Chiudere le scuole cattoliche è un aggravio per lo Stato

da Tecnica della Scuola

Chiudere le scuole cattoliche è un aggravio per lo Stato
di P.A.
Lo ha affermato il presidente della Cei, il card. Angelo Bagnasco, nella prolusione al Consiglio Episcopale Permanente. Ma ha detto pure che c’è bisogno di un nuovo servizio civile
”Ogni anno, chiudere delle scuole cattoliche, di qualunque ordine e grado, rappresenta un documentato aggravio sul bilancio dello Stato, un irrimediabile impoverimento della società e della cultura, e viene meno un necessario servizio alle famiglie”. La scuola, ha aggiunto il card. Bagnasco, ”dopo la famiglia dove il papà e la mamma sono i naturali e irrinunciabili maestri, è un grande spazio di istruzione e educazione dei giovani nelle diverse età. Compito affascinante, quello di insegnare ed educare al contempo. Compito non sempre dovutamente riconosciuto dalla società, ma sempre ampiamente apprezzato dalla Chiesa. Anche la Chiesa, infatti, ha nel suo DNA la missione di evangelizzare e di educare il popolo di Dio nelle varie età della vita”. ”Non possiamo, per ragioni di giustizia”, ha aggiunto il card. Bagnasco, ”non rilevare ancora una volta la grave discriminazione per cui, nel nostro Paese, da un lato si riconosce la libertà educativa dei genitori, e dall’altro la si nega nei fatti, costringendoli ad affrontare pesi economici supplementari”. Il presidente dei vescovi italiani ha, infine, voluto ”ringraziare pubblicamente e confermare la nostra crescente stima verso le comunità cristiane e gli Istituti religiosi che resistono con altissimi sacrifici per non chiudere le loro scuole, spesso anche di grande prestigio storico e culturale”. Ma il cardinale ha detto pure che serve un nuovo servizio civile. “Sono da ripensare seriamente anche delle forme organiche di servizio civile, che siano delle tappe di vita e dei tirocini del “noi”, “cattedre pratiche” di fraternità, di giustizia e di pace, dove si respira il gusto di vivere e di operare insieme per il bene di tutti” “Abbiamo a che fare con un io ipertrofico e un noi impoverito, come se il noi attentasse all’io di ciascuno. Ma è proprio il “noi” che ispira la cultura dell’incontro e del dialogo, per cui ci si ascolta al fine di comprendersi senza finzioni. In questa ottica, forse sono da ripensare seriamente anche delle forme organiche di servizio civile, che siano delle tappe di vita e dei tirocini del “noi”, “cattedre pratiche” di fraternità, di giustizia e di pace, dove si respira il gusto di vivere e di operare insieme per il bene di tutti”