Da una donna ad un mito
di Antonio Stanca
Nella cittadina pugliese di Otranto ancora succede che si parli, si racconti delle tragiche vicende vissute dai suoi antichi abitanti quando, dal 1480 al 1481, subirono l’assedio e poi l’invasione e la strage da parte dei Turchi. Furono avvenimenti molto gravi dei quali molti segni sono rimasti. Allora Otranto faceva parte del Regno di Napoli che era sotto la sovranità di Ferdinando I d’Aragona e imperatore dei Turchi era Sultan Maumeht. L’evento della presa della città e dell’uccisione di tanti suoi abitanti entrò a far parte sia della storia nazionale sia della tradizione, della fantasia popolare di quel posto, col tempo si rivestì di leggenda, si arricchì di racconti di gesta esemplari, trovò i suoi eroi, assunse una dimensione mitica. Diventò un altro esempio dell’eterna, interminabile lotta tra bene e male, vita e morte, fede e violenza che tante volte ha segnato la storia dei popoli ed attirato l’attenzione non solo degli studiosi, degli storici ma anche degli autori, fossero di arte narrativa, poetica o figurativa, drammatica. E’ successo così che il motivo degli abitanti di Otranto che difendono la loro città dalla ferocia di un numero di gran lunga superiore di nemici e dai pericoli dei loro mezzi bellici, che non temono di morire in nome di quanto è loro, del loro Dio, dei loro padri, dei loro figli, che acquistano nei secoli un significato ad essi superiore, abbia attirato la celebre Maria Corti quando nel 1962 pubblicò L’ora di tutti presso la Feltrinelli di Milano. Filologa, linguista, critica letteraria e scrittrice la Corti era nata a Milano nel 1915 e qui era morta nel 2002. Era stata docente di Storia della lingua italiana presso l’Università di Lecce e poi presso quella di Pavia. Aveva prodotto molti lavori di critica letteraria e fondato molte riviste culturali. Variamente impegnata, instancabile si era dimostrata, molti riconoscimenti le erano stati attribuiti. L’ora di tutti fu la prima delle sue opere narrative, la scrisse quando aveva quarantasette anni e in essa tramite i racconti di cinque personaggi che fungono da voce narrante non solo riuscì a ripercorrere la dolorosa vicenda otrantina ma anche a ricostruire gli ambienti, i costumi, la vita, le persone di quel tempo. I colori, le luci della campagna, del mare dell’antica penisola salentina diventarono, con la Corti, motivo di letteratura. Con i loro posti la scrittrice identifica i personaggi dell’opera, figli di essi li mostra, capaci di correre in loro difesa al momento del pericolo, di comportarsi in maniera coraggiosa, da eroi. Quanto faceva parte della loro storia, delle loro leggende, dei loro miti la Corti de L’ora di tutti riprese, confermò, animò.
Dalla conoscenza di quest’opera la leccese Wilma Vedruccio nelle prime pagine del suo breve e recente volume Sulle orme di Idrusa dichiara di essere stata mossa a scriverlo. Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice Kurumuny di Calimera (Lecce), è corredato di un CD nel quale l’autrice legge quanto ha scritto accompagnata dalla musica di Rocco Nigro ed è stato presentato la sera di Venerdì 28 Febbraio 2014 presso il Centro Studi “Chora-Ma” di Sternatia (Lecce), da molti anni diretto da Donato Indino e divenuto luogo di frequenti incontri e scambi culturali. Nella circostanza, alla quale erano presenti la scrittrice e il Nigro, si è assistito ad un’esibizione, da parte dei due, volta a mettere in risalto, mediante la lettura di lei e la musica di lui, le parti dell’opera e ad evidenziare gli aspetti distintivi del personaggio di Idrusa. Il pubblico ne è stato coinvolto e interessato fin dall’inizio. Incuriosito si è mostrato circa l’operazione compiuta dalla Vedruccio nel libro. In questo, si è chiarito, la scrittrice ha ripreso e continuato Idrusa, il terzo dei cinque personaggi de L’ora di tutti, si è messa “sulle orme di Idrusa” mediante una prosa che giunge a confondersi con la poesia. Di questa figura femminile Vedruccio ha scritto, della sua infanzia, della sua giovinezza, dei suoi amori, della sua dedizione al momento del bisogno, della sua morte prematura. Lo ha fatto con un linguaggio capace di assumere i toni della favola se non quelli del canto.
Idrusa è la più bella bambina, ragazza, donna dell’Otranto del momento dei Turchi. Ma è cresciuta diversa dalle sue coetanee. Già da bambina pensava diversamente da loro, voleva altre cose. Si sentiva vicina, unita agli elementi della natura, alle erbe, alle piante dei campi, alle acque del mare. Non badava ai pregiudizi, alle convenzioni. Una ribelle, una rivoluzionaria era sembrata. Malvista si era sentita. Nonostante questo era stata data in sposa quando aveva ancora diciassette anni ad un pescatore. Viveva delusa la sua esperienza matrimoniale. Poi il marito era morto in mare e si era legata a Manuel, un militare spagnolo che, però, aveva lasciato perché aveva scoperto di essere ingannata da lui. L’amore al quale aveva sempre pensato non aveva ancora incontrato. Arrivati i Turchi ad Otranto, entrati nella città da barbari, aveva prestato soccorso ai feriti, aveva provveduto a sistemare i morti che venivano portati nella Cattedrale trasformatasi in un ospedale. Anche qui sarebbero giunti i Turchi continuando a devastare e uccidere e qui al momento di essere posseduta, violentata da uno di loro, Idrusa preferirà darsi la morte con il coltello del suo assalitore, mostrerà che sani, forti, unici erano i suoi principi contrariamente a come era sempre stata pensata.
Di questa Idrusa dell’antica Otranto scrive oggi la Vedruccio provando che perenne è diventata la sua figura nell’immaginario collettivo salentino, che una favola eternamente valida è diventata la sua, un mito. Oltre che ad Otranto a tutti Idrusa ormai appartiene poiché a simbolo è assurta di una femminilità superiore, di una bellezza del corpo, di una forza dello spirito pari a quelle di una dea. In questa dimensione da favola, da mito riesce la Vedruccio a renderla con la sua opera e con quanto vi è allegato.
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