Gli studenti italiani e la paura di sembrare secchioni

da Corriere.it

Gli studenti italiani e la paura di sembrare secchioni

Pochi ammettono gli sforzi fatti. Nella ricerca Ocse la maggioranza dei ragazzi sostiene che il successo scolastico non dipende dallo studio

di Francesca Borgonovi, ricercatrice Ocse-Pisa

Pensate a un ragazzo ed una ragazza qualunque, in una classe qualunque, in una scuola qualunque di una città, di una periferia o di un paesino italiano qualunque. La maestra di matematica riconsegna i compiti in classe ed entrambi hanno preso bei voti. Per vantarsi dei propri risultati i due ragazzi possono fare due cose. Possono dire di aver dato una rapida lettura ai libri di testo la sera prima, magari dicendo di averlo fatto mentre guardavano una partita di calcio. Oppure possono dire di aver studiato l’intera settimana precedente, week-end incluso.

Nessuno vuole ammettere la fatica di studiare

Pochissimi ragazzi, oggi, in Italia penserebbero di vantarsi dei propri risultati scolastici (confronta con Pisa in focus 37) mostrando il duro lavoro che è stato necessario per conseguirli, anche se questo fosse vero. Perché tra i ragazzi, e purtroppo non solo tra i ragazzi, vige un modello diverso: è più cool ottenere risultati buoni con il minimo sforzo. Tanto che spesso lo sforzo viene nascosto, mascherato.  Perché?  Perché sarebbe indice di poche capacità e scarso talento per la matematica. Se un ragazzo deve studiare molto per ottenere buoni risultati, in fondo in fondo – questo è il ragionamento – allora ha poche capacità e propensione per la matematica. Se invece un ragazzo ottiene buoni risultati con il minimo sforzo, vuol dire che ha maggiore intelligenza pura, maggiore propensione per la matematica. Perché per la matematica o si è portati o non lo si è ….  Ma è davvero così? No, non è così.

Non è vero che per la matematica o si è portati o non si riesce

Nuovi risultati dello studio OCSE PISA 2012 che emergono dallo studio degli atteggiamenti degli studenti 15enni nel mondo rivelano che una mentalità che porta gli studenti a dividere il mondo in chi è portato per la matematica e chi non lo è, è perdente. Perché si può imparare solo mettendo impegno, tanto impegno, solo studiando con costanza e perseveranza, e solo se lo studente accetta che si impara sbagliando tante, tantissime volte. E che se c’ è l’ impegno, la matematica si impara, magari non di botto e con un botto, ma giorno dopo giorno.  E’ innegabile che ci siano persone più veloci ad apprendere concetti matematici e persone meno rapide e intuitive. Tuttavia: 1) il cervello delle persone è plastico e muta in funzione dell’apprendimento; 2) la velocità può anche un ostacolo perché può portare alla superficialità; e 3) se accompagnato da una mentalità che percepisce l’intelligenza come fissa e immutabile, chi è abituato a risolvere i problemi senza sforzo può bloccarsi alla presenza delle prime difficoltà – che alla fine arrivano per tutti.

Anche dalle frustrazioni si apprende

A quel punto, invece di mettere impegno per risolvere un problema, chi fino ad allora ha avuto vita facile, potrebbe semplicemente pensare che, in fondo in fondo, non era portato per la matematica, e quindi non vale la pena di sforzarsi. Alla fin fine andare a scuola non è  molto diverso dall’ andare al campetto ad allenarsi a calcio o imparare a danzare: si migliora solo con la pratica (c’ è chi dice siano necessarie 10.000 ore di pratica per diventare professionisti – non importa in cosa) e si può imparare sbagliando e divertendosi