11 dicembre Fiducia Governo

L’11 dicembre il Governo ottiene la fiducia da Camera e Senato.

Intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri, Enrico Letta, alla Camera dei Deputati

Signora Presidente, onorevoli colleghi, sono qui oggi per chiedere il voto di fiducia per un nuovo inizio, con obiettivi realizzabili e tempi certi, soprattutto con la determinazione a lottare con tutto me stesso per evitare di rigettare nel caos il Paese proprio nel momento in cui esso è in grado di rialzarsi.
È vero, l’Italia è oggi una società fragile e stordita dalla crisi, è però nello stesso tempo una società pronta, dopo tanti sacrifici, a ripartire. È nostro compito, anzi è nostro obbligo, anche generazionale, guidarla in questa ricostruzione.
Essere qui per me è un privilegio e un dovere insieme, perché questo è il Parlamento della Repubblica, perché le istituzioni esigono rispetto, lo esigono sempre e lo esigono a maggior ragione in un tempo così amaro, nel quale sempre più spesso si tenta di immiserire quest’Aula con parole e azioni illegittime. Sono parole e azioni figlie di una cultura politica che mette all’indice i giornalisti, avalla la violenza, vuole fare macerie degli edifici stessi della democrazia rappresentativa  arriva a incitare all’insubordinazione le forze dell’ordine , forze dell’ordine che invece io qui voglio ringraziare davanti a voi e al Paese, per la fedeltà indiscutibile ai valori repubblicani che dimostrano ogni giorno
Onorevoli colleghi, il 2 ottobre, a dispetto del voto finale, mi sono rivolto direttamente a una nuova maggioranza politica a sostegno dell’Esecutivo che presiedo: una maggioranza meno larga nei numeri, più coesa negli intenti; una maggioranza che ha dimostrato di essere tale con il voto di fiducia al Senato sulla legge di stabilità. Oggi, ciò che vi chiedo è di confermare quella fiducia, per segnare anche formalmente una discontinuità, per distinguere per bene tra un prima e un dopo.

“Impegno 2014”
Il prima lo conoscete, lo conosciamo. Rivendico la positività dell’esperienza di questi mesi e l’impegno a lavorare con dedizione, nonostante le intimidazioni quotidiane, gli aut aut, le minacce dalle quali ho scelto di tenere, per quanto possibile, in questi mesi, il Governo al riparo.
Lo rivendico perché ho sempre considerato questa esperienza come il passaggio da una situazione di contrapposizione tossica tra nemici a un sistema di competizione sana tra avversari; un passaggio obbligato dall’esito del voto di febbraio, ma, soprattutto, dalla necessità di archiviare un ventennio sprecato. Fatta eccezione per alcune importanti realizzazioni – l’ingresso nell’euro, naturalmente, è tra queste –, sono state infatti troppe le occasioni mancate: sprecata l’opportunità di riformare la politica, le istituzioni; sprecata la chance di invertire il declino dell’economia italiana prima che la crisi intervenisse, come un uragano, a sconvolgere la vita dei cittadini, delle famiglie e delle imprese.
Il nostro alibi è stato il conflitto, apparentemente insanabile, tra due Italie, ma il costo di questo alibi si è rivelato altissimo per tutti gli italiani, condannando le istituzioni all’impotenza.
Delle responsabilità di questo fallimento ho parlato nel discorso di aprile: nessuno può dirsi assolto, perché non si è riusciti, da una parte e dall’altra, a resistere alla tentazione di qualificarsi sempre e solo per contrasto; perché alla ricerca paziente e faticosa delle soluzioni utili all’Italia si sono preferite scorciatoie, slogan, il consenso qui e adesso.
Il Governo che presiedo è nato dall’impegno della maggioranza parlamentare a superare questi vizi e a distinguere temporaneamente le politiche dalla politica. Malgrado le differenze e le diffidenze reciproche, le infinite ferite del passato, penso che in molti abbiano vissuto con genuina convinzione questo impegno.
La scorsa estate, alla missione stessa di servizio al Paese, si è tentato – ed è questo alla fine il motivo per cui sono qui – di anteporre una questione sola, tanto da utilizzarla come condizione ultimativa rispetto alla vita dell’Esecutivo. Nella vicenda giudiziaria di Silvio Berlusconi non sono entrato in questi mesi e non entro oggi.
Accettando l’incarico dalle mani del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano cui va ogni giorno, oltre che la mia gratitudine personale, il ringraziamento per il sacrificio con cui adempie, in condizioni difficilissime, all’incarico cui questo Parlamento l’ha impegnato per la seconda volta a larghissima maggioranza, avevo però detto che il mio non sarebbe stato un Governo a tutti i costi.
Non è stato un Governo a tutti i costi. Avevo detto che il rispetto per la separazione tra i poteri dello Stato e per la loro piena autonomia era un limite da non oltrepassare: quel limite non è stato oltrepassato. Tutto ciò l’ho deciso anche prendendomi il rischio di andare a casa ed è per questo che oggi sento più forza, sento che dobbiamo usarla, sento che dobbiamo usarla al meglio.
Dunque, a dispetto di chi dice che non cambia mai niente, la trasformazione politica determinatasi in questi sette mesi è di gran lunga la più radicale di tutta la Seconda Repubblica. C’è stato un prima, ci sarà un dopo e il dopo è una storia nuova da scrivere; può e deve farlo una leadership politica ringiovanita di alcuni decenni in soli pochi mesi, legittimata grazie a coraggio e partecipazione, da una parte all’altra di quest’Aula. Può e deve farlo il Parlamento, pena la condanna all’ingovernabilità perenne, alla paralisi, al caos simile o addirittura peggiore di quello vissuto nei due mesi di limbo che hanno separato il voto di febbraio dalla rielezione del Presidente della Repubblica.
