Scuole occupate, ma solo i disabili mandati a casa

da La Stampa

Scuole occupate, ma solo i disabili mandati a casa

La denuncia della madre di una ragazza con handicap di un liceo romano. Gli studenti occupano, ma dei trenta compagni disabili nessuno si fa carico

gianluca nicoletti

I disabili non hanno diritto di stare a scuola quando i loro compagni la occupano. Lo  denuncia a Redattore Sociale  Fabiana Gianni, la mamma di una ragazza romana con handicap, che si è vista riportare la figlia a casa perché il liceo che frequenta non è attrezzato per occuparsi di lei in quel frangente.

Inizia il periodo “caldo” delle occupazioni invernali,  gli studenti prendono possesso degli istituti e mettono in atto la loro protesta.  Accade da più di quarant’anni almeno, sempre  le stesse parole, i contro corsi, i cartelloni, quelli che dormono in classe con il sacco a pelo… Quelli che ci credono, quelli che ne approfittano. Non è una novità.  A nessuno questo è vietato, solo i disabili sono rimandati a casa.  Le scuole hanno un loro piano di gestione dell’evento occupazione, che oramai è entrato quasi ovunque nel calendario liturgico dell’anno scolastico, come le ferie natalizie e le feste civili.

La denuncia di Fabiana però apre un capitolo inedito  sulla effettiva inclusione  dei ragazzi non perfettamente abili:  “Martedì mattina presto mi chiama la mamma di una compagna disabile di Diletta: mi dice che è stata appena chiamata dall’assistente che aveva accompagnato la figlia a scuola con il solito pulmino. Doveva andare subito a riprendere la ragazza, perché la scuola era occupata: fuori i professori, fuori tutto il personale scolastico, compresi insegnanti di sostegno e assistenti. Di conseguenza, fuori anche gli studenti disabili, almeno quelli che non sono autonomi, come mia figlia e la sua compagna”.

Fabiana però non è restata a casa, ma è andata comunque a scuola, insieme a Diletta: “Volevo capire cosa stava succedendo e speravo anche che per mia figlia esistesse un’alternativa: magari quella di entrare in un altro plesso dello stesso istituto, insieme all’assistente e all’insegnante di sostegno. Invece, niente da fare: mi è stato detto che dovevo solo riportarla a casa. Intanto, nessuno aveva chiamato la polizia, per segnalare l’occupazione: l’ho chiamata io. Allo stesso modo, nessun altro genitore era stato chiamato, se non le famiglie degli studenti disabili: almeno 5, quelli che frequentano il plesso occupato, ma oltre 30 in tutto l’istituto. “

La madre non si arrende, si è messa in contatto con il Miur, l’ ufficio scolastico regionale, si sta battendo per ottenere un’ attività alternativa, una sorta di piano d’emergenza perché in casi come questi non ci sia il fuggi fuggi degli insegnanti e la scuola si faccia come giusto carico dei soggetti più deboli che ha in affidamento.

E gli studenti occupanti? Possibile che nelle tante assemblee non sia stato posto il problema dei loro compagni meno “attivi”? Chi occupa e protesta lecitamente s’immagina che lo faccia per migliorare la società che avrà in eredità, non si pongono qualche domanda su quella parte dei propri coetanei che, qualunque sia il mondo che erediteranno, avrà sempre  difficoltà oggettive a vivere una vita decorosa? Sarebbe stato sicuramente un segno di maturità, da parte di questa generazione di occupanti, farsi, loro per primi, carico del problema di quelle trenta famiglie, almeno permettendo che i loro compagni avessero la stessa loro opportunità di vivere la scuola, anche se occupata.

Loro che si affacciano ora all’idea di una partecipazione alla vita civile, non ripetano lo stesso sbaglio di tutte le precedenti generazioni di occupanti, oggi magari noti personaggi della politica nazionale. Includano nei loro pensieri di lotta anche il diritto alla dignità dei compagni disabili. Che i giovani esordienti leader non valutino gli esseri umani  come hanno sempre fatto, e ancora fanno, i politicamente attivi, ovvero solo  in ragione della loro possibilità di poter popolare un futuro collegio elettorale.