Corrado Poli, RIVOLUZIONE A SCUOLA. Come rendere felici e migliori insegnanti e allievi, Infinito Edizioni
Trent’anni d’insegnamento e di studio lontano dall’Italia e lo choc del ritorno su una cattedra nel nostro Paese sono all’origine di questo libro rivoluzionario, scritto come un’inchiesta giornalistica brillante e a tratti umoristica.
Forte della sua esperienza internazionale, l’autore spiega come potrebbe – e dovrebbe! – essere la scuola italiana se liberata da schemi rigidi, anche sindacali, e pregiudizi che ne impediscono ogni cambiamento. Poli passa sotto la lente del microscopio l’architettura degli edifici scolastici, la posizione geografica delle scuole sul territorio, l’ambiente, il comportamento di dirigenti, insegnanti, genitori e studenti, e lancia precise sfide per il futuro. Una nuova didattica e un rapporto inedito tra la scuola, gli insegnanti, gli studenti, il territorio, i sindacati e la politica è possibile. Qui, in modo divertente e approfondito, spieghiamo come.
“Dopo trent’anni la scuola non è cambiata: è necessaria una rivoluzione”
La scuola italiana? Un organismo che non si rinnova e che, anche attraverso il primo sciopero dell’anno scolastico indetto per venerdì 18, mostra tutte le sue crisi e fragilità. Le mette in luce Corrado Poli che, dopo anni di esperienze come insegnante negli Stati Uniti, torna dietro le cattedre italiane. “Rivoluzione a scuola” è un testo ricco di suggerimenti su come rivoluzionare la scuola sotto molteplici aspetti: non solo i programmi e gli orari delle lezioni, ma anche l’architettura degli edifici e l’ambiente circostante.
Gli esperimenti fatti in classe e le problematiche vissute in prima persona portano l’autore a sottolineare quali aspetti siano negativi nel rapporto con gli studenti. Gli insegnanti, inoltre, non sono più un’élite culturale a sé stante, ma devono reinventarsi sul nuovo contesto storico e sociale attuale, di cui fanno parte genitori e talvolta anche alunni già molto informati. Poli critica negativamente l’eccessiva attenzione sul “cosa” si debba insegnare, mentre pone l’accento su altri elementi più importanti: “come” si debba svolgere questa professione, e “chi” rappresenti il docente oggi: non un freddo e impersonale “strumento audiovisivo”, ma una persona felicemente conscia della propria importante vocazione.
Corrado, nel libro lei racconta del suo ritorno nel mondo della scuola a distanza di trent’anni. Quali sono state le sue prime impressioni rispetto all’ambiente che aveva lasciato?
Nulla mi sembrava cambiato! In gran parte eravamo persino gli stessi, solo più vecchi.
In che modo anche un edificio può condizionare l’educazione degli studenti?
Sono convinto che il rapporto tra scuola e territorio, tra scuola e ambiente sia una tematica molto importante e che seguo da sempre. Il luogo in cui si svolge il processo formativo esercita una funzione simbolica cruciale, anche dal punto di vista reale: il modo di stare in classe, di muoversi negli ambienti e utilizzare gli spazi influenza il rapporto tra cittadino e comunità. Se l’andare a scuola significa passare dalla libertà e dal benessere alla costrizione e alla povertà, l’idea che i giovani si fanno della società non è certo edificante. Molte scuole sono fatiscenti e sono edifici dall’aspetto povero e triste. Come si può pensare che ci si vada volentieri? O forse l’obiettivo è insegnare ai giovani che studiare (e vivere) è una sofferenza?
È un’utopia pensare che gli insegnanti siano felici della loro professione in modo da trasmettere agli studenti la loro passione?
Anzitutto, quella che lei chiama utopia è comunque necessaria per favorire il cambiamento. Quanto alla felicità, in qualsiasi contesto, se si lavora con piacere e passione si rende di più. Questo è ancora più vero per un “non-lavoro” come quello dell’insegnare!
Un non lavoro?
Certo! Insegnare può e deve essere una professione o una passione, persino un istinto innato! Se si tratta l’educazione dei giovani come un lavoro passivo si sbaglia in partenza. Non dobbiamo preoccuparci della produttività degli insegnanti, ma concentrarci sulla loro felicità, sulla loro disponibilità a trasmettere liberamente ciò che piace loro. Se trasmettono piacere e passione saranno anche efficaci nell’educare cittadini felici. Chi è felice impara, crea, produce. Non è questo il compito della scuola?
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