Scuola, l’addio del ministro Carrozza

da la Repubblica

Scuola, l’addio del ministro Carrozza

Corrado Zunino

Il passaggio di consegne nel salone con affaccio sul traffico di viale Trastevere, a Roma, è stato rapido, c’era la fiducia al Senato che incombeva. Ma il saluto tra l’uscente ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza e l’entrante Stefania Giannini non è stato gelidamente feroce come il passaggio della campanella tra Enrico Letta e Matteo Renzi, platealmente scortese come il mancato incontro all’Economia, nel 2001, tra Vincenzo Visco e Giulio Tremonti (allora l’uscente lasciò, senza presentarsi, l’ufficio in male arnese, volutamente in disordine). Il Carrozza style prevede rispetto per i ruoli e i luoghi, ma certo la bersaniana Maria Chiara non aveva in mente di lasciare il Miur dopo neppure dieci mesi. Nonostante le fatiche romane, stordenti per lei timida e solitaria cittadina di provincia, nonostante gli occhi e i tweet sempre puntati addosso, immaginava un percorso più lungo, immaginava un programma di riforme.

Ora il terzo rettore consecutivo diventato ministro  –  Profumo lo era stato del prestigioso Politecnico di Torino, la Carrozza della scuola speciale Sant’Anna di Pisa, la Giannini ha guidato a lungo l’Università per stranieri di Perugia  –  fa sapere che reintrodurrà il bonus maturità, al quale s’impiccò Profumo e sul quale ha ballato per quattro mesi e una valanga di ricorsi la stessa Carrozza. Un nuovo cambio di direzione per una scuola che, in realtà, ha bisogno di due cose sopra le altre: risorse economiche e stabilità di indirizzo.

Come sono stati dieci mesi dell’austera Carrozza, dopo i diciannove dell’esuberante Profumo (entrambi costretti in un binario unico dagli otto miliardi di tagli realizzati nei tre anni e mezzo del dicastero Gelmini)? Troppo brevi, ovvio: dieci mesi è la durata di un governicchio da prima Repubblica e per un ministero che deve progettare il futuro di una generazione intera, tra i sei e i ventiquattr’anni, la costrizione è letale. Sono stati poco raccontati, poi. Per la ritrosia naturale di una bioingegnere industriale che mal si sentiva a fare annunci di fronte a materie che voleva ancora studiare e mal si trovava a gestire un’emergenza quotidiana di addetti alle pulizie a rischio licenziamento, scatti d’anzianità tagliati, restituiti, congelati, riconsegnati ai lavoratori, una quotidianità di piani di offerta formativa che sparivano, e con loro le gite scolastiche, per pagare pezzi di stipendi, di concorsi, concorsini e concorsoni che non funzionavano mai. Davvero mai. Ecco, l’atteggiamento scientifico  –  parlo quando comprendo tutto e per comprendere devo studiare e sperimentare  –  è stato il limite politico di Maria Chiara Carrozza e lo ha palesemente espresso con l’ultima e per lei fondamentale iniziativa intrapresa: la Grande consultazione della scuola. La scienziata pisana ha chiesto all’Italia, dopo otto mesi di mandato e all’interno di un governo a tempo determinato, come era la scuola italiana. Come era e come l’avrebbero voluta. Molti si sono chiesti: ma perché, dopo otto mesi che sta lì e dopo aver fatto la ricercatrice, la docente universitaria, la rettrice, non lo sa com’è la scuola italiana, quali sono le priorità degli atenei italiani? Non è un caso che ora una Giannini che va veloce e mostra più propensione del predecessore a parlare, ad annunciare, a mostrar traguardi, abbia già messo in cantina la consultazione mai partita. E mostri di voler renzianamente rottamare esperimenti, atti e iniziative ricevuti in eredità: gli scatti d’anzianità, innanzitutto, ma anche i concorsi pubblici vasti e insicuri, l’accelerazione sulla digitalizzazione della scuola. Sui licei accorciati, quattro anni invece di cinque, le dichiarazioni del neoministro sono state in verità ondivaghe: sono europei o una soluzione tanto al chilo?

Ecco. Il premier Letta aveva annunciato in apertura di mandato che si sarebbe dimesso di fronte a nuovi tagli alla scuola. Alcune partite sono rimaste in deficit (stipendi di insegnanti, presidi e bidelli, attività extra nelle scuole, assunzioni organiche nelle università, borse di studio), ma nel complesso qualche risorsa in più a plessi, atenei (191,4 milioni) e ricerca è arrivata. Tanto è bastato per non far dimettere Letta e neppure la Carrozza, lei lo aveva minacciato due mesi dopo l’insediamento.

Così come il suo premier ha dovuto aspettare un’inchiesta della magistratura per allontanare dall’Inps il multicariche Antonio Mastrapasqua, Maria Chiara Carrozza non si è mossa prima di avvistare un avviso di garanzia per liberare l’Agenzia spaziale italiana dal fagocitante Enrico Saggese, faraone accusato nel finale di corruzione e concussione. Alla fine, però, lo ha cacciato.

La tardiva Grande valutazione e una gestione confusa del sinistro bonus maturità non imprimono un’orma negativa su un dicastero, quello della Carrozza, che nella fretta sempre compagna e tra gli obblighi finanziari dettati da Saccomanni cose ne ha fatte. Tra gli studenti sarà ricordato come il ministro che meglio e più in profondità ha compreso il livello inaccettabile della corruttela in ambito universitario e diversi provvedimenti hanno avuto un’ispirazione anti-baronale, cosa tutt’altro che scontata per un rettore che, viste le referenze scientifiche, potrebbe portare addosso le stimmate del barone. La chiusa finale con l’approvazione, praticamente da ministro disarcionato, del concorso nazionale per l’accesso alle scuole di specializzazione di Medicina  –  la fine dei finti concorsi locali appendici della volontà del padrone-primario di reparto  – , è stata notevole, un segno su tutto il mandato. Ci sono state cose minori ma apprezzabili come la reintroduzione di ore di geografia negli istituti tecnici e i musei gratis per i docenti, altre più programmatiche come l’insistenza sull’orientamento dello studente per fargli scegliere consapevolmente il passaggio scolastico successivo, gli stage nelle aziende già in quarta e quinta superiore e la semplificazione delle procedure di chiamata diretta di studiosi impegnati all’estero da parte delle facoltà. Nelle corde di questo ministro c’era anche una riforma del numero chiuso ai corsi universitari, strumento di autodifesa che nelle proporzioni attuali non garantisce più un accesso democratico allo studio né regala una selezione intelligente per il mondo lavoro. Oggi mancano medici e pediatri in Italia, eppure i laureati restano decisamente meno dei clinici pensionati.

Non c’è stato il tempo, la politica non l’ha dato. La scuola continua a boccheggiare e a parole torna al centro dell’Italia. Maria Chiara Carrozza, delusa da “una povera Italia”, affranta per i modi spicci dei renziani, spegna la luce nello stanzone ma resta in zona. “Continuerò alla Camera le battaglie necessarie”.