Ferie, braccio di ferro Mef-Miur

da ItaliaOggi

Ferie, braccio di ferro Mef-Miur

I precari ancora a bocca asciutta nonostante l’accordo raggiunto: l’indennità vale 1500 euro

Dubbi sulla decorrenza del divieto di monetizzazione  di Carlo Forte

Monta la protesta dei precari per il mancato versamento dell’indennità per ferie non godute. Sebbene il 12 giugno scorso il ministero dell’istruzione sembrasse avesse raggiunto un’intesa con i sindacati nel senso dell’esistenza del diritto all’intera indennità e dell’applicazione del divieto solo dal prossimo anno, ad oggi sembra che la situazione sia ritornata al punto di partenza.

Secondo quanto risulta a Italia Oggi, il braccio di ferro tra viale Trastevere e il ministero dell’economia non si è ancora concluso. E nel frattempo le indennità rimangono in stand by. Il nodo irrisolto è il senso da dare al comma 56, dell’articolo 1, della legge 228/2012. Il dispositivo blinda il divieto di monetizzazione delle ferie, precludendo alla contrattazione collettiva la facoltà di introdurre deroghe. Ma al tempo stesso dice che «le clausole contrattuali contrastanti sono disapplicate dal 1° settembre 2013». Va detto, inoltre, che per il personale della scuola il divieto di monetizzazione non opera tout court. Le nuove disposizioni, infatti, non si applicano « limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie». La decorrenza delle nuove disposizioni, però, secondo l’interpretazione congiunta che era stata pattuita a viale Trastevere con l’accordo del 12 giugno, scatterà dal 1° settembre prossimo. Che poi è la data a partire dalla quale dispiegherà effetti il divieto di deroga da parte della contrattazione e la relativa disapplicazione delle clausole contrattuali che prevedono un trattamento più favorevole. E quindi quest’anno il diritto all’indennità non dovrebbe subire alcun compressione. Resta il fatto, però, che i soldi ancora non si vedono e, quindi, come sempre succede in questi casi, la discussione rischia di spostarsi dai tavoli negoziali alle aule di tribunale. La questione era nata con l’entrata in vigore dell’articolo 5 del decreto legge 95/2012, che ha introdotto il divieto di monetizzazione delle ferie non godute per tutti i dipendenti pubblici. Scuola compresa. Fin dal primo momento, però, era emersa la necessità di prevedere delle disposizioni speciali per la scuola. Perché i supplenti non annuali non erano in condizione di fruire delle ferie, anche se lo avessero voluto, perché non lavorano nei periodi di sospensione dell’attività didattica (luglio e agosto). Il legislatore, quindi, ha disposto che il periodo valido al fine della fruizione delle ferie «sia quello della sospensione delle lezioni anziché delle attività didattiche, di modo che» si legge nella relazione illustrativa « le sospensioni natalizia e pasquale, nonché gli eventuali ponti, e i giorni di sospensione a giugno siano validi per la fruizione delle ferie». Ma siccome anche in questo caso non è possibile fruire di tutte le ferie, è stato necessario introdurre un’eccezione alla regola generale del divieto di monetizzazione. E quindi, è stato stabilito che non si applica al personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario supplente breve e saltuario o docente con contratto fino al termine delle lezioni o delle attività didattiche, limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie. Le nuove regole determinano un peggioramento delle condizioni contrattuali dei precari che non riescono ad ottenere incarichi fino al 31 agosto. L’importo dell’indennità sostituiva per ferie non godute, infatti, si aggira introno ai 1500 euro. Che sommati all’indennità di disoccupazione consentono di compensare la mancata percezione del reddito nei mesi estivi. La faccenda del termine di entrata in vigore degli effetti delle nuove disposizioni, dunque, non è una mera questione di principio. Ma una partita di vitale importanza, dal cui esito deriverà la possibilità o meno di consentire ai soggetti più deboli nella categoria dei lavoratori della scuola di mantenere quello che, di fatto, è un vero e proprio assegno alimentare.