Per esentare questo rischio vi chiedo di impegnarci insieme. Molti degli obiettivi a cui farò riferimento oggi sono in effetti il frutto di una base di consenso comune maturata a partire dalla fiducia iniziale e dalle successive evoluzioni. Li porteremo quindi avanti speditamente. Oggi però la coalizione è diversa, è più unita. Ci sono, dunque, le condizioni per definire nelle prossime settimane un patto di Governo tra chi sceglie di concederci la fiducia, un patto che chiamerò da adesso in poi «impegno 2014».
Questa discussione all’interno della maggioranza servirà per declinare in modo più definito i punti sui quali oggi vi chiedo la fiducia. Ma, per essere chiari, il nuovo inizio è oggi. Gli approfondimenti che faremo nella maggioranza non saranno occasioni per rimettere in discussione i punti cardinali del lavoro per il 2014, che sono nel discorso sul quale vi sto chiedendo, in questo momento, la fiducia.
L’impegno è quello che assumiamo con l’Italia, prima che tra di noi: comporta un’articolazione più collegiale tra i nuovi gruppi parlamentari della maggioranza; comporta affidamento, fiducia reciproca; comporta rispetto e linearità.
Nei mesi scorsi non c’erano le condizioni per dare seguito ad una proposta di tenore simile che mi aveva rivolto il senatore Monti: ne dovetti prendere atto. Oggi queste condizioni ci sono e aiutano senz’altro le sollecitazioni, che mi paiono peraltro componibili, espresse dai nuovi leader del Partito Democratico, del Nuovo Centrodestra e dai nuovi gruppi parlamentari Per l’Italia, oltre che ovviamente da Scelta Civica.
Per una democrazia più forte e solida: le riforme e la legge elettorale
Onorevoli colleghi, il grande obiettivo, entro il quadro temporale dei diciotto mesi, è avere istituzioni che funzionino e una democrazia più forte e più solida. In questo, le riforme istituzionali occupano il primo posto, non solo perché proprio senza istituzioni credibili ed efficaci è immiserita ogni azione di Governo, ma perché la sentenza della Consulta, che ci ha liberato della peggior legge elettorale d’Europa, impone di trovare soluzioni al più presto.
L’urgenza e il nuovo quadro politico ci inducono al realismo: la scelta di Forza Italia di non garantire il sostegno al percorso rafforzato di riforma costituzionale, che era giunto proprio alla soglia dell’ultimo passaggio parlamentare, obbliga a un’onesta presa d’’atto della necessità di cambiare percorso per evitare una dilazione dei tempi che sarebbe un errore capitale. Dobbiamo quindi arrivare al risultato e rapidamente. Per questo propongo che si lavori sulla procedura dell’attuale articolo 138 della Costituzione e che ci si concentri su quattro obiettivi di cambiamento.
Il primo: la riduzione del numero dei parlamentari, priorità largamente condivisa in questo Parlamento e che necessita di un intervento di cambiamento della Carta costituzionale.
Il secondo: l’abolizione delle province dalla Costituzione. Il disegno di legge in materia l’abbiamo depositato nei mesi scorsi. Si aspettava l’approvazione definitiva del disegno di legge costituzionale che istituiva procedure ad hoc per le riforme costituzionali; quella oggi è impossibile, quindi è bene oggi procedere subito sul disegno di legge costituzionale già presentato sull’abolizione delle province.
Il terzo: la fine del bicameralismo perfetto, con un’unica Camera che dia la fiducia e faccia le leggi e l’altra che esprima più compiutamente il disegno di raccordo con le autonomie, già presente nella Carta costituzionale.
Il quarto: una riforma del Titolo V della Costituzione che metta ordine nel rapporto tra centro e poteri decentrati, migliori il ruolo delle specialità e chiarisca le responsabilità di ciascun livello di governo, limitando al massimo quelle concorrenti in favore della competenza esclusiva dello Stato oppure delle regioni.
A partire da una discussione nella maggioranza, aperta poi a tutte le forze politiche, si dovranno rapidamente definire disegni di legge costituzionale per raggiungere questi obiettivi. Sarà utilissimo, in questo, il lavoro del Comitato dei saggi, che ringrazio tutti per la dedizione e la qualità delle proposte presentate al Governo. Da lì partiremo per la riflessione dei prossimi giorni su questi quattro punti.
Chi proverà a far saltare il banco ne risponderà di fronte ai cittadini, cittadini che con un referendum saranno comunque chiamati a decidere se confermare o meno una riforma che consentirà alle nostre istituzioni di funzionare meglio e all’Italia di scrollarsi di dosso l’immagine del Paese barocco, instabile, che non riesce mai a decidere.
Vengo adesso alla legge elettorale. Mi concentro su due aspetti. Primo: essa deve evitare un eccesso di frazionamento della rappresentanza, che ci condannerebbe all’ingovernabilità. Come ha ammonito il Presidente Napolitano, la democrazia dell’alternanza è un obiettivo irrinunciabile e ci impone di orientarci verso meccanismi maggioritari.
Il secondo: finalmente sono state cancellate le liste bloccate, negazione di ogni criterio di merito e rappresentanza, inno alla cooptazione. È fondamentale ora facilitare le scelte dei cittadini e creare un legame, il più diretto possibile, tra elettori e il loro eletto.
