Motivazione ad apprendere: non spegniamola!

Motivazione ad apprendere: non spegniamola!

di Umberto Tenuta

 

Ogni essere vivente che agisce, agisce per uno scopo.

Le piante affondano le loro radici nel terreno ed aprono le foglie al sole per procurarsi le sostanze nutritive.

Gli animali ricercano il cibo, di qua e di là, per crescere.

Gli esseri umani non sono da meno!

 

Già nel grembo materno si agitano, si muovono, ascoltano… istintivamente consapevoli che “nati non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza ” (Dante).

Nascono ed aprono gli occhi al mondo che li circonda, imparano subito a succhiare il latte materno, agitano le mani per afferrare gli oggetti e divenire capaci di prenderli.

Attraverso l’ascolto, le loro lallazioni diventano parole per esprimere i loro bisogni: “latte” significa: “ho fame, dammi il latte“.

Si rotolano per imparare a camminare…

 

Se li priviamo della possibilità di soddisfare i loro bisogni innati, non apprendono, non imparano a prendere gli oggetti, a camminare, a parlare…

 

Imparano la lingua materna con una facilità enorme, come non apprenderanno mai un’altra lingua!

A diciotto mesi riescono a imparare a leggere, ad un anno pattinano, a tre anni suonano il violino e parlano due lingue (TITONE R., Bilingui a tre anni, Armando, Roma, 1973 − IBUKA M., A un anno si pattina, a tre si legge, e si suona il violino, Armando, Roma, 1984).

 

La suola delle mamme è la migliore di quelle che seguiranno.

 

Ma quali rischi corrono i giovani a mano a mano che crescono?

Direi che i bambini, con la frequenza della scuola dell’infanzia, affermatasi col Froebel come Giardini dell’infanzia, molti rischi non si corrono!

Le cose cambiano o possono cambiare con la frequenza della scuola primaria ove ci si discosti dal clima di gioco che caratterizza i primi sei anni di vita.

La gioia di imparare può essere distrutta, se la scuola primaria si intende, non come scuola da frequentare obbligatoriamente, ma come scuola dell’obbligo di imparare, e non della gioia di imparare, di imparare per realizzare la propria umanità, per affermarsi come ogni essere vivente.

Nella scuola primaria c’è il rischio che l’apprendere non sia vissuto come strumento della propria affermazione, della propria autorealizzazione, del proprio divenire uomo, ma come obbligo incomprensibile, stanti le scarse capacità di guardare lontano, presi come sono, i fanciulli, dall’immediato presente.

Le cose peggiorano enormemente nella scuola secondaria di primo grado e ancor di più in quella di secondo grado.

Perché?

Perché l’apprendere non è più visto, sentito, avvertito, percepito come strumento della propria affermazione.

Anzi, il rischio dei voti negativi, dei richiami, delle punizioni, delle premiazione degli altri, dei voti, peraltro resi pubblici, demotivano gli alunni.

I voti negativi (5, 4, 3, 2, 1, 0) sono visti come una ferita al proprio essere, al proprio bisogno di affermazione, al proprio bisogno innato di autorealizzazione umana.

 

Che fare allora?

Sembrebbe, ma non lo è, la cosa più semplice di questo mondo.

Don Milani lo ha gridato con forza:

Aboliamo i voti!

Aboliamo le bocciature!

Agli svogliati diamo uno scopo! 

 

Non diamo voti e, se li diamo, almeno non rendiamoli pubblici, mortificando ancor di più quelli che dovrebbero essere studenti, filosofi, coloro che amano il sapere.

 

Non c’è bisogno di studiare i la complessa problematica della motivazione per comprendere, anche attraverso la nostra esperienza diretta, che ogni lesione della nostra reputazione ci scoraggia, ci avvilisce, ci deprime, ci fa passare la voglia di fare, di apprendere, di impegnarsi anche nello studio.

 

Perché le squadre di calcio vincono più facilmente in casa propria?

Perché là sono maggiormente incoraggiati!

 

Allora, non scoraggiamo mai gli di studenti!

Anzi, incoraggiamoli sempre, come fanno gli sportivi!

È un nostro dovere nei confronti degli studenti che tali sono in quanto amano apprendere, quali filosofi (philos = amore; sophi=sapere).

La parola Studente deriva dal latino studium che significa anche passione, desiderio, impulso interiore“.

Scrive F. Ferrarotti che <<La scuola non sembra in grado di stimolare e far scoprire ai giovani la gioia della lettura, e di riportare lo studio al suo significato originario di studium, ossia amore, passione, avventura>> (Presentazione: FERRAROTTI F., Leggere, leggersi, Donzelli, Roma, 1998).

 

Facciamo in modo che i giovani, ai quali abbiamo il dovere di assicurare il successo formativo (<<Ogni uomo è destinato ad essere un successo e il mondo è destinato ad accogliere questo successo>>, in: FAURE E, (a cura di), Rapporto sulle strategie dell’educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, p. 249),  conservino e non perdano il loro innato bisogno di apprendere che è proprio di ogni figlio di donna (HODKIN R.A., La curiosità innata – Nuove prospettive dell’educazione, Armando, Roma, 1978).

 

La scuola acquisterà sempre maggiore prestigio a mano a mano che essa diventerà sempre più la “Ca’ zoiosa”, casa della gioia, come la realizzò Vittorino da Feltre.

 

Viva le scuole che ogni giorno sono vissute come ambienti della gioia di apprendere, di imparare, di crescere, di divenire adulti!

 

Anche perché quelle scuole sono il luogo nel quale noi docenti viviamo la gioia di aiutare a crescere, in “virtute e canoscenza”, i nostri fratelli e le nostre sorelle minori.