K. Boo, Belle per sempre

L’arte dei poveri

di Antonio Stanca

booA Ottobre del 2013 dalla casa editrice Pickwick, Piemme Milano, è stato ristampato, con la traduzione di Cristina Prandella, il romanzo Belle per sempre (pp. 329, € 8,90) della statunitense Katherine Boo. L’edizione originale risale al 2012. Boo è nata a Washington nel 1964, ha cinquant’anni, è una giornalista affermata che dopo aver lavorato presso il The Washington Post lavora, adesso, per il The New Yorker. Diviso è da anni il suo impegno giornalistico tra gli Stati Uniti e l’India. Nel 2000 ha vinto il Premio Pulitzer per gli articoli dedicati alla difficile condizione dei malati di mente nei centri di ricovero e nel 2012 il Premio National Book Award  per il suddetto romanzo. E’ il suo primo, è un lavoro che deriva dalla lunga esperienza della Boo quale giornalista della moderna realtà indiana, è ambientato nell’India meridionale degli anni più recenti ed è volto a rappresentare le povere condizioni di vita degli abitanti di una baraccopoli sorta presso un importante aeroporto. Molte delle gravi situazioni descritte sono state viste, vissute direttamente dalla scrittrice, altre le sono state riferite da testimoni come lei stessa dichiara nella nota finale dell’opera. Di una triste realtà ha voluto scrivere riuscendo a trasformare in narrazione quelle che erano soltanto cronache. Con Belle per sempre la giornalista è diventata scrittrice dal momento che una trama ampia, complessa, variamente articolata ha ricavato da quanto visto o saputo. Un romanzo ha fatto della vita di quei poveri poiché la sua scrittura non è rimasta alla superficie di essa, a quanto avveniva all’esterno ma ha colto pure i pensieri, i sentimenti della folta umanità, uomini e donne, giovani e vecchi, bambini e adolescenti, che la costituiva, ha detto pure del suo spirito, della sua anima. Accanto alle gravi condizioni di povertà, di miseria scaturite dalla mancanza di lavoro, accanto al malcostume, alla malvivenza che ne erano derivati la Boo ha fatto rientrare la volontà, l’aspirazione a cambiare, a migliorare, le ha mostrate sentite, nutrite da chi a quella vita era costretto. Al bene, alla preghiera, a Dio ha mostrato capace di pensare, di credere chi doveva praticare il male, il valore dell’idea ha scoperto in una realtà che sembrava averlo perso per sempre, letteratura, arte ha fatto di ciò che era evento, contingenza. E tanto chiaro, tanto semplice è stato il linguaggio usato da coinvolgere il lettore fin dall’inizio anche perché incuriosito si sente dalle molte particolarità che ambienti, costumi, tradizioni come quelli indiani gli permettono di conoscere.

Vicina all’importante aeroporto di una grande città dell’India meridionale, di fronte al frenetico movimento, alla ricchezza, al lusso delle sue piste, dei suoi alberghi, della sua gente, si trova da tempo una baraccopoli che da quello è completamente diversa, a quello è opposta perché fatta di case di cartone, di lamiera, di rifugi improvvisati, abitati da persone senza lavoro, povere, da bambini malnutriti, malati. Essa è composta da molte parti, gli slum, tra le quali cambia la religione, a volte la lingua, ma che unite sono dal bisogno di sopravvivere, di resistere alla povertà, alla miseria, alla fame, alla malattia, alla morte. A volte quelle parti giungono a scontrarsi, a farsi  male tra loro poiché accecate, incrudelite dalle necessità. Queste non permettono di vivere se non rubando, vendendo, scambiando quanto rubato, evitando di essere scoperti poiché gravi sarebbero le punizioni. I più diffusi sono i furti, gli scambi, i commerci di immondizia, poi vengono quelli di materie plastiche, metalliche. L’aeroporto con i rifiuti delle tante sue persone, dei tanti suoi posti, con i materiali dei tanti suoi cantieri, è il luogo preferito dai ladri che sono soprattutto ragazzi e che rubano accompagnati, coperti dalle famiglie. Anche le ragazze partecipano di questa clandestinità ma esse vivono soprattutto in vista di un matrimonio da fare quanto prima e con chi viene scelto dalla famiglia. Torturate sono alcune di loro da simili condizioni e a togliersi la vita giungono. Per i ragazzi il calcolo dei modi, dei tempi, dei luoghi necessari ai loro furti è diventato più importante di ogni altro interesse compreso quello per la scuola, la strada è diventata il posto della loro vita. Della famiglia conoscono solo i bisogni e si assumono l’obbligo di soddisfarli.

Di una realtà così grave, così intricata, la Boo offre, nell’opera, una completa rappresentazione. Intorno a poche figure centrali fa muovere tutte quelle della baraccopoli, mediante alcune vicende dice di tutte le altre.

Vasto, immenso è il quadro composto dalla scrittrice. Infinita è la realtà da lei rappresentata senza rinunciare a mostrarla percorsa da un’idea che ad altro tende, altro vorrebbe, senza separare la materia dallo spirito, il corpo dall’anima, la vita dall’arte.