Cuore dei giovani

CUORE DEI GIOVANI
Ferire il cuore dei giovani è disumano

di Umberto Tenuta

Non si può, non si deve ferire il cuore dei giovani!

Nasce il cuore del bimbo sin dalle prime settimane della sua gestazione ed il cuore è, per antonomasia, l’organo della vita.

Muore la vita, quando il cuore cessa di battere.

Il cuore è, quindi, l’organo della vita, in tutti i sensi, compreso quello emotivo-sentimentale.

Il cuore è la sede della speranza, della forza di vivere, di lottare, di combattere anche contro se stessi, di affermarsi, di essere uomini grandi, grandi uomini.

In ogni essere vivente, dal filo d’erba all’ameba, al bimbo che nasce alla vita, c’è uno slancio vitale, una forza che consente, non solo di sopravvivere, ma anche di affermarsi, di espandersi, di essere una pianta, un animale, un uomo.

Questo istinto vitale è forte in ogni figlio di donna.

Già nel grembo materno il cuore pompa il sangue che nutre il nuovo essere umano.

Quando nasce, il bimbo è già un piccolo uomo, un uomo dal cuore grande, dal cuore dell’uomo che gli aspira a diventare, dell’uomo che egli a poco a poco impara ad essere con il suo io incipiente.

Subito il bimbo si aggrappa alla vita, la alimenta, la protegge, la nutre.

La nutre di latte, subito, di latte e di movimenti.

Apre gli occhi, sgambetta, agita le manine.

Il suo cuore gli dà la forza di vivere, di sopravvivere, di diventare adulto.

Slancio vitale che ha nel cuore la sua forza.

Ogni movimento, ogni sguardo, ogni suono, ogni sapore, ogni odore è una sua affermazione, un io che nasce.

La mamma lo sa.

La mamma lo protegge.

La mamma lo incoraggia, gli canta le lodi, gli dice: Oh quanto sei bello, quanto sei grande, quanto sei intelligente, amore mio!

È così fa il papà, e così fanno i fratelli e le sorelle, la nonna ed i nonni, le zie e gli zii, le amiche e gli amici della mamma e del papà.

Tutti gli regalano la loro fiducia, gliela regalano ed egli se la prende, se la coltiva nel cuore e si dice da solo: “Ma se lo dicono loro vuol dire che io sono veramente grande e che più grande ancora, grande come la mamma mia, grande come il babbo mio, io posso diventare. Allora io grande voglio diventare!”

Sorretto da questa fiducia, egli tenta di prendere le cose, volge lo guardo ad esplorare il mondo che lo circonda.

Poi si muove carponi, tenta di ergersi sulle gambette, ce la fa, cammina eretto come il suo lontano antenato, homo erectus.

Ma questo non gli basta, non gli basta!

Egli vuole diventare un uomo, un grande uomo, homo sapiens sapiens.

Ed allora impara.

Non sa nulla, deve imparare tutto!

E tutto impara, velocemente.

Impara a camminare, impara a correre, impara a saltare, impara a nuotare…

Impara a dire mamma, a dire papà.

Impara le parole, impara la morfologia, impara la sintassi.

A un anno impara a pattinare, a tre anni impara a suonare il violino ed a parlare due lingue.

A quattro anni è già a metà del suo cammino.

Presto, già a due anni, la casa era troppo piccola, un mondo troppo piccolo per lui, ed egli aveva bisogno di altri spazi, di altre terre, di altri cieli.

È entrato nella sua prima scuola, la scuola dell’infanzia, un mondo più ricco di quello delle quattro mura domestiche, con le maestre che cantano, parlano anche una seconda lingua, suonano il flauto dolce, costruiscono tante cose, ed egli tutto impara da loro, anche a convivere con i propri amici.

Poi arriva la scuola primaria e lì cominciano le prime ferite, se ha la sfortuna di incontrare signore che maestre non sono, signori che maestri non sono.

Se così gli capita, gli orizzonti delle sue esperienze si chiudono nelle quattro mura della scuola, nei saperi delle pagine dei libri di testo.

Non solo!

Ma cominciano anche i primi attentati a quella fiducia di base che gli si era costruita, con l’aiuto della mamma e del papà

Ora ci sono i voti, frecce acuminate che entrano nel cuore e lo feriscono, ne fanno uscire gocce di sangue.

La sua pressione sanguigna si allenta!

Si allenta ancora con le minacce delle bocciature, rare, ma sempre incombenti.

La situazione peggiora, e peggiora di molto, nella scuola secondaria.

Portatrice di un retaggio secolare di cui la scuola primaria si è in gran parte liberata, la scuola secondaria, figlia legittima di ser Giovanni, non di rado continua a difendere le sue antiche virtù, la difesa dalla razza, la difesa del ceto nobile, la difesa dei doni genetici e della dotazione dei talenti paterni e materni.

Come dice il Grande Papa Francesco, chi nelle case dei ricchi e dei potenti non ha avuto la fortuna di nascere, è esposto a maggiori ferite al cuore, indifeso da carezze auree.

Ogni giorno è una lotta, una lotta continua, una lotta tra il suo cuore che lo chiama ad alimentarsi, a crescere, a diventare grande, e tutti gli strumenti della selezione scolastica, tutti gli strumenti che portano alla mortalità scolastica.

Sì, la scuola colpisce al cuore!

Colpisce la speranza di diventare grandi, uomini, grandi uomini.

Colpisce la fiducia, la fiducia di base.

E senza fiducia l’acrobata cade dalla fune sospesa nel vuoto e muore.

Senza fiducia il centravanti sbaglia il passaggio all’attaccante e l’attaccante sbaglia il tiro in porta!

Ma, signori, nel campo sportivo di casa propria ci sono gli amici tifosi che sostengono gli undici giocatori.

A scuola i tifosi degli ospiti senza paterni talenti non ci sono.

Ed a scuola l’entusiasmo, la fiducia, l’autostima traballa, ed a volte tracolla.

La scuola ha i suoi feriti, feriti di ferite che non si rimarginano, che restano, che impediscono di crescere, di diventare grandi, grandi come il cuore innocente sognava.

Ma come se non bastasse, la scuola ha anche i suoi morti, morti che nessuno conta.

Non a caso uno dei grossi problemi, che ogni Ministro della Pubblica Istruzione si trova a dover affrontare, è il problema della mortalità scolastica che al giorno d’oggi nessuno si impegna a considerare nelle sue dimensioni nascoste di conoscenze non acquisite, di capacità che non si sono formate e soprattutto di amori che sono morti, a causa delle continue, insistenti, impietose ferite che ai cuori dei giovani non talentuosi sono dati senza pietà, senza misericordia, senza carità non solo cristiana, ma nemmeno umana.