Y. Sarid, Il poeta di Gaza

Per cambiare in Israele

 di Antonio Stanca

saridA Marzo del 2013 dalle Edizioni E/O di Roma, nella serie Tascabili, è stato pubblicato il romanzo del giovane scrittore israeliano Yishai Sarid, Il poeta di Gaza, (pp. 178, € 9,00, traduzione di Alessandra Shomroni). L’edizione originale risale al 2010 quando l’autore, nato nel 1965, aveva quarantacinque anni. Nel 2011 in Francia l’opera ha ottenuto il Grand prix de littérature policière, nel 2013 in Italia il Premio Internazionale Marisa Giorgetti per i diritti umani e civili.

Sarid vive a Tel Aviv, qui svolge la sua attività di avvocato e Il poeta di Gaza è il suo secondo romanzo. Riuscito lo si può dire sia per la forma espressiva sempre chiara e scorrevole, sempre capace di rendere ogni minimo particolare, sia per i contenuti impegnati a mostrare come si rifletta nella vita, nell’anima degli ebrei la tensione con i palestinesi, quanta attenzione, vigilanza essa richieda ai servizi di sicurezza onde prevenire, evitare azioni terroristiche e conseguenti morti e distruzioni. Ampio, articolato è il romanzo, volto a cogliere ogni aspetto, ogni risvolto dello spirito ebreo, a dire della realtà e dell’idea, del corpo e della mente. Una continua alternanza di tali elementi esso contiene e la rappresenta attraverso la figura del protagonista, a lui fa percorrere tanti luoghi d’Israele, fa incontrare tante persone, fa svolgere tanti compiti. In tal modo riesce vero, autentico,  fa vedere gli esterni delle situazioni che si verificano e i pensieri, i sentimenti di chi le vive. Sempre diviso mostra, infatti, quel protagonista tra il lavoro di giovane ufficiale dei servizi segreti israeliani, specializzato nell’interrogare le persone sospette, e i richiami dello spirito che lo vorrebbero libero da tali incarichi, preso da attività diverse, più semplici, più facili, meno pericolose. Il suo è un impegno senza sosta perché continuo è in Israele il pericolo di azioni terroristiche, non ha neanche il tempo necessario per la sua piccola famiglia, la moglie ed un bambino, ed ora è stato incaricato di scoprire dove vive, come agisce un pericoloso giovane arabo, uno dei capi del terrorismo palestinese, responsabile di tanti attentati e capace di compierne altri. E’ figlio di Hani, “il poeta di Gaza”, un intellettuale molto vecchio e malato che ha i giorni contati e che è molto amico di Daphna, la bella scrittrice di Tel Aviv che da tempo vive separata dal marito. Daphna ha un figlio tossicodipendente e in  una situazione di grave contrasto con i suoi complici nel traffico di droga.

L’ufficiale ebreo riuscirà, tramite la scrittrice, a raggiungere “il poeta di Gaza” e tramite lui suo figlio ma quando tutto era stato preparato dai rivali perché il terrorista fosse eliminato cercherà di salvargli la vita e vi riuscirà. Il rapporto avuto col padre, le lunghe conversazioni tenute con lui lo avevano mosso a compassione ma questo non basterà a salvarlo dall’accusa di tradimento e dal carcere. Da qui uscirà affranto, sfinito, confuso. Ora è completamente solo giacché la moglie, stanca di vivere soltanto col bambino, lo ha lasciato, se n’è andata insieme al piccolo. Lui cercherà Daphna, la incontrerà nella sua casa, invecchiata, delusa del figlio. Gli dirà che Hani è morto e insieme penseranno che sia ancora possibile sperare in tempi migliori.

E’ una speranza che percorre tutto il libro e che alla fine acquista il valore di un giuramento, di un patto, di un compito da svolgere  perché in Israele non c’è solo una famiglia da salvare dal pericolo, dalla rovina ma un’intera società. Questa mostra il romanzo di Sarid nei suoi problemi, nelle sue contraddizioni, nei tempi, nei luoghi della sua storia, della sua vita, della sua religione, nei pericolosi confronti con i vicini palestinesi, nei gravi rischi che corre e che soltanto un ambiente di collaborazione, di scambio, un’atmosfera di partecipazione, una volontà di bene potrebbero eliminare.

Quella di un uomo e di una donna che hanno perso tutto, che sono rimasti soli a Tel Aviv e che continuano a sperare, è l’immagine ultima dell’opera, è quella che lo scrittore vuol far diventare il simbolo dell’intera popolazione ebrea. Con essa vuole invitare la sua gente ad intraprendere un percorso diverso da quello finora compiuto, un percorso guidato dal bene, dall’amore e non più dal male, dall’odio.

Capace è stato Sarid di tenere legato il lettore, di coinvolgerlo fin dall’inizio, di farlo sentire partecipe di quella situazione sempre sospesa che è propria del romanzo, di quell’eterno travaglio al quale fin dall’antichità è esposto Israele.