Nessuno, noi per primi, pensi ad una legge elettorale punitiva nei confronti di altri. Il Governo, la maggioranza, innanzitutto, e il Parlamento tutto lavorino nelle prossime settimane per dare pronta attuazione al pronunciamento della Consulta e restituire ai cittadini lo scettro, vale a dire il diritto di scegliere chi li rappresenta e chi li governa.
Anche sull’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti dobbiamo arrivare alla parola «fine», esattamente come è avvenuto da subito con l’eliminazione del doppio stipendio dei parlamentari che erano anche membri del Governo, come il sottoscritto. L’avevo promesso nel discorso di nascita dell’Esecutivo e l’abbiamo fatto il giorno dopo.
Sull’abolizione del finanziamento pubblico ho ripetuto più volte che, con la collaborazione tra Governo e Parlamento, si sarebbe potuto chiudere entro l’anno una questione il cui infinito trascinarsi fa giustamente infuriare l’opinione pubblica in modo assolutamente trasversale. Il Governo ha approvato la proposta, poi migliorata e licenziata da questa Camera, tuttavia troppi sono i mesi passati dal varo in Consiglio dei ministri. Per questo confermo qui la mia volontà a completare, definitivamente e con tutti gli strumenti a disposizione, la vicenda entro l’anno.

L’Italia che si rialza: 5 obiettivi per il 2014
Onorevoli colleghi, ad aprile, davanti a voi e al Paese, mi sono impegnato per un programma di riforme economiche. Non cerco attenuanti e non nego che la minaccia continua di instabilità abbia contribuito a indebolire l’azione del Governo. Tuttavia resto convinto della bontà della nostra impostazione. Abbiamo messo in cantiere interventi importanti, ma soprattutto abbiamo privilegiato una politica economica basata sul rispetto degli impegni, da un lato, e sulla creazione di condizioni in grado di supportare la ripresa, dall’altro. La caduta del PIL si è arrestata, come dimostra il dato di ieri sul terzo trimestre dell’anno, il primo, dopo oltre due anni, senza un segno negativo. Il Paese oggi può ripartire, naturalmente però dobbiamo attuare le misure già approvate e varare subito le riforme indispensabili per rendere strutturale il recupero di competitività.
Confermando, quindi, questa impostazione, cinque sono i punti che devono essere, a mio avviso, alla base del nostro impegno per il 2014. Dobbiamo innanzitutto continuare a far scendere contemporaneamente il debito, il deficit, le spese di parte corrente e le tasse su famiglie e su imprese, piccole e grandi.
Secondo: dobbiamo raggiungere l’anno prossimo la crescita dell’ordine di grandezza dell’1 per cento e arrivare alla crescita del 2 per cento nel 2015, una crescita che sia strutturale e che si accompagni a un’aggressione efficace alla disoccupazione, a partire da quella giovanile.
Terzo: dobbiamo rilanciare gli investimenti pubblici, spendendo le risorse stanziate, usando al meglio i fondi strutturali europei ed eliminando i colli di bottiglia nell’attuazione delle decisioni prese su infrastrutture e opere, grandi e piccole.
Quarto: dobbiamo aggiornare le nostre politiche di competitività industriale a sostegno di imprese, in particolare piccole e medie, affinché siano sempre più innovative, digitalizzate e internazionalizzate.
Quinto: dobbiamo creare un clima più favorevole agli investimenti attraverso il piano «Destinazione Italia», con le sburocratizzazioni, l’apertura dei mercati, le semplificazioni, in particolare dei codici del lavoro e di quello fiscale, e le riforme della giustizia civile.
Il 2014 – dicevo – sarà il primo anno con il segno più dopo il buio della crisi. È un risultato non scontato. Pur con molte difficoltà, possiamo incassare il dividendo della stabilità, senza il quale avremmo avuto certamente un innalzamento dei tassi di interesse, che a loro volta avrebbero strangolato la crescita.
Siamo l’unico grande Paese d’Europa, con la Germania, sotto il 3 per cento di deficit; il surplus primario – cioè la spesa al netto degli interessi – è oggi al 2,5 per cento; siamo, quindi, sempre assieme alla Germania, i più virtuosi tra i grandi Paesi d’Europa.
È vero, abbiamo il debito pubblico che è colossale. Lo stiamo aggredendo, lo dobbiamo aggredire, inizierà a scendere nel 2014, dopo cinque anni di crescita ininterrotta. È importante perché ce lo chiede l’Europa ? È importante e fondamentale perché un debito pubblico così alto in rapporto al PIL ci costa troppo: quest’anno spenderemo quasi 90 miliardi di euro in interessi. Novanta miliardi di euro: una decina di leggi di stabilità, soldi buttati. Qui in Parlamento ci accapigliamo per qualche milione; immaginate cosa potremmo fare anche solo con un quarto di quei 90 miliardi.
Ora, fermi restando gli indicatori virtuosi che ho detto e che devono rimanere tali, è il tempo delle azioni sull’economia reale per i lavoratori, per gli artigiani, gli imprenditori, i professionisti, i commercianti, i ricercatori.
Parto dal dire che intanto sono operativi ora, in questo mese, gli strumenti che sono stati messi a punto in questi mesi di Governo.
