Valutazione di sistema: un quadro di riferimento

Valutazione di sistema: un quadro di riferimento

di Giancarlo Cerini

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un vero e proprio forcing sulla valutazione (reintroduzione del voto, sistema degli esami, rilevazioni Invalsi, certificazione delle competenze, prime esperienze di valutazione esterna). Non sempre queste novità sono state ben comprese dal mondo della scuola, anche per la mancanza di un serio processo di formazione in servizio che facesse crescere una cultura della valutazione, capace di dare “valore” formativo alle nuove proposte valutative. Così hanno finito con il prevalere atteggiamenti difensivi o scontate pratiche routinarie, mentre stenta a farsi strada l’idea della valutazione come “regolazione” dei processi e base indispensabile per il miglioramento, sia che parliamo di allievi, di insegnanti o di una organizzazione come la scuola.

 L’emanazione del Regolamento sul sistema nazionale di valutazione (Dpr 80/2013) può rappresentare un’occasione importante per dare un “senso compiuto” alle tante sollecitazioni in materia di valutazione, da ricomprendere nella prospettiva integrata dell’autovalutazione, della valutazione esterna, del miglioramento, della rendicontazione sociale. E a patto che l’attuazione del Regolamento avvenga attraverso un dialogo aperto con la scuola per sciogliere i molti nodi che la nuova agenda della valutazione lascia ancora irrisolti.

Dal punto di vista del dirigente scolastico la valutazione (cioè gestire i processi e i sistemi di misurazione, valutazione e rendicontazione sociale) rappresenta una delle funzioni da presidiare all’interno delle strutture organizzative e operative della scuola, per promuovere, accompagnare e revisionare il miglioramento continuo delle pratiche e delle prestazioni. Il D.lgs. 165/2001 (art. 25) richiama l’impegno a “promuovere gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi”. Il D.lgs. 150/2009 rafforza le prerogative “unilaterali” del dirigente in materia di valutazione. Il Dpr 80/2013 (SNV) parla (art. 6, comma 4) di “aree di miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni scolastiche direttamente riconducibili al dirigente scolastico, ai fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale”.

 

Molte (troppe?) novità per la valutazione

La scuola non si “fida” della valutazione. Ne capisce l’importanza, a tutti i livelli (per gli allievi, gli apprendimenti, l’organizzazione, le professionalità), ma quando si passa alle realizzazioni concrete prevalgono la diffidenza e il disagio. Anche grandi “maitres à penser” si scagliano con virulenza contro l’Invalsi (l’istituto nazionale delegato a svolgere compiti di valutazione di sistema). Come mai questo stato d’animo così “animoso”? Il fatto è che spesso la valutazione è stata associata ad una visione punitiva, classificatoria, competitiva nel rapporto tra le persone e l’organizzazione di appartenenza. Questo è avvenuto anche negli ultimi anni, quando nel nostro paese si è cercato di sviluppare una diversa cultura della valutazione. Le novità in materia di valutazione sono state tante, forse eccessive, e spesso veicolate da provvedimenti normativi approvati per decreto legge e senza un pubblico dibattito. Ricordiamone alcune:

–       la generalizzazione delle prove Invalsi (censuarie) e l’inserimento di una prova nazionale strutturata all’interno dell’esame di licenza media (Legge 176/2007);

–       la reintroduzione del voto in decimi nella scuola di base, il ripristino del “voto in condotta”, la certificazione delle competenze (legge 169/2008);

–       l’introduzione della valutazione delle pubbliche amministrazioni e delle performances individuali e organizzative (d.lgs 150/2009, c.d. decreto Brunetta);

–       la riconfigurazione del sistema nazionale di valutazione (SNV), con la previsione di una valutazione “esterna” di scuole e dirigenti (Legge 10/2011 e Regolamento SNV 2013).

 

Sono interventi normativi che toccano diversi aspetti della valutazione, da quelli riferibili ad azioni di sistema (per conoscere, documentare, apprezzare il funzionamento delle istituzioni scolastiche, singolarmente o nel loro insieme), da quelle più direttamente riferibili alle pratiche didattiche (ed ai loro risvolti formativi e certificativi): dall’uso dei voti al sistema degli esami alle modalità di certificazione.

Si tratta di un pacchetto “consistente” di novità, che la scuola ha subìto passivamente, piuttosto che agito da protagonista. Si pensi all’impatto delle prove Invalsi, che spesso determina comportamenti opportunistici nelle scuole (il cd. cheating) o invita i docenti al “teaching to the test”. Bene hanno fatto le Indicazioni/2012 per il primo ciclo a mettere in guardia contro una didattica finalizzata all’esclusivo superamento dei test. Ciò significa considerare le prove Invalsi come uno strumento utile, ma non esclusivo, per meglio interpretare i meccanismi dell’apprendimento, le conoscenze fondamentali,  i processi didattici.  La somministrazione censuaria delle prove è utile perché consente ad ogni scuole di disporre di informazioni preziose sugli apprendimenti (quindi in una ottica di ricerca e sviluppo), che però dovranno essere utilizzate con molta cautela, soprattutto nei confronti dell’esterno.

 

Quale cultura della valutazione?

Per cogliere il senso della valutazione è necessario farsi alcune domande preliminari:

  • Ci serve un sistema di valutazione? Agisce pro o contro la scuola?
  • Come si possono utilizzare gli esiti delle indagini valutative, i risultati?
  • Come si stanno usando? In modo appropriato o ci sono dei rischi, degli effetti collaterali da considerare?

