Insistere sulla riforma degli organi collegiali e del governo delle scuole autonome

INSISTERE SULLA RIFORMA DEGLI ORGANI COLLEGIALI E DEL GOVERNO DELLE SCUOLE AUTONOME

di Gian Carlo Sacchi

Se da un lato riprende la revisione costituzionale del titolo quinto, con tutto quello che ne consegue sul piano del governo del “sistema educativo nazionale di istruzione e formazione”, dall’altro deve avere compimento la riforma degli organi collegiali della scuola: due facce della stessa medaglia. Ad una riorganizzazione di poteri e competenze che valorizza l’autonomia scolastica deve corrispondere una visione territoriale dei servizi che fanno riferimento all’education, in cui la comunità è coinvolta e che attraverso la partecipazione arrivi a conseguire gli obiettivi dati a livello nazionale e ad ampliare lo sguardo verso l’Europa e le altre culture.

La scuola infatti non è più l’unica struttura tesa a garantire il diritto dei minori alla crescita personale e culturale, ma rimane il presidio pedagogico della Repubblica. Il suo riferimento è lo Stato-Regioni-Comuni per quanto riguarda gli standard da raggiungere e la programmazione dei servizi e la comunità in cui opera per l’offerta formativa ed il contributo da dare allo sviluppo del territorio, integrandosi con gli altri servizi formativi.

Parlare di riforma degli organi collegiali vuol dire andare oltre la dicotomia che si è creata negli anni tra partecipazione e gestione; garantire cioè la presenza dei vari componenti della comunità scolastica non solo sul versante della proposta, ma anche su quello della decisione e della verifica. Autonomia significa autodeterminazione ed anche valutazione sociale, impegno a raggiungere i traguardi comuni di tutto il sistema e maggiore flessibilità per interpretare i bisogni educativi del territorio.

Si potrebbe aprire una parentesi per evidenziare quanto un sistema rigido oggi sia causa di insuccesso e di abbandono, mentre uno flessibile sia più in linea anche con quanto avviene in altri Paesi e più in generale con il contesto europeo. Tale riflessione offre ulteriori spunti perché l’autonomia abbia una solida base costituzionale ed all’autogoverno della scuola, inserita nel suo territorio, una maggiore efficienza e qualità dell’azione educativa.

Tutto ciò se si va oltre la partecipazione e la pura rappresentatività negli organi collegiali e ci si spinge verso una maggiore funzionalità in relazione alle richieste dell’utenza e del territorio stesso. E’ sull’autogoverno delle istituzioni scolastiche autonome che ormai si concorda, ma sul modo di realizzarlo esistono ancora diversi punti di vista, dettati più dalle difese corporative delle singole componenti che dalla disponibilità ad uno sforzo comune.  Non c’è dubbio però che tale azione comune debba essere fatta su basi di chiarezza e senza ideologie più o meno manifeste, la cui contrapposizione mantiene il sistema sostanzialmente fermo. Ed è quello che è successo nel dibattito sul disegno di legge n. 953 approvato dalla VII Commissione della Camera.

E’ interessante riprendere questa discussione in quanto l’allora Senatrice Giannini, oggi ministro dell’istruzione, aveva recuperato quella proposta per darle gambe nell’altro ramo del Parlamento (atto del Senato 3542), anche se con alcune e non secondarie modifiche.

Il ddl 953 voleva cercare di andare appunto verso l’autogoverno e configurare progressivamente il sistema dell’education, ma da più parti è stato richiamato ad un’impostazione che potremmo definire statalista; l’atto 3542 al contrario ha inteso l’autogoverno in un’ottica neoliberista, per  garantire il “diritto alla libertà di scelta educativa delle famiglie” prevedendo anche la riallocazione delle risorse tra scuole statali e paritarie. Queste due impostazioni prevedono sostanzialmente gli stessi organismi che vengono indicati per le sole scuole statali.

E’ forse l’occasione buona perché si provi a conciliare le posizioni in maniera efficace all’interno della stessa maggioranza politica, in modo da far progredire parallelamente le due questioni sulla governance: quella esterna e quella interna, all’insegna della funzione pubblica di tutto il sistema, facendo maggior ricorso alla sussidiarietà nella gestione.

Iniziamo col dire che questa legge fa parte delle “norme generali sull’istruzione”, che devono cioè indicare gli obiettivi e i principi ispiratori, lasciando poi alle singole scuole autonome, con tanto di statuto, di stabilire le  modalità per metterli in pratica, in base al contesto in cui operano, e verificarne l’efficacia in base agli standard nazionali/europei ed ai “livelli essenziali delle prestazioni”.

Bisogna uscire dalla logica che ha fin qui imbrigliato gli organi collegiali e cioè quella della partecipazione sociale alla gestione statale. Con l’approvazione della legge sull’autonomia e del conseguente regolamento per le scuole riconosciute autonome viene conferita alle stesse la possibilità di iniziativa in materia di offerta formativa e di autonomia didattica, organizzativa, finanziaria e di ricerca e sviluppo; la possibilità di associarsi, di costituire reti e consorzi, ecc. Tale configurazione pone le scuole più verso le autonomie territoriali, ma in proposito si aspetta ancora il decentramento delle competenze previsto dal DL 112/1998. La garanzia di far parte di un sistema pubblico è riposta nelle suddette norme generali  e più che nell’ordinamento negli standard da conseguire, lasciando alla comunità scolastica ed alle sue esigenze la liberta di organizzare la risposta, attraverso appunto organismi formati in modo partecipato.