Chi vuole investire sui macchinari e sulle dotazioni tecnologiche, grazie alla nuova «legge Sabatini» contenuta nel «decreto Fare», può farlo, abbattendo gli interessi sul finanziamento e con un’ampia garanzia statale. Chi vuole assumere un giovane disoccupato, può farlo con l’incentivazione straordinaria della decontribuzione totale. Già, quindi, un primo segno su quella strada di riduzione delle tasse sul lavoro, che abbiamo intrapreso poi nella legge di stabilità e che rafforzeremo ulteriormente. Chi vuole dare un impiego a una persona di qualsiasi età, uscita dai cicli produttivi, una persona in difficoltà, può farlo, beneficiando, dal momento dell’assunzione, dell’ammortizzatore sociale residuo. Chi vuole ristrutturare, con criteri ecocompatibili la propria abitazione, ora lo può fare con uno sconto fiscale mai così alto e sulla casa voglio anche sottolineare i fondi messi a sostegno della morosità incolpevole, a sostegno delle giovani coppie e dei lavoratori precari.
Potrei continuare, ma so che bisogna fare molto di più, partendo da una priorità ineludibile: il soccorso per quegli italiani che la crisi ha esposto a livelli di vulnerabilità mai toccati;  i disoccupati, le cui famiglie scivolano verso la povertà; gli esodati, per i quali le risposte, pure parzialmente arrivate, sono ancora incomplete, i giovani, frustrati nel non trovare un impiego; gli anziani e i pensionati, per i quali le prime misure per la non autosufficienza contenute nella legge di stabilità sono necessariamente da rafforzare, le indicizzazioni delle pensioni da estendere; i disabili, per i quali si è operata un’inversione di tendenza su alcune voci di spesa sociale che verranno rafforzate l’anno prossimo.
Sempre l’anno prossimo, vogliamo e possiamo sperimentare quei nuovi strumenti di sostegno per l’inclusione attiva contro la povertà previsti nelle riforme di questi mesi. Dobbiamo far sì che funzionino bene e siano estesi in modo strutturale dal 2015. Il tutto ovviamente con un’attenzione particolare e selettiva al Mezzogiorno, dove i problemi di esclusione, crescita della povertà, scoramento e rabbia esplodono se non si danno risposte immediate e mirate.
Allo stesso modo, nel 2014, completeremo la riforma degli ammortizzatori sociali: vanno disegnati meglio, vanno estesi a chi vive l’estrema vulnerabilità personale e familiare generata dalla chiusura di tante aziende, piccole e grandi. In un clima di dialogo sociale, si deve andare verso un sistema che privilegi il lavoratore rispetto al solo posto di lavoro. Nessuno deve restare indietro, nessuno deve avvertire il senso freddo della solitudine rispetto alla comunità. Ed è proprio quella parola «comunità» che vi chiedo di rilanciare con forza, il ruolo dei corpi intermedi, dell’associazionismo, del volontariato, la forza economica e di competitività delle donne che oggi non valorizziamo come dovremmo e, soprattutto, come servirebbe. Per questo, dopo aver attivato, in questi mesi, le forme di incentivazione previste dalle misure a favore dell’occupazione femminile, il 2014 sarà l’anno delle misure sulla conciliazione lavoro-famiglia, delle quali stiamo già preparando i contenuti.
L’Italia è, quindi, e deve essere una comunità, non mi stancherò mai di ripeterlo; l’Italia è capacità di impresa, innovazione, dedizione, fierezza del lavoro. Siamo la quinta potenza manifatturiera del mondo, la seconda in Europa. Tra le prime venti filiere industriali in Europa, dieci sono tedesche e sei sono italiane. Abbiamo la seconda agricoltura europea per valore aggiunto; il nostro export cresce, si rinnova e trova nuovi mercati; siamo uno dei pochi grandi Paesi al mondo a presentare stabilmente un surplus commerciale strutturale nel manifatturiero.
Stiamo quindi reagendo: non dobbiamo rinunciare ad usare i nostri talenti e, in particolare, le tre risorse più importanti: il nostro capitale umano, innanzitutto, cioè le persone, puntando sull’istruzione dei giovani e sulla ricerca. In secondo luogo, la bellezza e la cultura, puntando sul turismo, sull’ambiente, sulla grande occasione dell’expo, sulla vitalità e la creatività. In terzo luogo, le imprese: è vero che abbiamo perso, in questo ventennio, molta capacità industriale anche nei servizi, ma molta ce n’è ancora e molta possiamo recuperarne.
Partiamo dalle ragazze e dai ragazzi. Il primo gennaio prende avvio la garanzia per i giovani: il nuovo strumento che a giugno è stato approvato, per l’Italia, è una grande sfida; ci sono le risorse, tutto è pronto, adesso va attuato, dal primo gennaio.
Abbiamo riportato e vogliamo rimettere l’istruzione e la ricerca in cima alle priorità, prima con il decreto «l’istruzione riparte» e, nei prossimi mesi, con tre impegni concreti.
Anzitutto, un piano da attuare entro marzo, di interventi per rilanciare l’università e la ricerca, mettendo al centro studenti e qualità del sistema, potenziamento della valutazione, nuove regole per il finanziamento degli atenei e la contribuzione studentesca, costo standard per studente, diritto allo studio da rafforzare. In secondo luogo, una costituente della scuola da concludere entro giugno, per adottare gli interventi con gli obiettivi precisi: i ragazzi devono diplomarsi prima, con competenze migliori e un orientamento più chiaro sulle future scelte professionali di formazione superiore. Gli insegnanti devono avere opportunità di formazione adeguate e regole di reclutamento e carriera stabili, basate su trasparenza e merito. Il ciclo di istruzione deve iniziare per tutti con la scuola dell’infanzia, che è un diritto dei bambini e uno strumento per favorire la conciliazione famiglia-lavoro e le pari opportunità. E poi i giovani ricercatori. Dopo aver portato il turnover al 50 per cento dobbiamo procedere su questa strada. La burocrazia non può ingabbiare l’autonomia dei ricercatori, la loro vocazione internazionale. Con questo spirito nel nostro semestre di presidenza europea lavoreremo per promuovere la mobilità dei ricercatori e completare l’area europea della ricerca.
