Anche i ministri sono soggetti alla legge

Anche i ministri sono soggetti alla legge

di Enrico Maranzana

Sabato 9 novembre si è tenuto a Pisa un convegno sui libri di testo e le risorse digitali: è intervenuto il ministro MC Carrozza [http://www.youtube.com/watch?v=Vl1M3zTY3-A]. Nel suo intervento ha sottolineato che “quella del digitale è un’occasione per ripensare un sistema dell’istruzione che ha profondo bisogno di rinnovamento: la sfida del digitale deve essere per noi anche e soprattutto una sfida legata alla qualità della formazione”.

 

Le argomentazioni sviluppate han fatto apparire nitidamente la sua strategia verso la qualità: il ritorno alla scuola napoleonica. Una dissertazione che costituisce un sintomo inequivocabile del male che da lustri infetta i piani più alti dell’edificio scolastico: la presunzione d’aver la verità in tasca e la noncuranza per la volontà del legislatore.

 

Il leitmotiv della riflessione del ministro è stato: “Dobbiamo trasmettere il sapere”  non dimenticando che “il contenuto di quello che trasmettiamo sia tale da rendere i nostri studenti competenti”.

Un principio dottrinalmente sbagliato e contrario allo spirito e alla lettera della legge: le competenze non sono una variabile dipendente dalla conoscenza.

Le competenze sono entità non primitive.

In ambienti dinamici e aperti le sue componenti sono capacità e conoscenze.

In ambienti statici e chiusi le sue componenti sono abilità e conoscenze.

Nell’istituzione scuola vige una relazione gerarchica che pone le capacità al vertice, a finalità del sistema educativo; le conoscenze sono a esse subordinate, incasellate come “strumento e occasione” d’apprendimento.

Non sarebbe potuto essere diversamente: i caratteri della società in cui i giovani entreranno al termine dei loro studi non sono prefigurabili. L’esplosione delle conoscenze,  l’invasività della cultura informatica, la complessità dei problemi, il lavoro d’équipe,  il “ mondo ormai villaggio” impediscono ogni ragionevole congettura.

Ne consegue che il promuovere la capacità di decidere in situazioni d’incertezza e  in ambienti ignoti è la sostanza del mandato affidato alle scuole   [un tema sviluppato in  “La professionalità dei docenti, un campo inesplorato”, visibile in rete].

Una  piattaforma inconciliabile con  l’orientamento ministeriale di “recuperare il dialogo tra scuola e università interrotto da riforme scellerate, da un’idea che si potesse separare l’istruzione secondaria da quella superiore .. scuola e università non sono due mondi diversi”.

Quale superficialità traspare dalla corrispondente giustificazione: “gli studenti sono sempre gli stessi” che ha a riferimento la fisicità dell’individuo non i suoi bisogni.

Una contrapposizione originata sia dalla disattenzione per le disposizioni che regolamentano la vita delle scuole,  sia dalla noncuranza per i dettami delle scienze dell’organizzazione.

Da un lato il sistema scolastico è orientato all’educazione, unitario, coordinato, sinergico, dotato di feed-back;  dall’altro lato l’università è costituita da un insieme d’insegnamenti autonomi,  con una propria, specifica finalità   [una tematica sviluppata in  “Coraggio! Organizziamo le scuole” e “Quale formazione per il dirigente scolastico” visibili in rete].

 

Non meno fragile è l’incipit: siamo in “una comunità che crede nel futuro del libro .. il passaggio dal libro cartaceo ad un libro che non sappiamo ancora come sarà .. i nostri libri potranno essere su piattaforme diverse .. ipad, samsung, piattaforme nuove ..”.

Nella scuola contemporanea, la cui mission è “rendere i nostri studenti competenti”,  discutere della forma del libro di testo è  irrilevante:  da analizzare è la sua sostanza che risiede nei regolamenti di riordino del 2010.  Essi hanno aperto la via elencando le competenze generali verso cui il sistema educativo deve muovere.  Hanno dato indicazioni sulle modalità di progettazione dei percorsi d’apprendimento:  la conoscenza viene intesa ed è da intendersi come la fase conclusiva di un percorso di ricerca che ha inizio con la percezione e la definizione di problemi, affrontati e risolti con le tipiche metodiche disciplinari.

Un’indicazione che fa tesoro del monito di Albert Einstein “La conoscenza è cosa morta, la scuola, però serve alle persone” 1.  Lo spirito vitale risiede nei problemi e nei metodi disciplinari che sono  motivanti e  coinvolgenti,  che sono il cardine della didattica laboratoriale e costituiscono la chiave di volta per la promozione di comportamenti produttivi.

L’attività di classe risulta bipartita: in un primo momento agli studenti è sottoposta una situazione problematica aperta, rilevante per la storia disciplinare, su cui sono chiamati a elaborare soluzioni.   Solo in un secondo momento il docente interverrà per portare a unità la produzione degli studenti e, quando l’attività di promozione delle competenze sarà conclusa, sistematizzerà la materia.

In questa fase appare la rilevanza dei libri di testo sui quali lo studente rintraccia la struttura delle conoscenze affiorate nelle analisi compiute  e  contestualizzate dall’insegnante: è pronto a cogliere le astrazioni concettuali del corpus disciplinare.

E’ da superare l’attuale configurazione dei testi che  sequenzializzano argomenti,  proponendo  itinerari  di conoscenze  [legati al sapere]  e non di problemi  [legati al saper agire in un contesto dato -> competenze], che forniscono ai docenti percorsi  cui   delegare le responsabilità  progettuali.

In prima battuta i testi dovrebbero  descrivere le situazioni problematiche che fungono da occasione di cattura dei principali problemi della disciplina, mostrare le modalità della loro  definizione,  illustrare le ipotesi formulate, precisare le strategie e le tecniche risolutive, presentare lo stato dell’arte.

Solo quando la progettazione sarà finalmente diventata il modus operandi della scuola e la socializzazione delle esperienze sarà universalmente accettata, la documentazione del lavoro dei docenti esaurirà tutte le esigenze.   [Un esempio è visibile in rete: “La storia di un triangolo” che documenta un approccio al teorema di Pitagora].

 

Il ministro ha sostenuto che le scuole e i docenti non sono in grado di “vedere l’esito di quello che fanno e avere un feed-back sull’effetto delle scelte fatte”.

 

Una concezione che rottama l’autonomia delle istituzioni scolastiche che “si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana”.

Com’è possibile progettare se non si può rilevare l’esito del lavoro fatto e capitalizzare le informazioni contenute nello scostamento risultati attesi-risultati conseguiti? [Una tematica sviluppata in  “Insegnare matematica dopo il riordino”,  visibile in rete].

 

L’enunciato iniziale era molto ambizioso: “Quella del digitale è un’occasione per ripensare un sistema dell’istruzione che ha profondo bisogno di rinnovamento”.  La questione è stata traslata e banalizzata.

Sarebbe stato interessante discutere della proporzione:

Il digitale STA al mattone COME l’informatica STA all’architettura

[una problematica sviluppata in “La scuola regredisce. Dal piano nazionale informatica al piano nazionale scuola digitale”,  visibile in rete].

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[1] Albert Einstein, “Ideas and Opinions” Crown Publishers Inc., 1954

“Sometimes one sees in the school simply the instrument for transferring a certain maximum quantity of knowledge to the growing generation. But that is not right. Knowledge is dead; the school, however serves the living. It should develop in the young individual those qualities and capabilities which are of value for the welfare of the commonwealth”.