A questo punto c’è il salto rispetto a prima ed un conseguente rischio che va evitato dimostrando maturità proprio nella partecipazione-governo di qualcosa che rimane sempre un’istituzione della Repubblica e non si trasforma in una “scuola di tendenza” o peggio ancora in un’agenzia privata.

La nuova legge sull’autogoverno dovrebbe tenere in equilibrio queste dimensioni, favorendo l’implementazione di un sistema autonomo, quello educativo-scolastico-formativo, in dialogo con gli altri sistemi del territorio, avente una riconosciuta rappresentanza ai diversi livelli di governo fino a quello nazionale. Saranno le scuole autonome, singole o in rete, ad essere rappresentate e non altri organi collegiali territoriali scuolacentrici, vissuti in passato secondo l’ottica ministeriale.

In questa prospettiva ci sta il diritto della famiglia alla scelta educativa e la valutazione sociale dell’attività; molte di queste cose esistono già e l’introduzione dei nuclei di autovalutazione e di un sistema nazionale di misurazione dei risultati ne sono una conferma. Ciò che manca è un maggior grado di libertà tra i risultati e le decisioni conseguenti, sia sul piano didattico, sia su quello del controllo di qualità complessiva dell’offerta. Si è già detto in precedenza che la rigidità delle strutture aumenta la disuguaglianza e impedisce il recupero e addirittura il prevalere degli indirizzi mantiene la percezione sociale della gerarchizzazione dei saperi.

Sono quindi gli statuti a creare la cerniera tra le norme generali e la realtà locale, ad essi l’indicazione delle modalità di partecipazione della comunità e di migliore organizzazione delle professionalità. Un’autorità governativa, da stabilire a quale livello, approverà gli statuti stessi e commissarierà gli inadempienti .

Le due proposte di legge concordano nel distinguere  funzioni di indirizzo, gestionali e didattiche, ma differiscono sull’attribuire la presidenza del “consiglio dell’autonomia”, l’organo appunto politico: la 953 prevede di mantenere la presidenza ad un rappresentante delle famiglie, mentre la 3542 la affida al dirigente scolastico. Con la prima soluzione si darebbe maggiore equilibrio alle diverse componenti: scuola e famiglia dovrebbero essere le principali responsabili dell’azione educativa e si vedrebbe il dirigente scolastico oltre che come garante per lo Stato anche più vicino a quella che usa chiamarsi la leadership educativa, mentre nel secondo caso si darebbe a questa figura più un valore manageriale, di organizzazione delle diverse risorse presenti nella scuola. E’ sicuramente preferibile una visione di scuola-comunità piuttosto che quella di scuola-organizzazione.

E’ l’autonomia che deve saper analizzare i bisogni del territorio, la qualità che deve promuoverne lo sviluppo, il pubblico, in un’ottica di sussidiarietà, che deve garantire i diritti dei cittadini; organismi di partecipazione costituiscono un atto di trasparenza da estendere progressivamente anche ad altre agenzie educative e formative: statali, regionali, comunali, paritarie o autorizzate. Tale “sistema pedagogico” deve avere, come si è detto, una sua rappresentanza e potere di interlocuzione con altri sistema territoriali e più in generale con il sistema politico, economico, ecc. Qui le due proposte convergono e questo potrebbe aprire la strada ad una rapida approvazione.

Un Consiglio Nazionale delle Autonomie Scolastiche e non solo, come organo di partecipazione e corresponsabilità tra Stato, Regioni, EELL e autonomie scolastiche nel governo del sistema nazionale di istruzione e non un consiglio della corona, con compiti meramente consultivi, di cui i ministri si sono serviti o che hanno anche in buona parte disatteso. Organo di tutela della libertà di insegnamento, di analisi della qualità del sistema e di garanzia della sua piena autonomia.

Ogni Regione può mettere in atto analoghi strumenti di partecipazione, attraverso l’istituzione di Conferenze regionali che tra gli altri compiti abbiano anche quello di trattare con lo Stato sulla definizione degli organici, che si auspica possano essere assegnati a livello di istituto o di rete, proprio al fine di conferire stabilità e continuità al servizio locale. Da qui possono derivare la costituzione degli ambiti territoriali (unioni di Comuni) con compiti di programmazione della rete dei servizi e delle relative Conferenze di ambito.

Un’ultima osservazione riguarda la presenza degli studenti degli istituti del secondo ciclo. Pur con toni diversi tutti riconoscono la loro rappresentanza nel consiglio dell’autonomia in misura paritetica a quello dei genitori; è lo statuto, che deve essere approvato del consiglio medesimo, che deve disciplinare le modalità della necessaria partecipazione degli alunni e genitori, comprese le assemblee, in base ai diversi organismi istituiti. E per quanto riguarda la loro presenza in decisioni che comportano movimenti finanziari, il loro voto non può essere consultivo (3542) se maggiorenni; essi infatti devono essere coinvolti nelle scelte gestionali, anche per ragioni educative, cioè di responsabilizzazione nell’uso del denaro pubblico o per pubblica utilità.

E’ singolare che la sen.Giannini, una volta diventata ministro, tra i tanti argomenti anticipati sui media non si sia soffermata su un provvedimento presentato proprio da lei, anche perché questa apertura offerta alla legge 953 avrebbe bisogno di un percorso accelerato proprio come quello che si intende far seguire al rieccolo titolo quinto.