Tra Appelli e Cordate

Tra Appelli e Cordate

di Aldo Tropea e Loredana Leoni

La scelta di nominare una commissione per l’individuazione del prossimo Presidente dell’Invalsi, da parte del Ministro Carrozza, ha avuto almeno un aspetto positivo: non solo riavviare una discussione sulle finalità, i compiti, gli strumenti e i metodi dell’INVALSI, ma anche ribadire la necessità di mantenere prove standardizzate e confrontabili, da somministrare a tutte le scuole secondo un criterio censuario e non campionario, sostenuta da una maggioranza forse non prevista. E non è poca cosa, visto che questo inverno molte associazioni professionali avevano condiviso un documento che sosteneva il ritorno al sistema campionario e, addirittura, invocavano la sospensione della somministrazione delle prove INVALSI in attesa di una maturazione della “sensibilità valutativa nelle scuole”, come se la sua incontestabile carenza fosse causata dall’Istituto stesso e non da gravissime e lontane responsabilità politiche.

Il fatto ambiguo e allarmante, in quelle prese di posizione, giunte fino al punto di coinvolgere studenti e genitori, in nome persino della difesa della “privacy”, era che fossero assunte in nome di una cultura dell’autovalutazione e dell’attenzione ai processi, aspetti che in realtà sono stati rimessi sotto i riflettori proprio grazie ai rapporti INVALSI. Nelle scuole più attente alla progettazione, con dirigenti consapevoli del significato strategico che questa operazione può assumere, sono maturate riflessioni a partire dai dati restituiti. In particolare dove l’autoanalisi non si è fermata solo ai risultati generali della scuola e delle classi, ma si è entrati nel merito della connessione tra le singole parti delle prove e i processi cognitivi, delle conoscenze e delle abilità richieste dagli item. Se da una parte questo è certamente positivo per la riflessione sul curricolo e soprattutto sulle strategie di insegnamento, dall’altra la somministrazione all’intero universo e la contemporanea ricerca degli elementi che consentono l’individuazione di contesti ambientali omogenei consentono una corretta comparazione sincronica tra situazioni analoghe e un’analisi diacronica per valutare l’efficacia della programmazione educativa.

Come per ogni evento legato alla rilevazione e misurazione di fatti umani e sociali, si tratta certamente di un lavoro non privo di incertezze ed errori. Consapevoli che muoversi nel campo valutativo significa, come affermato da Bateson in Mente e Natura, Guardare con molta attenzione alle cose che si è deciso di guardare, è possibile migliorare la elaborazione delle prove, affrontare le difficoltà nella rilevazione dei condizionamenti ambientali e degli esiti nel tempo. E’ un lavoro tecnico che ha bisogno di interlocuzioni costanti con la didattica reale che si pratica nelle scuole ma soprattutto di competenze specialistiche complesse di natura statistica, a servizio del sistema e delle scuole.

Molte incomprensioni e successive alzate di scudi, se non legate a questioni di principio, sono certamente connesse a una mancata comprensione del senso complessivo dell’operazione. Per questo è fondamentale un rapporto costruttivo con le scuole; è necessario che gli insegnanti siano formati per comprendere le metodologie della rilevazione esterna e per poter leggere i rapporti ai fini dell’autovalutazione. Ciò è propedeutico a modalità di somministrazione corrette e al rispetto delle regole deontologiche che implicano.
Si tratta dunque di potenziare e migliorare, certo non di azzerare, il lavoro fatto dall’Istituto fino ad ora, con risorse davvero modeste se confrontate con quelle degli altri paesi con i quali ci confrontiamo nelle ricerche europee ed internazionali. Tutto questo è affermato con forza nel documento dei 74, di cui Cerini ha fatto su queste pagine una dettagliata presentazione e che abbiamo firmato.

Ma gli avversari “a priori” dell’INVALSI non hanno scelto la strada della sollecitazione critica, hanno piuttosto chiamato a raccolta tutti quelli convinti che, mentre gli insegnanti sono gli unici
legittimati a valutare gli esiti di apprendimento di ciascun allievo (cosa ovvia), nessuno è in grado di raccogliere dati attendibili e formulare giudizi comparativi sul grado di efficacia del sistema e sull’adeguatezza degli obiettivi raggiunti. Con ciò confondendo in maniera clamorosa e intenzionale il livello della valutazione di sistema con quello della valutazione degli allievi.
Franco De Anna, che pure non ha firmato il documento dei 74 rilevandone alcune ambiguità, ha chiarito in un lucido intervento su “Scuola oggi” la differenza di statuto epistemologico e di metodologia tra la ricerca educativa e quella pedagogica. “La Ricerca Educativa” rappresenta un insieme (di attività, competenze, oggetti di ricerca, metodologie, strumenti…) diverso e distinto dalla “Ricerca Pedagogica”: “se la ricerca educativa ha il suo specifico nell’essere ricerca “sul” sistema educativo, allora gli approcci economici, statistici, sociologici ecc… hanno assoluta pertinenza…. Chiedersi e “misurare” come funziona non solo è essenziale, ma doveroso per qualunque responsabile di “politica pubblica”.
E’ ovvio, d’altra parte, che la distinzione non significa estraneità, ma anche scambio di competenze e di linguaggio e proprio per questo la questione INVALSI non è riconducibile a un problema di persone e di prevalenza tra figure professionale di diversa origine.
Occorre anche dire che tra i sostenitori della valutazione esterna non sono mancati quelli che hanno offerto argomenti per questa scorretta identificazione: per esempio, coloro che hanno adombrato la possibilità che i risultati conseguiti nelle prove INVALSI potessero essere utilizzati per differenziare stipendi e carriere dei docenti.
E parimenti occorre pure dire che abbiamo molti dubbi sull’efficacia di un meccanismo di “media” tra prove che hanno significati e scopi diversi, come accade nell’esame al termine della scuola secondaria di primo grado.
E’ certo doveroso mettere in rilievo le differenze eclatanti tra i risultati delle rilevazioni esterne e le valutazioni espresse dai docenti, per esempio nei voti attribuiti agli esami di stato, ma questa problematica è di stretta competenza politica e dovrebbe portare alla riconsiderazione dell’esame di Stato, nella sua struttura e nel suo significato.
Anche per questo, insomma, si tratta di sperimentare e non di bloccare. A Milano giusto un anno fa si è svolto un proficuo dibattito su questo tema, su iniziativa dell’ANDIS, con ADI e Proteo che sarebbe bene riprendere.

