Le nostre scuole? Poco “internazionali” Italia in ritardo negli scambi con l’estero

da LaStampa.it

Le nostre scuole? Poco “internazionali” Italia in ritardo negli scambi con l’estero

 Il 33% degli studenti che partono scelgono destinazioni in Europa, il 24% Usa e Canada e il 23% l’America Latina
Diffuso il rapporto sulla mobilità studentesca: solo il 53% degli istituti aderisce a progetti interculturali. Gli studenti: «Colpa dei docenti: non conoscono abbastanza le lingue»

“A me ha cambiato la vita: ho scoperto la voglia e il piacere di indagare su quello che mi sta attorno, abbandonando i pregiudizi e trovando un punto di vista diverso per leggere e capire il mondo””. Parola di Jacopo Manidi, 18 anni, studente del quinto anno del Liceo linguistico “Manzoni” di Milano, da poco tornato da un anno di studio in Cina ospite in una famiglia di Shangai. Uno dei 1500 ragazzi che ogni anno usufruiscono degli scambi scolastici proposti da “Intercultura”. E proprio la “Fondazione Intercultura” oggi a Torino ha presentato il V rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, basato su un sondaggio Ipsos che ha coinvolto 2275 studenti di Francia, Germania, Polonia, Spagna, Svezia e i cui dati sono stati confrontati con quelli degli oltre 800 coetanei italiani intervistati lo scorso anni sugli stessi temi.

La prima fotografia tratteggiata dalla ricerca è quanto mai desolante: solo il 53% delle scuole italiane aderisce a progetti internazionali, a fronte di numeri ben più significati nelle altre nazioni analizzate: 97% Germania, 89% Spagna, 88% Polonia, 81% Francia e 79% Svezia. Per chi volesse vedere il bicchiere mezzo pieno c’è però un dato importante: le singole scuole italiane, dopo le tedesche, sono quelle che se scelgono di partecipare ai programmi e riescono a coinvolgere il maggior numero di alunni. Il 57% degli studenti italiani attribuisce un voto tra 7 e 10 alla qualità dell’insegnamento della nostra scuola, percentuale che cresce in maniera significativa in Francia (67%), Polonia (66%), Spagna (67%), Svezia (70%). Mentre la colpa per la scarsa attitudine alla partecipazione a progetti di apertura verso l’estero viene attribuita alla mediocre conoscenza delle lingue da parte dei docenti italiani (solo il 32% viene giudicato adeguatamente preparato), un dato che si scontra con la migliore preparazione dei colleghi europei giudicata con voto da 7 a 10 dal 54% degli svedesi, dal 51% dei tedeschi, dal 53% dei polacchi e dal 55% degli spagnoli.

“Io faccio un liceo linguistico, e quindi la mia scuola dovrebbe essere più sensibile a queste tematiche – spiega Jacopo – quando ho scelto di fare un’esperienza all’estero mi sono informato da solo: manca l’informazione su quelle che sono le tante opportunità. Quando sono tornato dalla mia esperienza molti miei amici mi hanno confessato che se avessero saputo l’avrebbero fatta anche loro: bisogna fare molta più cultura dello scambio e dell’incontro. Anche nei confronti delle famiglie, che troppo spesso sono restie ad incentivare i figli a partire per diversi mesi”.

Il 68% degli studenti italiani dice infatti di sapere poco o nulla dei programmi di mobilità individuale. Peggio di noi solo i polacchi (69%), mentre le percentuali sono meno critiche negli altri quattro Paesi (58% Francia, 46% Spagna, 43% Svezia, 41% Germania). Attitudine comune che lega tutti gli studenti è la scelta del Paese dove vorrebbero trascorrere un anno, con una forte predominanza per le destinazioni anglofone. Gli italiani sono gli unici in controtendenza, mostrando il desiderio di aprire gli orizzonti: sono sempre di più quelli che scelgono l’Asia (13%) e l’America Latina (23%). Il rimanente 24% ha scelto gli Stati Uniti e il Canada e il 33% l’Europa, compresi i Paesi balcanici e quelli dell’ex blocco sovietico. “Io ho scelto il cinese come seconda lingua a scuola e appena ho potuto sono andato a vivere là per conoscere quella cultura dal di dentro e vincere ogni tipo di pregiudizio – conclude Jacopo – Internet, i social network e la televisione possono darti degli assaggi, ma poi è tramite l’incontro con le persone che si fa la vera conoscenza: le nuove tecnologie sono una cosa moderna, la cultura è una cosa antica e che c’era prima della Rete, e che puoi respirare e assorbire solo attraverso il contatto umano”.