Il secondo aspetto: la bellezza come grande risorsa economica. Proseguiremo nell’azione avviata, confermando l’impegno a investire sulla cultura. A gennaio, arriverà in Consiglio dei Ministri il decreto per rilanciare il turismo. Sempre a gennaio, in linea con il «decreto valore cultura» già varato, sarà lanciato il bando per il progetto annuale «Capitale italiana della cultura» e il 27 maggio, l’anniversario della drammatica strage dei georgofili, culminerà con la designazione della prima capitale italiana della cultura per l’anno 2015. Strettamente legati a questi temi ci sono, naturalmente, l’ambiente e la tutela del paesaggio. Dobbiamo scegliere la strada della prevenzione, dell’efficienza, della lotta agli sprechi, della sostenibilità. Dobbiamo aumentare gli investimenti contro il dissesto, a partire da una migliore capacità di spesa dei fondi già disponibili. Allo stesso tempo, dobbiamo semplificare le procedure per realizzare presto e bene gli interventi come previsto nell’agenda verde, il collegato ambientale alla legge di stabilità. Bisogna approvare il disegno di legge per il contenimento del consumo del suolo, già presentato.
Le imprese sono il terzo punto. Mettiamo al centro della nostra azione economica la competitività. Un fattore importante è la riduzione del costo del lavoro. Abbiamo cominciato ad affrontarlo con la legge di stabilità. Il Parlamento ci ha impegnato a impiegare nella ulteriore riduzione del costo del lavoro i proventi della revisione della spesa e del ritorno dei capitali dall’estero. Inseriremo questo automatismo nell’ultimo passaggio, nei prossimi giorni, del disegno di legge di stabilità proprio qui alla Camera, dopo averlo discusso con le parti sociali.
«Destinazione Italia», il piano per l’attrazione degli investimenti e il rilancio della competitività, sarà invece venerdì in approvazione al Consiglio dei Ministri. Vogliamo dare agli investitori e agli imprenditori certezza delle procedure, certezza dei tempi, anche della giustizia, certezza sul fisco, il tutto per abolire o semplificare procedure inutili e per modernizzare l’intera pubblica amministrazione. All’interno del piano ci saranno un credito di imposta per la ricerca e fondi per incentivare la digitalizzazione delle piccole e medie imprese.
Ancora venerdì interverremo, con «destinazione Italia», anche su un altro dei fattori frenanti della competitività, ovvero l’alto costo dell’energia. Una riduzione di 600 milioni di euro sulle bollette che si somma a quella già prevista dal «decreto Fare». Per rilanciare la competitività del nostro sistema c’è anche bisogno che lo Stato in alcuni campi sia in grado di giocare bene il proprio ruolo, non certo alla vecchia maniera, ma con un uso efficace e moderno dei nuovi strumenti in campo, con una riflessione a largo spettro per evitare di perdere asset preziosi e per concentrare risorse su operazioni di sistema e opportunità da non perdere, sia a casa sia sui mercati europei ed esteri. Su questo mi aspetto importanti contributi dalla discussione sul contratto di governo che ho già chiamato «Impegno 2014».
A completamente della legge di stabilità e di «destinazione Italia» il Governo ha poi lanciato – ne abbiamo già parlato – un piano di dismissioni. Il primo blocco, già presentato, vale tra i 10 e i 12 miliardi di euro, che andranno in gran parte a riduzione del debito. Lo sappiamo: quello delle dismissioni è un tema sensibile. Troppi sono stati gli errori del passato.
Voglio rassicurarvi: nessuno di noi si sogna di svendere per fare cassa. Io credo profondamente nel ruolo dello Stato, ma credo anche che lo Stato, per essere credibile e funzionante, non debba occuparsi di tutto. L’arrivo di capitali privati può essere momento di svolta per iniettare risorse fresche, rilanciare la produzione, garantire lo sviluppo delle aziende coinvolte (il caso esempio di Fincantieri e di Sace che trarranno dalla valorizzazione risorse fresche per il loro sviluppo). Il prossimo anno, nell’ambito del secondo tempo di questo piano di dismissioni – e, ripeto, stiamo parlando di dismissioni di quote, non di controllo – studieremo con l’azienda e con i sindacati l’apertura del capitale di Poste e di altre aziende, e la partecipazione dei lavoratori all’azionariato, permettendo loro rappresentanza negli organi societari. È un’esperienza unica, un tentativo – ne parleremo insieme, quella che voglio lanciare qui è una proposta –, è il tentativo di sperimentare in Italia la Mitbestimmungtedesca, destinata a influenzare in meglio le relazioni industriali, la partecipazione dei lavoratori e il modello di impresa nel nostro Paese .
L’apertura dei mercati, le infrastrutture, la tutela dei consumatori: a questo riguardo, occorre proseguire sulla strada di una maggiore apertura, anche attraverso la presentazione presto dell’annuale legge sulla concorrenza. Il cronoprogramma delle liberalizzazioni comincia comunque questo mese, con l’entrata in attività dell’Autorità di regolazione dei trasporti, uno dei settori chiave per la nostra economia: diventerà operativa il 19 dicembre prossimo, un fatto che testimonia la serietà della nostra azione, garanzia del sistema delle regole per gli investitori italiani e stranieri, tutela dei diritti degli utenti e della qualità del servizio pubblico. Nel 2014 presenteremo il piano nazionale dei porti e degli aeroporti, che individui e fissi le priorità del Paese. Oggi, queste strutture agiscono in concorrenza tra loro senza programmazione né sinergia. È una grande operazione nazionale che dobbiamo fare di politica industriale strategica. Sulle infrastrutture proseguiremo nel finanziare opere e progetti immediatamente cantierabili o in corso di ultimazione, una rimodulazione della spesa che consenta di avere miglioramenti continui in tempi brevi a servizio di tutto il sistema produttivo. E ancora, nel prossimo Consiglio dei ministri, in tema di tutela della concorrenza e apertura dei mercati, partiremo dal settore assicurativo con un intervento in grado di far scendere sensibilmente le tariffe dell’RC auto.

