciato a scrivere per qualche rivista. Ventenne ha frequentato gli ambienti letterari della città, ha conosciuto gli intellettuali e gli autori del posto. Dopo essere stato in Europa per un breve periodo è tornato a Buenos Aires dove ha svolto attività giornalistica, ha tradotto autori francesi, inglesi, spagnoli e nel 1973, insieme a Giuseppe Bianco, è stato premiato per il saggio “The Nation” nel quale i due autori indagano su alcuni aspetti della scrittura di Marcel Proust ed Henry James. Continuerà per Cozarinsky, che allora aveva trentaquattro anni, quella vita carica di movimento ed impegno che si era già preannunciata. Buenos Aires e Parigi saranno due riferimenti importanti per i suoi viaggi ma molte altre città, molti altri luoghi conoscerà soprattutto per la sua attività cinematografica. Questa sarebbe iniziata negli anni ’70, prima di quella narrativa, e ad entrambe si sarebbe dedicato fino ai giorni nostri senza trascurare il teatro e la saggistica.
Variamente articolato è stato il suo impegno, in maniera assidua, instancabile, in molti posti si è svolto e quando in un ospedale di Parigi, nel 1999, saprà di essere affetto da una grave patologia dirà che ancora più in fretta deve fare col suo lavoro visto che può sopraggiungere la morte.
Molti riconoscimenti gli hanno procurato i film, premiati sono stati pure i racconti della raccolta La ragazza di Odessa del 2001 e il romanzo Lontano da dove del 2009. A quell’anno risale anche Ultimo incontro a Dresda, romanzo che ora è stato pubblicato in Italia dalla casa editrice Guanda di Parma con la traduzione dallo spagnolo di Silvia Sichel (pp. 149, € 14,50). Anche in questa narrazione, come nelle altre e nei film, l’autore tende a scoprire, a rivelare quanto del passato non si sapeva, non è stato detto poiché vissuto, sofferto da chi non era tra i protagonisti e, perciò, poco importante rispetto ai grossi avvenimenti ed ai loro personaggi. Se si pensa che tra il suo cinema e la sua scrittura Cozarinsky ha indagato su molto di quel passato, lontano e vicino, che al passato di molti paesi ha dedicato la sua attenzione, che situazioni di ingiustizia, di sopraffazione ha voluto far emergere, si deduce che un valore di denuncia acquista la sua opera, un intento morale, spirituale la muove, giustizia vuole fare per quegli umili, quegli oppressi che in ogni luogo e tempo del mondo hanno sofferto degli abusi dei ricchi e potenti. Il documento di una grave e antica situazione nascosta vuole essere la produzione di Cozarinsky.
In Ultimo incontro a Dresda il tempo va dal 1945 al 2008, i luoghi sono quelli dell’Europa centro-orientale e dell’America Latina, le vicende le ultime della seconda guerra mondiale e le prime delle sue gravi conseguenze, le persone umiliate una madre e un figlio. Lei, austriaca, fugge dal campo di sterminio di Auschwitz, dove in un ufficio lavorava per redigere i nomi degli ebrei prigionieri che vi arrivavano e di quelli che ogni giorno trovavano la morte. Stanca, spossata, sconvolta da tanto orrore, penserà di porvi fine. Fuggirà e dopo aver vissuto gravissime situazioni, dopo aver resistito al freddo, alla fame e a pericoli di ogni genere raggiungerà l’Argentina. Qui non vedrà realizzati quei miglioramenti nei quali tanto aveva sperato ed anche se ridotto il suo stato di disagio continuerà. Travolta di notte, mentre tornava a piedi dal lavoro, da una macchina in corsa, morirà. Il figlio, Federico, è ancora adolescente, lo ha avuto perché violentata da un gruppo di scapestrati. Crescerà timido, ingenuo, si vedrà esposto alle umiliazioni dei coetanei ed ai pericoli di un ambiente di periferia regolato dalla malavita. Fuggirà come aveva fatto la madre, con pochi mezzi e un passaporto falso. Giunto in Europa crederà di poter crescere e vivere meglio ma, come la madre, rimarrà deluso dei nuovi posti e la raggiunta maturità aggraverà il problema.
Sconfitti erano stati entrambi da quanto nel mondo era avvenuto e stava avvenendo. Né prima per lei né dopo per lui c’era stato spazio e niente delle loro pene si sarebbe saputo se uno scrittore come Cozarinsky non si fosse ripromesso di rimuovere dal silenzio il loro caso, di procurargli quella verità, quella luce delle quali era stato privato. Mezzo secolo di storia ha percorso lo scrittore nell’opera, grandi e gravi avvenimenti hanno fatto da sfondo ad una vicenda privata e sempre chiaro è riuscito nell’espressione, sempre scorrevole è stato il suo linguaggio nonostante le tante, molte situazioni complicate che ha dovuto rendere. Semplice è rimasto perché i pensieri, i sentimenti ha cercato pur tra l’incombere di necessità concrete, immediate, lo spirito ha seguito pur tra tanta realtà, in romanzo ha trasformato la storia.
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