Eurispes, l’Italia investe solo 5 euro a studente per il digitale a scuola

da Corriere della Sera

il Piano Nazionale procede a rilento

Eurispes, l’Italia investe solo  5 euro a studente per il digitale a scuola

Se non si investe di più, 15 anni per raggiungere livello della Gran Bretagna. Il ministro: «Educazione etica alle tecnologie»

Mentre la Fcc americana (l’ente  regolatore delle comunicazioni) pensa a un potenziamento del programma «E-rate», che garantisce alle scuole accesso a Internet a tariffe agevolate, e il presidente Barack Obama, nel suo discorso dello Stato dell’Unione, conferma l’obiettivo di portare entro  quattro anni Internet veloce al 99% degli studenti americani, l’Italia riceve l’ennesima tecno-bocciatura. Serviranno quindici anni, di questo passo, dice l’Eurispes, per metterci alla pari con gli altri paesi europei. Con la Gran Bretagna, per esempio, che primeggia, con un 80% di classi dotate di strumenti didattici informatici. Ad oggi, per introdurre le tecnologie digitali nelle classi della Penisola,  sono stati stanziati 30 milioni di euro, vale a dire 5 euro a studente. Troppo poco, sostiene l’Istituto di ricerca. Che ha fotografato nel rapporto «Italia 2013» lo stato dell’arte.

QUANTA TECNOLOGIA IN CLASSE –   In Italia, nel 2013 – scrivono i ricercatori – si contano  circa 70mila lavagne interattive (le Lim)in 1.200 classi e 36 scuole sono coinvolte nelle nuove sperimentazioni didattiche; circa 80mila gli insegnanti che hanno partecipato ad attività formative sull’uso di questa strumentazione. Peccato che le domande di tali attrezzature – fa notare l’Eurispes – siano risultate dieci volte superiori alle possibilità del ministero di poterle soddisfare con le risorse finanziarie disponibili. Sempre al 2013 è stato registrato un numero di 416 «Cl@ssi 2.0» distribuite sul territorio italiano (124 classi, 240 docenti e 2.400 studenti nella scuola primaria; 156 classi, 1.400 docenti e 3.300 studenti nella secondaria di primo grado; 136 classi, 1.360 docenti e 2.900 studenti nella secondaria di secondo grado). Per quanto riguarda il Progetto «Scuola 2.0» (che punta a creare spazi collettivi per un apprendimento organizzato e partecipato in cooperazione da studenti e insegnanti) al 2013 risulta attuato in 15 scuole con il coinvolgimento di 1.350 docenti e 13.500 studenti.

PIÙ SFORZI – Gli esclusi rimangono  in attesa. Intanto, il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, ha in mente un approccio «pervasivo» alla tecnologia digitale. Che – dice – non deve diventare  una nuova materia di insegnamento, ma  «un mezzo di cui  devono avvalersi tutte le materie, come fu per il libro stampato sul quale si basò il sistema scolastico dell’Ottocento». Solo una porzione di studenti, però, ha oggi a disposizione questa sorta di abbecedario, a scuola. Non basta sostenere che «nella Scuola 2.0 dovrà cambiare anche l’allestimento delle aule»; e «abbandonare la didattica frontale». Diventa importante intensificare  sforzi e finanziamenti.

IL MODELLO USA – Il modello americano mette in campo un’alleanza con le aziende che si occupano di tecnologia (Apple, Microsoft, Sprint e Verizon) nell’ambito del progetto «ConnectED», che parte dalla connettività veloce ad Internet e termina con l’utilizzo di notebook e tablet per studenti ed insegnanti, con questi ultimi spinti a personalizzare le lezioni, creando grazie alle nuove tecnologie libri e lezioni più accattivanti ed interattivi.

EDUCAZIONE ETICA AL DIGITALE – In Italia, il Piano Nazionale Scuola Digitale procede a rilento, tra dubbi  e investimenti. Ma intervenendo  mercoledì al Convegno «Educare alla Rete», in occasione della Giornata europea della protezione dei dati personali 2014, il ministro ha paragonato l’educazione digitale a «un’educazione civica che si rinnova». E ha aggiunto che «la scuola deve cambiare la sua struttura seguendo il nuovo modo in cui il sapere si trasmette». Per gli insegnanti, questo non dovrebbe essere «un elemento aggiuntivo, ma parte della propria professionalità».   «Gli strumenti dell’accesso alla rete sono tali, così evoluti e pervasivi, che richiedono anche una formazione etica, non solo tecnica», ha poi ammesso il ministro. Diventa quindi imprescindibile «un’educazione etica» al digitale.  Che  tutelerebbe i più giovani nell’utilizzo delle tecnologie, anche quando le usano nel tempo libero.

Antonella De Gregorio