Lo Stato deve fare la sua parte
Per riportare la fiducia nei cittadini, onorevoli colleghi, lo Stato deve fare la sua parte. Dico chiaramente come: in primo luogo, la revisione della spesa. Il lavoro del commissario Cottarelli, che deve andare avanti senza alibi, sarà l’occasione per procedere ad una opportuna ridefinizione del perimetro dello Stato. In queste settimane, per quanto riguarda la Presidenza del Consiglio, al termine di una ricognizione che è partita ad agosto con il taglio degli aerei blu, la vendita di tre aerei blu, la destinazione dei 50 milioni derivati dalla vendita avvenuta – l’avevo annunciato ed è stato fatto – alla Protezione civile, che ha fatto affiorare non poche criticità. Sta approvando oggi, tutto questo lavoro della Presidenza del Consiglio sulla ricognizione degli sprechi e dei tagli possibili, direttive necessarie per dare un metodo di lavoro orientato ai risultati, che estirpi rendite di posizione e privilegi. Questi interventi riflettono le nuove linee guida della Presidenza che faremo in modo siano condivise nell’impostazione e nelle priorità da tutti gli altri Ministeri.
Vogliamo cambiare una amministrazione che perde e fa perdere troppo tempo. Secondo Doing Business l’Italia è al centotrentottesimo posto al mondo per le complicazioni fiscali. Per pagare le tasse le nostre imprese impiegano 269 ore l’anno contro le 176 della media dei Paesi OCSE. Abbiamo introdotto, nel «decreto Fare», un principio importante che adesso dobbiamo attuare: l’amministrazione, il pubblico, deve pagare ogni ritardo che è colpa propria. Dobbiamo continuare a rimuovere le cause dell’altissimo numero di condanne dello Stato sulla ragionevole durata del processo, un costo per le finanze pubbliche e l’emblema di una giustizia civile a un passo dal fallimento. Le riforme fatte già stanno portando dei cambiamenti, vogliamo continuare e andare in questa direzione.
Terzo punto: un Paese più semplice si ottiene solo con le leggi ? No. Passa per i risultati e la valutazione delle politiche pubbliche.
Troppe semplificazioni slogan sono rimaste sulla carta. Per questo nel 2014 entrerà in funzione un contatore della semplificazione per verificare e valutare le performance della pubblica amministrazione. Il Governo deve agire in modo trasparente, chiarire le politiche pubbliche che persegue, rendere conto del loro stato di attuazione. Per questo, stiamo costruendo, analogamente a quanto fatto nel Regno Unito, un sito unico del Governo, delle agenzie e degli enti pubblici strumentali, in cui siano riportate, in modo dettagliato, le politiche pubbliche con gli obiettivi e i risultati attesi, le azioni adottate e gli adempimenti da assumere con la relativa tempistica. Tutti i materiali dovranno essere open data. Più trasparenza significa responsabilità sociale: vale per le imprese, deve valere per lo Stato.
Onorevoli colleghi, il Presidente della Repubblica ha rivolto a settembre un appello sulla drammatica situazione carceraria. Su alcuni temi è competente il Parlamento, che deciderà ovviamente in piena autonomia, ma su ciò che è di competenza del Governo siamo pronti. Lo dissi in occasione del primo voto di fiducia, voglio ripeterlo oggi: siamo la patria di Cesare Beccaria e dobbiamo dimostrarlo.
Dobbiamo dimostrarlo anche nella lotta contro la corruzione e contro le mafie. Quanti comuni sono stati sciolti negli ultimi anni per infiltrazioni mafiose ? Quante economie criminali abbiamo visto prosperare nella crisi, all’ombra delle frasi fatte «la mafia non esiste» o «la mafia esiste solo al sud» ? Quanta illegalità c’è nel territorio deturpato nella cementificazione selvaggia, che ci lascia disarmati davanti al disastro del dissesto idrogeologico ? Quanto dobbiamo al coraggio ed all’abnegazione degli uomini impegnati in prima fila contro le mafie, cui il Governo non farà mancare un supporto doveroso nei prossimi anni ?
A questo proposito il decreto sulla Terra dei fuochi è stata una risposta forte dopo anni di immobilismo. Abbiamo rafforzato gli strumenti repressivi, interventi di caratterizzazione dei suoli che frenino il rischio di compromettere l’agricoltura del territorio, risorse a sostegno delle attività di bonifica.
Il lavoro della Commissione istituita dal Governo ha prodotto poi molte altre proposte concrete per combattere la criminalità organizzata, tra cui il contrasto patrimoniale ed una maggiore efficienza in tema di beni confiscati. A gennaio approveremo in Consiglio dei ministri il pacchetto di norme sulla legalità, frutto del rapporto della Commissione.
