Lo Stato non sa gestire la scuola

da Tecnica della Scuola

Lo Stato non sa gestire la scuola
di P.A.
Secondo Andrea Ichino, in una intervista riporta da Eduscuola, nella nostra scuola qualcosa non va, colpa dello Stato che “non perde occasione per dimostrare la sua incapacità di gestire scuole e università, scontentando tutti, a destra e sinistra, per motivi opposti”.
Fondamentalmente per Ichino lo Stato è inefficiente nel raggiungere obiettivi che non sono né di destra né di sinistra, come quello di selezionare in tempi rapidi insegnanti e professori universitari. E invece dovrebbe consentire a chi vuole gestire in modo diverso scuole e università di poterlo fare in modo completamente autonomo riguardo alla gestione delle risorse, soprattutto umane, e della offerta formativa. Una sperimentazione su base volontaria e come soggetto giuridico la “fondazione”, mentre “lo Stato deve fornire agli utenti tutte le informazioni elementari necessarie perché possano scegliere le scuole e le università che preferiscono, convogliando verso di esse le risorse pubbliche”. In questo modo la valutazione delle scuole sarebbe fatta dai cittadini, spiega Ichino, “sarebbero gli utenti con le loro scelte”. E infatti fra le cose da cambiare ci sarebbe “il reclutamento che è uno degli esempi più macroscopici dell’incapacità dello Stato di gestire la scuola. Soprattutto perchè le ricerche scientifiche più attendibili suggeriscono che per fare delle buone scuole ci vogliono soprattutto buoni insegnanti”, e costoro “vanno selezionati con attenzione tra i migliori laureati, che quindi devono essere attratti alla professione docente con carriere e retribuzioni adeguate, ma non garantite a tutti indipendentemente dalle capacità e dal merito”. Tra l’altro, continua l’esperto “insegnanti bravi si è, non si diventa! Anche perchè quelli bravi davvero non hanno bisogno che qualcuno gli dica se e come fare formazione e aggiornamento”. E di fronte al fallimento del Miur “è giunto il momento di consentire alle scuole che lo desiderano, di uscire dal sistema per potersi scegliere liberamente gli insegnanti, offrendo loro le retribuzioni e le prospettive di carriera che ritengono più adatte”. Sul piano della valutazione Invalsi si sta capendo, dice Ichino, che “una frazione sempre più ampia di popolazione si rende conto che i test Invalsi svolgono la stessa funzione del termometro per il corpo umano. Offrono indicazioni fondamentali, anche se ovviamente non esaustive, sulla esistenza di possibili patologie nel funzionamento di una scuola e nell’operato dei suoi insegnanti.” “Infatti i test Invalsi sono solo un parametro, peraltro utilizzato in tutto il mondo, ma non possono né debbono essere l’unico. D’altro canto, il contrasto acceso sulle modalità della valutazione in Italia mostra che il problema è trovare un accordo su quali parametri utilizzare”, per cui a questo punto lasciamo valutare gli Italiani “con i parametri che preferiscono. Ma devono essere sufficientemente informati dallo Stato su tutti i dati elementari necessari per farsi un opinione riguardo ai parametri preferiti. Non ho paura di dirlo: auspico una valutazione “fai da te”. Inoltre, secondo Ichino, in riferimento alla parità pubblico-privato, “lo Stato ha tre funzioni possibili nell’erogazione di servizi pubblici: finanziamento, regolazione e gestione diretta. Tuttavia esistono numerosi esempi di servizi che sono e rimangono pubblici anche se la terza funzione non è nelle mani dello Stato centrale ma di soggetti diversi. Pensiamo ad esempio ai trasporti pubblici, che in molti casi sono finanziati e regolati dallo Stato ma gestiti da altri. Le mie proposte però non riguardano le scuole private.” “A me interessa solo consentire alle scuole e università pubbliche di essere gestite in autonomia da soggetti diversi dallo Stato Centrale, che ha dimostrato fino ad ora la sua incapacità di gestore. Finiamola di affidare allo Stato le decisioni che non è in grado di prendere”. Per quanto poi riguarda la spesa del nostro Stato in istruzione, Ichino tiene a dire “L’Ocse non dice che spendiamo meno in istruzione: l’Italia spende meno in proporzione del Pil, ma spende quanto gli altri, se non di più, per studente. E il motivo è che, per via del calo demografico, gli studenti sono relativamente pochi. Quello che conta per valutare l’entità della spesa in istruzione è la quota per studente. E non solo spendiamo tanto per ogni studente ma abbiamo anche molti insegnanti e molte ore di insegnamento per studente”. E non solo, visti i risultati Ocse-Pisa sulle competenze degli studenti, “Lo Stato non spende poco, ma spende male. E non assume pochi insegnanti, ne assume troppi, dei quali alcuni, purtroppo, non sanno fare il loro mestiere”.