I BES: un’invenzione… BEStiale?!

I BES: un’invenzione… BEStiale?!

 di Maurizio Tiriticco

Gli anni Cinquanta del secolo scorso costituirono uno dei decenni migliori della nostra storia sotto ogni profilo: 1945, fine della guerra; nel 1954 nasce la TV; nel 1955 la Seicento!!! In dieci anni riuscimmo a ricostruire il Paese sotto il profilo istituzionale – la democrazia, la Repubblica, la Costituzione – e socioeconomico. La ricaduta che le nuove strutture materiali ebbero sulla sovrastruttura culturale fu enorme e si tradusse con una richiesta di conoscenze e di istruzione da parte di classi sociali che per millenni avevano dovuto pensare solo a lottare per la sopravvivenza. Ovviamente non tutto fu rose e fiori e le lotte per il lavoro erano dure! Giova ricordare l’occupazione delle terre da parte dei contadini nel Sud, le lotte operaie nel nord. TV e Seicento non conclusero affatto un periodo di lotte dure! Ancora nel luglio del 1960 avemmo i morti di Reggio Emilia, operai! E nel dicembre del ’68 i morti di Avola: braccianti! La polizia allora non guardava tanto per il sottile!!

Comunque il nostro Paese cresceva, e anche rapidamente, e non fu un caso che in pochi anni diventammo una delle maggiori potenze industriali del mondo. E la ricaduta che quel mai conosciuto benessere economico ebbe sull’intera popolazione fu quanto mai interessante. Dopo millenni di ignoranza e analfabetismo quanto mai diffusi, il nuovo benessere spingeva anche le classi più povere a chiedere nuove conoscenze, cultura e scuola! Soprattutto per i loro figli!

La prima risposta che potemmo dare a questa nuovissima domanda fu quella di innalzare di tre anni l’obbligo di istruzione: la storica legge 1859 del 1962! Però, la necessità e l’urgenza di erogare l’istruzione a tutti, anche quella minima, ci spinse anche, con la stessa legge, a istituire le cosiddette classi differenziali, “per alunni disadattati scolastici”. Si avvertiva la necessità di impartire istruzione a tutti, ma… Si crearono così aree separate di insegnamento, che in effetti contraddicevano quel principio della eguaglianza di tutti i cittadini, di cui all’articolo 3 della Costituzione, e quel principio dell’inclusione e dell’integrazione, che avrebbe dovuto costituire lo spirito e il corpo di una scuola che garantisse a ciascuno il diritto/dovere all’istruzione.

L’avvio della scuola media obbligatoria non fui affatto facile! Com’è noto, nei primi anni le bocciature fioccarono, soprattutto perché l’organizzazione degli studi e gli stessi insegnanti erano rimasti quelli di sempre! Ci vollero la Lettera di Don Milani nel ’67 e copiose innovazioni sperimentali per dare l’avvio a una scuola che fosse veramente aperta a tutti. Rimaneva, comunque, l’area della “esclusione”, legittimata – se si può dire così – dalle classi differenziali. In molti ci domandammo quanto fosse corretto, anche e soprattutto sotto un profilo di una civiltà costituzionale, mantenere aree separate per cittadini che comunque “hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzioni … di condizioni personali e sociali” (art. Cos. 3).

Fu così che, dopo anni di animose discussioni, nel 1977, con la legge 517, ci decidemmo a liquidare le classi differenziali e sancimmo la necessità di integrare nelle scuole dell’obbligo i bambini “portatori di handicap”. Prevedemmo tutta una serie di misure, soprattutto la formazione di insegnanti specializzati per i nuovi percorsi e l’istituzione di una “necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di sostegno, secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali”: così, infatti, scrivemmo nella citata legge, che invito a rileggere per tutte le puntualizzazioni che riguardavano anche e soprattutto lo svolgimento delle nuove attività didattiche, fortemente individualizzate. In seguito, a tali tipologie di alunni venne consentito l’accesso anche agli studi di secondo grado e ai relativi esami finali. In tali iniziative fummo anche confortati da una successiva coraggiosa iniziativa legislativa, la famosa legge 104 del ’92, che così esordisce: “La Repubblica garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola (la sottolineatura è mia), nel lavoro e nella società”.

Per anni l’integrazione degli alunni handicappati ha costituito un’attività convenientemente e convintamente sostenuta dallo Stato e dall’amministrazione scolastica, anche se le difficoltà non sono mai mancate! Ma, a partire dal nuovo millennio le cose sono profondamente cambiate! Da quando la scuola, secondo alcuni, non ha più costituito un settore primario su cui investire, ma una sacca inutile di spreco su cui tagliare, perché “con la cultura non si mangia”, l‘area della integrazione è quella che ha subìto i danni maggiori! E proprio in un periodo in cui accedono alle nostre scuole in numero sempre maggiore bambini delle più diverse nazionalità. Così, in una istituzione sociale in cui occorre investire di più – se si ha la prospettiva del futuro – invece si investe sempre di meno. E chi paga di più sono proprio gli alunni che presentano i bisogni maggiori!

Si taglia progressivamente il numero degli insegnanti di sostegno, si diminuisce il numero delle ore di sostegno, si aumenta il numero degli alunni per classe, ma non si ha il coraggio di “far fuori” in via formale gli handicappati! Io li chiamo con il loro nome! E allora che cosa si fa? Si inventano sigle nuove, ora i DSA, ora i BES, domani non so! Da un lato si riduce progressivamente l’area del riconoscimento legale dell’handicap, dall’altra si inventano soluzioni “fantasiose” con cui coprire l’handicap reale! Gli enti locali incontrano sempre maggiori difficoltà per adempiere a incombenze che avevano osservato fino a qualche anno fa. E il tutto finisce con lo scaricare – è il verbo esatto! – la responsabilità di attendere a un handicappato a un insegnante di classe “normale”, diciamo così, assolutamente impreparato per far fronte a situazioni difficili che richiederebbero ben altre tipologie di interventi. E ancora: le famiglie incontrano difficoltà sempre maggiori per ottenere i dovuti riconoscimenti legali per i figli handicappati e cercano, ovviamente, le vie dei BES!

Tutto ciò non costituisce forse un vero e proprio ritorno a una situazione anteriore alla legge del ’77 e un vero e proprio dietro front rispetto alla stessa legge 104? Non stiamo forse cancellando uno dei principi più alti, sotto il profilo della civiltà, quello sancito dal citato articolo 3 della Costituzione? Pagheranno i bambini e le loro famiglie! E pagheranno anche gli insegnanti “normali”, costretti da un lato ad abbassare l’assicella delle competenze richieste ai loro alunni, e dall’altro ad essere valutati in relazione ai risultati dagli stessi alunni raggiunti.

E non è questione di bastone e di carota! E’ solo di bastone!

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