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Onorevoli colleghi, oggi vorrei che tracciassimo una linea. Di qua, chi ama l’Europa, ne riconosce le contraddizioni, vuole riformarla, non delega ad altri la responsabilità di provare a farlo, sa che, senza l’Unione europea, ripiombiamo nel Medioevo. Di là, chi vuole bloccare l’Europa, si scaglia contro i suoi limiti per speculare sul malessere, sulla disoccupazione e sul crollo dei consumi di questi cinque anni. La linea di separazione è la più netta: nessuna sfumatura. Il mandato che oggi qui vi chiedo è per costruire, insieme a chi si riconosce in questa parte, un’Europa migliore. Chi vuole isolare l’Italia non voti la fiducia. Chi vuole conquistare consenso con il populismo antieuropeo non voti la fiducia al mio Governo.
Colleghi, la caratteristica distintiva dei populisti è inventare sempre un nemico contro il quale scaricare l’indignazione, trasformarla in conflitto. Serve, alla fine, per nascondere la debolezza o l’inconsistenza della propria proposta. Serve ad evitare di dover rispondere con credibilità e serietà delle proprie azioni. Una politica forte della propria identità e dei propri ideali dialoga, discute, combatte, rispetta.
L’Italia ha una solida, profonda e nobile identità europea. Dobbiamo esserne fieri.
Per questo la discussione sull’Europa che vogliamo nei prossimi anni deve, una volta ancora, passare dal protagonismo italiano: è un nostro dovere. Affinché ciò avvenga, però, l’Italia deve essere credibile, se no non ci ascolta nessuno in Europa. Deve essere unita sui grandi interessi del Paese, deve dotarsi di un sistema politico e istituzionale comprensibile – quanto tempo ho passato in questi sette mesi a spiegare le cose di casa nostra fuori dai nostri confini e forse quanto poco successo ho avuto –, trasparente, in grado di decidere. Affinché ciò avvenga, dunque, l’Italia deve avere i conti in ordine, come oggi accade – e lo ricordiamo a tutti, anche ad alcuni tecnocrati di Bruxelles –, fare le riforme, come nel 2014 deve accadere.
Per sei mesi da luglio saremo alla guida dell’Europa in una delle epoche più tormentate della storia europea: un’Europa assediata ovunque da forze populiste e xenofobe, un’Europa finora incapace di liberarsi delle sue storture, per la quale, per la prima volta da molto tempo, nessuno è in grado di prevedere una prospettiva da qui a un decennio.
Voglio fare qui insieme a voi un esercizio: proviamo a vedere, in questa logica del decennio, com’era la situazione dieci, venti o trent’anni fa e com’è oggi. Nel 1983, trent’anni fa, il traguardo c’era dopo dieci anni: era quello del mercato unico, era quello delle quattro libertà, dell’Europa di Jacques Delors del 1992. Fu realizzato, dieci anni dopo. Nel 1993, vent’anni fa, qual era l’obiettivo dei dieci anni ? Era il progetto dell’unione economica e monetaria, che poi nel decennio successivo si è realizzata. Nel 2003, dieci anni fa, qual era il progetto dieci anni dopo ? Era quello dell’allargamento, della riunificazione delle due Europe, tanto che oggi, nel 2013 – raccontiamolo sempre a tutti quelli che parlano male dell’Europa – il semestre di Presidenza è guidato da un Paese che era, venticinque anni fa, Unione Sovietica. Questo è il segno del successo dell’Unione europea: tutti obiettivi fissati e costruiti con una visione a lungo termine.
E domani ? Qui sta il problema. Qual è oggi l’obietto per l’Europa del 2023 ? La verità è che questo obiettivo non c’è e dobbiamo essere molto onesti con noi stessi a dirlo. Nessuno è in grado di prevederlo, manca nella koinè delle istituzioni comunitarie. E se manca il progetto cui legare le singole riforme che di volta in volta vengono decise, l’Europa si ferma, l’Europa può implodere sotto il peso del dramma sociale causato dalla grande crisi. È con questo spirito che ci impegniamo a gestire il semestre e a vivere il 2014 come l’anno dell’Europa. Niente di più miope e pericoloso che considerarlo un appuntamento rituale e burocratico.
Dobbiamo giocare in attacco, anche qui, e convincere gli altri delle nostre buone ragioni. Vuol dire non avere paura di chi lucra sulle paure dei cittadini né di chi prova a conservare l’esistente per il proprio interesse nazionale; vuol dire parlare alle opinioni pubbliche dei grandi Paesi che fanno resistenza e ripetere, con credibilità e in ogni occasione, che senza l’Europa non si salva nessuno, nemmeno i Paesi e il Paese più grande dell’Unione europea.
Per questo vi propongo qui quattro obiettivi concreti. Il primo: impegnarsi a realizzare subito, a partire dal Consiglio europeo del 19-20 dicembre, senza ritardi, una vera unione bancaria. So che non è un tema, come si suol dire, accattivante – quello dell’unione bancaria –, so che non scatena i cuori e non scatena passioni, ma se avessimo avuto l’unione bancaria negli ultimi cinque anni non ci sarebbero state le crisi che hanno fatto buttare via ai contribuenti e agli Stati europei decine e decine di miliardi. Servirà per abbassare il costo del credito a imprese e famiglie; servirà ad impedire nuove crisi del settore bancario; servirà anche a lavorare perché si eviti quella instabilità sui mercati finanziari che tanti danni ci ha fatto e che continua, se vedo il tasso di cambio dell’euro di stamattina.
Il secondo: lottare per dare alla zona euro una capacità finanziaria che incentivi gli Stati membri a compiere l’ultimo miglio delle riforme e li renda più resistenti agli shock economici. Se questo passo avanti verso una vera solidarietà europea sarà compiuto, allora non avremmo timore di considerare la creazione di intese contrattuali per le riforme strutturali e lavoreremmo affinché esse si chiamino «contratti per la crescita», volontari e collegati a incentivi finanziari.
