Parliamo di Sordi o di sordi?
Andrea Canevaro
Giuseppe Gitti ha scritto un libro bello e utile [G. GITTI (2013), sordo o Sordo?, Milano, Franco Angeli]. L’Autore dirige il Centro di Rieducazione Ortofonica, a Firenze, avendolo fondato, e, dal 1966, dirige la rivista “i care”. Il titolo della rivista è di ispirazione milaniana. Non a caso. Giuseppe Gitti ha avuto la possibilità di vivere l’esperienza di Barbiana con don Milani.
Il titolo del libro è particolarmente azzeccato, volendo l’Autore cercare di dare risposta alla domanda se dobbiamo ipotizzare un Paese dei Sordi; o se possiamo contribuire a vivere un’umanità con i sordi? Incontriamo un bambino sordo e un Sordo bambino?
Giuseppe Gitti non è certo il primo a porsi questo problema. Ma la sintesi con cui lo formula è decisamente utile a non perdersi nella stessa formulazione. O non anticipare nella formulazione stessa una polemica che è stata, ed è, a volte infuocata. Gitti evita con intelligenza ogni possibile polemica. La sua è una continua ricerca di prove, evitando ogni giudizio a priori, altrimenti detto pregiudizio. Ad esempio: a proposito dell’impianto cocleare, l’Autore non è né pro né contro. Aspetta i risultati che però vorrebbe fossero non relativi a una generica popolazione di sordi. Ritiene che riferirsi ai sordi, come se fossero tutti uguali, sia non capire. La curiosità di conoscere, di distinguere, di aggiustare il tiro… E quindi di fare riferimento a sordi lievi, medi, gravi, profondi. E quindi sottoporre ogni opinione ed ogni giudizio al vaglio di queste necessarie precisazioni: questo è il tono e la ragione del libro.
Che percorre la storia evitando con cura intelligente di ricostruirla avendo una tesi da dimostrare. Chi conosce anche solo un po’ l’argomento avrà già capito che l’Autore non è né per i fautori del linguaggio orale, o oralisti, né per quelli del linguaggio dei segni, o segnanti. Li rispetta tutti, cercando di capirne le ragioni, senza perdersi in psicologismi ma badando ai risultati.
Decisamente convinto, sulla base dei fatti, della prospettiva inclusiva e dell’integrazione scolastica, Gitti ritiene fondamentale che vi sia competenza da parte degli insegnanti. Ma se la competenza viene ridotta al generico “popolo dei sordi”, con corsi che vorrebbero risolvere il problema in questa maniera, approssimativa e finta, allora è quasi meglio evitare di spacciare competenze. Meglio una più specifica supervisione relativa al singolo. E quindi una maggiore importanza dei servizi, tenendoli lontani da ogni medicalizzazione e da ogni specialismo che pretenda dare risposte omogenee e seriali a tutti.
Credo che la domanda del titolo porti chi legge a voler vivere un’umanità con i sordi.
Ma avrà imparato, da Giuseppe Gitti, se incontrasse un Sordo, a rispettarlo.
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