I presidi giocano d’anticipo: no alle occupazioni «Lanciamo cogestioni e didattica alternativa»

da Corriere della Sera

I presidi giocano d’anticipo: no alle occupazioni «Lanciamo cogestioni e didattica alternativa»

L’Anp: per ogni classe occupata si buttano mille euro al giorno Intellettuali divisi: «Occupare ha senso?»

Simona De Santis

Mille euro al giorno per ogni classe che occupa. Sarebbe questo il costo delle occupazioni scolastiche, al netto di eventuali danni causati dalla protesta stessa, stando ai calcoli effettuati dall’Associazione nazionale presidi (Anp). «Uno studente costa allo Stato circa 8 mila euro l’anno, cioè 40 euro al giorno di lezione – afferma Antonio Petrolino dell’Anp – Una classe di 25 studenti ne costa mille. Il fermo di una scuola di 30 classi ne costa 30 mila, sempre al giorno». Sarebbe come dire, rilanciano i presidi, che in due giorni di sospensione delle lezioni , «una scuola di medie dimensioni ha bruciato l’equivalente di quanto riceve in un anno di finanziamenti». Nella somma vengono conteggiati gli stipendi dei docenti e del personale scolastico. Soldi e lezioni persi che non verranno recuperati: «Se i ragazzi vogliono difenderla la scuola pubblica – sottolinea Petrolino – devono capire che questa non è la strada giusta perché genera uno spreco di denaro pubblico».

IPOTESI COGESTIONE – Dalle dirigenze scolastiche arriva una proposta alternativa: la cogestione, ovvero un periodo di didattica alternativa che studenti e professori possano gestire insieme. «Bisogna offrire ai ragazzi, già dai primi giorni di scuola spazi di confronto – insiste l’Anp – e trattare temi che stanno loro a cuore» ma nella legalità. Una forma alternativa di protesta sperimentata già da alcuni presidi: a Roma – dove a novembre dello scorso anno gli istituti occupati risultavano 70 – hanno avviato negli ultimi mesi esempi di cogestione il Mamiani, il Newton, il Talete, il Virgilio (che però si era spaccato con la sede centrale occupata e la succursale cogestita). Ma, se tra i ragazzi prevalesse la «linea dura», i presidi intendono reagire (denunce e sgomberi restano l’estrema ratio) introducendo nei regolamenti di istituto norme che rendano sanzionabili dal punti di vista disciplinare la «permanenza illecita nella scuola – aggiunge Petrolino – l’utilizzo non autorizzato di aule, l’ingresso non autorizzato di esterni all’istituto».

CENNI DI AUTUNNO CALDO – Al momento l’onda delle occupazioni è solo accennata: nella Capitale si registrano picchetti, dal 22 ottobre, nel liceo Manara, mentre lampo è stata l’occupazione al tecnico Bachelet, occupazione “senza danni” come ha comunicato il dirigente scolastico sul sito della scuola. Mentre i professori del Manara hanno firmato un documento in cui dichiarano «la loro ferma contrarietà all’occupazione dei locali dell’istituto e all’interruzione delle attività didattiche provocate da un gruppo ristretto di studenti. Ribadiscono che il normale funzionamento della scuola pubblica è un diritto di tutti i cittadini e che nessun gruppo è autorizzato a bloccarlo».

INTELLETTUALI DIVISI – I presidi si muovono in anticipo e cercano di prevenire gli effetti dell’autunno caldo e il grande numero delle occupazioni che lo scorso anno hanno messo a rischio anche il raggiungimento dei 200 giorni minimi di lezione previsti per rendere valido l’anno scolastico. E l’azione dei presidi pone anche un interrogativo: ha ancora senso occupare? Prendono la parola gli intellettuali: per lo scrittore Erri De Luca, le occupazioni sono «un’organizzazione minima di resistenza». Secondo lo storico Giordano Bruno Guerri, invece quella dei ragazzi è «una lotta per la sopravvivenza». Rincara la dose il filosofo Massimo Cacciari secondo il quale «è un miracolo che la protesta sia così soft». Diversa l’opinione dello scrittore Antonio Pennacchi per il quale le occupazioni sono un «fenomeno legato alla gioventù».