Bambini e bambine: mondi divisi da camerette, giochi e frasi fatte

da Corriere della Sera

LA SOCIOLOGA TEDESCA E GLI STUDI SULL’INFANZIA

Bambini e bambine: mondi divisi da camerette, giochi e frasi fatte

Baumgartner: «Già a 4 anni vengono inculcati gli stereotipi di genere. Il picco arriva in terza elementare e poi sfuma»

Elena Tebano

È nei cortili degli asili, quando i bambini sfuggono al controllo diretto dei «grandi», che si giocano i rapporti tra i generi: le regole non dette delle relazioni che legheranno da adulti, molti anni dopo, anche uomini e donne. Basta spingere gli occhi in quei cortili, tra gli scivoli e i girotondi, per vedere qualcosa di molto evidente ma per niente scontato: da una parte stanno i maschi, dall’altra le femmine. Separati. «Succede sempre: lo abbiamo osservato nel 90-95% dei casi. Ed è un fenomeno universale, che non riguarda solo il mondo occidentale o le società industrializzate. Già a un’età molto precoce c’è una norma implicita che dice: le bambine giocano con le bambine e i bambini con i bambini», spiega la professoressa Emma Baumgartner, psicologa, direttore del Dipartimento di psicologia dei processi di sviluppo all’università La Sapienza di Roma e autrice di numerose ricerche sui rapporti tra i generi in età prescolare.

«Sono soprattutto i bambini a non volersi mescolare, perché hanno un’immagine negativa delle loro coetanee. “Le bambine sono stupide”, “sono pettegole”, “con loro non ci gioco”, sintetizzano a tre anni. Anche quando le bimbe provano a interagire, i loro tentativi vengono sistematicamente rifiutati o ignorati, fino a farle desistere. E a 4 anni i gruppi sono rigidamente formati in base al genere. Il picco si ha nelle terze elementari, poi sfuma nella preadolescenza», aggiunge Baumgartner. Alla radice della violenza sulle donne ci sono anche questi atteggiamenti che si radicano fin dall’infanzia, pregiudizi e aspettative sui ruoli; una svalutazione diffusa e pervasiva del femminile che condiziona da subito il modo in cui interagiscono le due metà del mondo: è una sorta di zavorra che ci portiamo dietro senza neanche esserne consapevoli.

«I bambini percepiscono prestissimo il genere: imparano che il mondo è diviso tra maschi e femmine, che nell’universo femminile accadono e si fanno certe cose, nell’universo maschile altre. Tutto comunica questa separazione: anche le loro camerette. Studi realizzati negli anni Ottanta e Novanta in Nord America hanno mostrato che nelle stanze dei bambini c’è per esempio una maggior varietà di giocattoli: giochi scientifici, attrezzi, mezzi di trasporto. Nelle stanze delle bambine prevalgono invece bambole, peluche, oggetti in miniatura, giochi che rimandano alle attività domestiche». Nelle loro cose sono già impliciti condizionamenti e giudizi di valore. «Piccoli e piccole inoltre vedono subito che questi due universi sono sbilanciati: a scuola il 90% degli insegnanti sono donne, i calciatori sono maschi, la danza è una cosa da femmine, il presidente della Repubblica sempre un signore. C’è una percezione di diseguaglianza che i bimbi traducono e mettono in pratica quando si ritrovano in cortile».

Sono messaggi così profondi che le bambine cambiano addirittura il loro modo di comportarsi. «La psicologa Eleanor Maccoby ha fatto una serie di esperimenti con bimbe di 33 mesi, osservandole quando interagivano con persone di sesso diverso, ma che in entrambi i casi conoscevano molto bene. Le bimbe erano molto vivaci, propositive e allegre quando avevano a che fare con le compagne; diventavano invece passive e inespressive al cospetto dei bambini. Questi ultimi al contrario non cambiavano modalità di interazione al variare dei partner», chiarisce Baumgartner.

Per quanto condizioni i comportamenti fin dall’infanzia, la svalutazione del femminile è tutt’altro che innata: viene appresa osservando i comportamenti degli adulti, ascoltando le loro parole. «I messaggi più potenti sono quelli di dissuasione. E mentre le bimbe “maschiaccio” sono più tollerate, ai bambini non si perdonano atteggiamenti considerati femminili – spiega Baumgartner -. Ancora oggi insegnanti e genitori guardano con allarme quelli che preferiscono la compagnia delle bambine, giocano con giochi “da femmina” o che prevedono trucchi o travestimenti». E in qualche misura ci si aspetta ancora che i maschi siano, se non più aggressivi, almeno più irruenti delle femmine.

Il controcanto di questo atteggiamento, e uno dei molti fili che legano i pregiudizi nell’infanzia con la violenza contro le donne, è la richiesta implicita nei confronti delle bambine tipica del «sessismo benevolo», un atteggiamento discriminatorio non aggressivo, ma che comunque limita e confina la donna in ruoli subordinati. «La sua retorica vuole le bambine prima e le donne poi per natura più fragili, diverse dall’uomo in quanto meno forti, “preziose” per mille ragioni (riproduttive innanzitutto). E quindi bisognose di protezione, per definizione dipendenti: anche da adulte al ristorante o al bar il conto lo paga l’uomo – dice Baumgartner -. Quando però la donna infrange questo modello e si mostra indipendente, autonoma e assertiva scatta la reazione del possesso che può arrivare all’omicidio: “Puoi esistere soltanto nello spazio mentale definito da me marito, amante, fidanzato”, dice il violento con le sue azioni».

Solo allargando gli spazi mentali di uomini e donne, dunque, si disinnesca il meccanismo della violenza. Ma bisogna iniziare a lavorare fin dall’infanzia: «L’unica misura davvero efficace è promuovere le occasioni di contatto. Tutte le ricerche mostrano che dove i bimbi frequentano coetanei di sesso opposto, migliorano le aspettative nei confronti dell’altro genere e diminuiscono i pregiudizi – assicura Baumgartner -. Al contrario, tollerare la “segregazione di genere” significa tollerare che il valore del sesso maschile e quello del sesso femminile siano diversi». I cortili degli asili devono abbattere i muri invisibili che li dividono. Abbiamo una grande risorsa: la sconfinata capacità di imparare dei bambini.