Quanto poi alla questione del teaching to testing, davvero ci sembra che questa sia l’ultima delle preoccupazioni da nutrire in un paese come il nostro in cui fin dal biennio delle scuole secondarie ( e forse da prima…) la promozione o la bocciatura dipendono dall’esito di una interrogazione programmata su tutti i contenuti affrontati durante l’anno, o, all’opposto, su un capitolo studiato appositamente per la verifica e dimenticato subito dopo.

Rimangono due problemi seri, rispetto ai quali, pur partendo da posizioni non identiche, è stato raggiunto un grado soddisfacente di condivisione.

Il primo è relativo all’utilizzo pubblico dei risultati delle rilevazioni. Noi riteniamo che le rilevazioni abbiano il compito di dare informazioni sul grado di efficacia e di equità del sistema, sulla base delle quali il decisore politico deve assumersi la responsabilità di intraprendere azioni coerenti e conseguenti. La finalità principale è quindi quella del miglioramento del sistema. Alcuni – anche e soprattutto su queste pagine on line – sono convinti che enfatizzare i risultati ottenuti da ciascuna scuola sia il modo migliore per avviare una concorrenza virtuosa basata sulla libera scelta delle famiglie. Noi su questo punto la pensiamo come l’ex presidente Cipollone: non crediamo che questa strada sia, nella specifica situazione storica sociale e culturale del nostro paese, la più idonea a migliorare il sistema e temiamo che presenterebbe forti rischi di gerarchizzazione progressiva che, utile probabilmente a livello delle università, presenterebbe rischi pesanti di ghettizzazione nelle scuole primarie e secondarie.
Riteniamo invece doveroso e urgente pubblicare gli esiti delle rilevazioni con modalità tali da mettere in evidenza il trend della scuola nel tempo e in rapporto con quelle che si trovano nella medesima situazione socio-ambientale, visto che la restituzione Invalsi consente questo confronto. Fermo restando che la permanenza nel tempo di una segnalazione di carenza rispetto alla media, dovrà comportare un intervento correttivo da parte dell’amministrazione, prioritariamente in termini di investimento e di supporto al miglioramento e successivamente, in caso di non soluzione della problematica, di individuazione delle responsabilità.

L’altra fondamentale questione, è quella della delimitazione dei compiti dell’INVALSI e della sua terzietà.
Un istituto che abbia il compito di creare strumenti per la valutazione di sistema deve costruire, anche giovandosi delle collaborazioni internazionali, un sistema di prove e di griglie di osservazione, atto a verificare il conseguimento dei livelli di competenza fissati dal potere politico per il sistema educativo di istruzione e formazione. Lo deve fare in piena autonomia scientifica, ma se non si vuole che divenga “invadente” delle competenze altrui, occorre che chi ha la responsabilità politica dichiari con chiarezza gli standard e metta in campo le azioni necessarie per garantire le condizioni per cui la rilevazione esterna sia considerata e vissuta dagli operatori e dagli utenti come un momento essenziale per il buon funzionamento del sistema. Di queste azioni è sicuramente parte integrante la formazione del personale docente riguardo alle modalità con cui sono costruite le prove, le modalità di somministrazione, l’uso dei quadri di riferimento che le accompagnano.
Queste azioni non sono compito dell’INVALSI, ma del livello politico e questo è precisamente quello che il Ministero non ha fatto fino ad oggi, ed è davvero auspicabile che nessuno pensi che questo compito possa essere surrogato cambiando l’estrazione (pedagogica, docimologica o statistica) del nuovo Presidente, caricando con ciò di nuovo l’Istituto di finalità che non sono sue.
Proprio per questo il compito del Ministro Carrozza è assai più difficile della semplice nomina del Presidente: perché è l’attuazione del Regolamento del Sistema Nazionale di Valutazione la vera scommessa da vincere, e l’Invalsi è solo una delle tre gambe previste dal disegno.
A noi sembra che il documento dei 74 e, per converso, l’appello promosso dall’ADI, cui abbiamo aderito, pur nella differenza di articolazione e di punti di vista, costituiscano contributi positivi per sostenere il cammino iniziato dall’Invalsi.