Il terzo: spingere per un Governo più equilibrato dell’unione economica e monetaria e per politiche più convincenti per la lotta alla disoccupazione, specie giovanile, a partire dall’importante vertice intergovernativo sul lavoro della prossima primavera, che dopo Berlino (3 luglio) e Parigi (11 novembre) si terrà proprio a Roma.
Il quarto: interpretare la nostra Presidenza – è questo il punto più importante – come quella che chiude la legislatura 2009-2014, della crisi e della sola austerità e che apre la legislatura 2014-2019, della stabilità e della crescita in Europa e quindi anche in Italia.
Il nostro semestre di Presidenza deve essere l’occasione per dare nuova energia ad un’Europa che oggi ha le batterie scariche. Vogliamo ridisegnare una strategia economica per l’Europa che, dopo l’austerity, punti su innovazione, spazio europeo della ricerca, tecnologie verdi, investimenti nei settori e nelle competenze del futuro, politiche per il manifatturiero.
L’Europa esce dalla trappola della stagnazione solo se torna a crescere. Vogliamo parlare dell’Europa che guarda al mondo dopo anni di introversione. Il grande progetto deve essere quello dell’Europa unita; quello, onorevoli colleghi, di cui, insieme alla Presidente Boldrini, ieri abbiamo avvertito la drammatica mancanza, a Johannesburg, quando, nell’evento forse più suggestivo di questo decennio, noi europei c’eravamo tutti, tutti, ma i protagonisti sono stati altri. Oltre a Mandela e al suo Sudafrica, il mondo ha ascoltato gli Stati Uniti, la Cina, l’India, il Brasile. E noi europei, divisi, e perché divisi, siamo stati silenti e attori non protagonisti. Il messaggio di ieri è sferzante: non abbiamo, noi europei, più tempo. Il mondo cambia e cambia senza aspettarci.

Solo uniti possiamo contare davvero, solo uniti possiamo gestire in modo più equilibrato il dramma, per esempio, dell’immigrazione illegale. Solo uniti possiamo gestire il dramma delle vicende delle migrazioni.
Voglio qui spendere una parola, insieme a tutti voi, per ringraziare i nostri militari, i nostri volontari. Alle volte non ci rendiamo conto di come noi operiamo sempre e soltanto con l’attenzione legata al fatto che i temi esplodono sui grandi media e allora c’è grande attenzione. Dopo la tragedia di Lampedusa, dopo la seconda tragedia che è avvenuta al largo delle coste maltesi noi, l’Italia, grande Paese del Mediterraneo, il più grande Paese del Mediterraneo, ha deciso che non poteva stare a guardare. Abbiamo messo in campo «Mare nostrum», un’iniziativa militare umanitaria voluta dal nostro Paese. In questi due mesi da allora quell’operazione militare ha evitato che ai 350 e più migranti che drammaticamente sono morti a Lampedusa, se ne aggiungessero altri – secondo le nostre stime – 2 mila: 2 mila persone che sono state salvate mentre stavano per annegare in mare. Questa è l’Italia, al di là di tutte le differenze.
Anche su questo possiamo e dobbiamo essere fattore di stabilità nei confronti di un Mediterraneo sempre più instabile, nei confronti dei Paesi del vicinato orientale. Possiamo essere un attore globale capace di difendere e promuovere i suoi interessi e i suoi valori con politiche di sicurezza e difesa, ma anche con un rilancio della cooperazione allo sviluppo, la cui legge base, in Italia, riformeremo nel 2014.
Vogliamo parlare di un’Europa, quindi, che non è solo mercato economico ma spazio dei diritti e delle persone, uno spazio in cui i cittadini possano riconoscersi ed essere riconosciuti come protagonisti.
L’Europa di tutti, l’Europa vicina, l’Europa con un’anima, non l’Europa fredda, che sta altrove, che sta solo a Bruxelles. Vogliamo, insomma, un semestre che coniughi l’Europa al futuro, come sempre abbiamo fatto nella storia del grande Paese fondatore che è l’Italia. L’Europa ha cambiato in meglio l’Italia, oggi l’Italia deve contribuire a cambiare in meglio l’Europa.
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Signora Presidente, onorevoli colleghi, concludo. Oggi più che mai, dunque, l’Italia ha bisogno di competenza e di passione. Servono quei valori e quelle sensazioni che ognuno di noi in qualche momento della sua vita ha provato sentendosi davvero parte di una squadra. In mente un obiettivo preciso. Serve la fatica, indispensabile sempre per riuscire in qualche cosa. Servono giocatori che si fidino gli uni degli altri, servono poche parole, buoni esempi. Abbiamo tutti avuto un insegnante, un maestro che ci esortava a dare il meglio di noi per raggiungere obiettivi che sembravano irraggiungibili. Forse ci siamo tirati indietro, abbiamo deciso di non provarci nemmeno. «In fondo io sono fatto così, non ci riesco», è un alibi sempre a portata di mano questo. Forse, invece, abbiamo trovato una squadra per cui valeva la pena di provarci e ci siamo alle volte riusciti, perché la squadra è il luogo dove il punto di forza dei gruppi supera il limite dell’individuo e dove il punto di forza dell’individuo viene messo a disposizione del gruppo. No, oggi quell’«io sono fatto così» non può più valere. Sono orgoglioso di essere qui per convincervi che giocheremo all’attacco, perché gli italiani hanno diritto a vedere ripagati i loro sacrifici. Ora che questo sta per succedere, non permetteremo che l’Italia sprofondi di nuovo.