News e motori di ricerca, in arrivo la norma più severa d’Europa

News e motori di ricerca, in arrivo la norma più severa d’Europa

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da Il Sole 24 Ore
15 dicembre 2013

L’Italia ha adesso la normativa più severa d’Europa, contro il diritto di siti e motori di ricerca di aggregare o indicizzare le notizie dei giornali. Si trova all’interno del disegno di legge collegato alla Legge di Stabilità, varato ieri dal Consiglio dei Ministri insieme con il decreto legge Destinazione Italia.

In sostanza si dice che i siti devono mettersi d’accordo con gli aventi diritto prima di utilizzare (in qualsiasi modo) prodotti dell’attività giornalistica (di qualunque tipo: stampa, tv…) contrassegnati con la dicitura “diritti riservati”.

È il tentativo di obbligare i big come Google a pagare gli editori per qualunque contenuto editoriale indicizzato sul motore di ricerca normale, su Google News, su Youtube. Visto che la terminologia usata è molto ampia, la normativa può avere però ricadute anche su qualsiasi utente che, nel proprio blog o su Facebook, utilizzi contenuti editoriali protetti da diritto d’autore.

La novità arriva negli stessi giorni in cui Agcom ha varato con una delibera un nuovo regolamento sul diritto d’autore online. Nella Legge di Stabilità, ora in discussione alla Camera e che poi con ogni probabilità tornerà al Senato, ci sono inoltre altre due norme che possono avere una forte ricaduta sull’innovazione tecnologica: la web tax sui giganti come Google e l’aumento dell’equo compenso dovuto, sui dispositivi elettronici, alla Siae.

Non a caso, Matteo Renzi, all’assemblea del partito (PD), ha messo insieme le critiche a tutti queste normative , affermando che così «diamo l’impressione di un Paese che rifiuta l’innovazione». Tra tutte le questioni, quella meno nota e che è passata finora sotto traccia è appunto la norma di Destinazione Italia (ieri il tema è stato aperto da Radio24 su 2024 ).

Nel testo si legge: “Laddove sia stata apposta dichiarazione di riserva, la riproduzione, la comunicazione al pubblico e in ogni caso l’utilizzazione, anche parziali, in ogni modo o forma, ivi compresa l’indicizzazione o aggregazione di qualsiasi genere, anche digitale, di prodotti dell’attività giornalistica, compresi la forma e il contesto editoriali, pubblicati a stampa, con mezzi digitali, tele-radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico con altri mezzi, è consentita solo previo accordo tra il titolare del diritto di utilizzazione economica dei prodotti medesimi, ovvero le organizzazioni di categoria dei titolari dei diritti a ciò delegate, e l’utilizzatore, ovvero le organizzazioni di categoria degli utilizzatori a ciò delegate. In mancanza di accordo sulle condizioni anche economiche dell’utilizzazione, dette condizioni sono definite dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, su istanza della parte interessata”.

Come si vede la terminologia è molto ampia e di fatto copre ogni utilizzo possibile e immaginabile (anche semplice link, indicizzazione, citazione parziale) di contenuti giornalistici di ogni tipo, dagli articoli o spezzoni televisivi. Si dà inoltre compito ad Agcom- un nuovo potere, che si somma a quello sul diritto d’autore appena sancito con la nuova delibera- di stabilire il prezzario per questo utilizzo.

È un terremoto rispetto alla prassi attuale. Com’è noto, i motori di ricerca indicizzano tutto fino a prova contraria, senza chiedere autorizzazioni; editori o gestori di una qualsiasi pagina possono decidere di escludere le proprie pagine dall’indicizzazione. Youtube invece elimina in automatico o su segnalazione il materiale protetto da diritto d’autore di editori tv o altri soggetti.

La novità starebbe quindi nell’accordo preventivo e nell’obbligo di pagare gli editori per usare quei contenuti. È prevedibile che i motori di ricerca e altre piattaforme, piuttosto che pagare, reagiranno escludendo a priori tutti i siti giornalistici.

È stata sempre questa, del resto, la posizione di Google ogni volta che è stata ventilata un’ipotesi simile in altri Paesi. Finora solo la Germania ci ha provato, con una legge, che ha però un effetto meno importante rispetto a quella italiana. Il Bundestag, il parlamento tedesco, ha approvato la cosiddetta lex Google, che impone ai motori di ricerca e agli aggregatori di notizie di pagare una tassa di licenza per la pubblicazione dei contenuti editoriali sui rispettivi siti. Nella versione definitiva della legge è stato tuttavia inserito un passaggio per consentire la pubblicazione di singole parole o di parti ridotte dei testi. Di fatto lascia inalterato così lo status quo.

Non c’è la stessa “scappatoia” nella normativa italiana e quindi ora la parola, eventualmente, spetterà al Parlamento nella fase di conversione del decreto in legge. Per altro, il testo della norma italiana non tiene conto del diritto di citazione da parte di qualsiasi utente sul proprio sito o pagina Facebook, aprendo la via a possibili controversie e rischi di (auto)censure. In altre parole, come se fosse una macchina del tempo tarata su tempi pre-internet, la norma non tiene conto della prassi dei social network e del web 2.0.

Ampie le ricadute potenziali anche del regolamento Agcom, che scatta a marzo 2014. L’Autorità, su segnalazione dei detentori di diritto d’autore, chiederà ai soggetti responsabili di rimuovere contenuti pirata presenti sul web. In caso di rifiuto, ordinerà agli hosting provider o ai provider d’accesso internet rispettivamente di rimuovere il contenuto dai propri server o di oscurare il sito. La procedura durerà 35 giorni e l’ordine andrà eseguito in cinque giorni (i tempi scendono a dodici e tre giorni nei casi più gravi e urgenti). I provider rischiano fino a 250 mila euro se non ubbidiscono.

Anche questa è una norma che ha impatto sui big del web e infatti a quanto risulta Google e altri sono pronti a impugnarla al Tar del Lazio. Li riguarda direttamente la web tax, inoltre, com’è noto: presente all’interno della Legge di Stabilità (ancora non approvata, a differenza delle altre due norme). Prevede l’obbligo di acquisto di pubblicità o servizi di e-commerce da operatori con partita Iva italiana ma anche un calcolo del reddito da tassare in Italia basato non sui costi sostenuti ma su altri indicatori di profitto. A questo si aggiunge il vincolo di tracciabilità nei pagamenti di servizi pubblicitari sulla rete.

Completa il quadro l’aumento – pure previsto nella Legge di Stabilità – per l’equo compenso Siae per il diritto alla copia privata su dispositivi elettronici. Il testo prevede che venga allineato alla media europea e quindi rincarato – secondo le prime stime – di circa il 70 per cento.

Sarà poi un decreto un decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ad aggiornare i compensi previsti per ciascun dispositivo, i cui prezzi quindi aumenteranno al pubblico: smartphone, memorie, hard disk, computer, tablet.

«Dobbiamo subito ribadire che nuovi aggiuntivi balzelli non farebbero che penalizzare ulteriormente l’innovazione tecnologica», ha commentato Cristiano Radaelli, presidente di Anitec, l’Associazione Nazionale Industrie Informatica. «Se implementata, questa richiesta si trasformerebbe, di fatto, in un costo aggiuntivo che graverebbe sui consumatori e sulle famiglie, generando il concreto rischio di allargare il digital divide italiano».