Le indagini internazionali sugli apprendimenti ci danno informazioni  utili a livello di sistema scuola.

Le informazioni rese disponibili da sistemi come OCSE-PISA ci danno un  lieve miglioramento per le rilevazioni del 2012 rispetto a quelle del 2009 (vedi il rapporto di sintesi sul sito www.cidi.it ), ma queste stesse indagini ci dicono anche che le criticità  tendono a cristallizzarsi:

–        permane il divario storico e geografico tra Italia del nord e del sud, che viene da molto lontano, anche se si va riducendo, grazie ad interventi compensativi;

–        permane una varianza troppo forte tra scuole dello stesso tipo, tra allievi con stesso bagaglio culturale e i dati tendono a polarizzarsi;

–        si nota un aumento dell’incidenza dei contesti sociali sul rendimento scolastico degli allievi.

I dati offerti dall’INVALSI danno lo stesso tipo di informazione. Questa premessa è importante perché ci dice che le sole informazioni sull’apprendimento degli allievi, non arricchite da un’analisi “spassionata” (quindi anche esterna) dei processi organizzativi che li possono produrre, genera un effetto distorsivo, focalizzando l’attenzione sulle prestazioni dei ragazzi nei test, magari incentivando l’allenamento alla soluzione dei quesiti (teaching to the testing) oppure dando luogo a veri e propri comportamenti scorretti (effetto cheating). Tanto è vero che l’Invalsi sta studiando questi fenomeni e li sta “registrando”.

Non si tratta però solo di un problema di correttezza o di sincerità. Occorre chiarire l’uso che si intende fare dei dati sugli apprendimenti, come vengono recuperati, come vengono arricchiti da altre informazioni sul funzionamento della scuola. Occorre ampliare il focus con visite alle scuole, analisi dei contesti operativi, per consentire l’osservazione di una serie di varianti, di processi, di qualità di azioni, di modelli organizzativi, che darebbero la possibilità di capire meglio la vita di una scuola, che non è racchiusa nei pochi item proposti nelle indagini docimologiche [l’avvio del SNV – Dpr 80/2013 – va interpretato in questa ottica].

Dunque, dovremmo immaginare la valutazione come un sistema di valutazione, uno strumento a disposizione per poter capire i fattori che influiscono sulla qualità.  Ad esempio, la varianza tra scuole, a parità di contesto, ci dice che c’è un’area di intervento possibile, perché il valore aggiunto potrebbe dipendere dal tipo di organizzazione interna di quella scuola, dal tipo di professionalità, dalle persone che vi operano, e dalle cose in cui credono e come caratterizzano il loro insegnamento.

 

La valutazione “formativa”

D’altra parte esiste una cultura diffusa, specie nella scuola di base, che fa riferimento al concetto di valutazione formativa, cioè il suo essere finalizzata al miglioramento e allo sviluppo permanente (degli apprendimenti, del personale, delle scuole). Anche i documenti ufficiali più recenti, come le Indicazioni nazionali per il curricolo/2012, richiamano esplicitamente l’idea di una valutazione che “precede, accompagna, segue l’azione didattica” e raccomandano di orientare la valutazione per sostenere la motivazione degli allievi, promuoverne l’orientamento, creare fiducia nei propri mezzi. Non si tratta di assumere un atteggiamento a-valutativo, ma di perseguire una valutazione sincera, tempestiva, trasparente, pienamente inserita nella relazione educativa, perché ne fa parte integrante e non la interrompe. Termini come classificare, giudicare, competere, dovrebbero essere utilizzati con molta parsimonia e piuttosto sostituiti con altri come descrivere, conoscere, promuovere. In questa prospettiva si recupera anche l’idea di standard, ma consentendo a ciascun allievo di posizionarsi in un processo personale di avvicinamento ai traguardi previsti per tutti.[tutto questo rimanda ai temi dei criteri di valutazione].

Ci sarebbe da chiedersi se il voto in decimi, specie nei primi anni della scolarità, sia lo strumento  più adeguato per esprimere questa intenzionalità formativa. Spesso i voti sono confusi con i punteggi, si maneggiano come oggetti matematici (con molta approssimazione), dimenticando la basilare distinzione tra misurazione (rilevazione di dati e di situazioni, attraverso una pluralità di strumenti) e valutazione (attribuzione di un valore/giudizio, sulla basi di criteri resi espliciti). C’è da sperare che l’attuale enfasi sulla valutazione possa rappresentare un’occasione per approfondire una corretta cultura della valutazione, prima ancora di utilizzare scale e codici, a volte con inveterato buon senso. Ma questo richiede un preciso investimento sulla formazione del personale della scuola, spesso destinatario “forzato” dei nuovi gadget docimologici. [sembrano anche maturi i tempi per una revisione del DPr 122/2009, cioè del regolamento che detta norme in materia di valutazione degli allievi].

 

Uno storico ritardo

Esiste un consenso abbastanza ampio nella società italiana circa l’esigenza di introdurre meccanismi di valutazione della qualità del nostro sistema educativo. Gli utenti diretti (i genitori), ma anche quelli indiretti (i cd. stakeholder) e, soprattutto i donatori (i cittadini che con le loro imposte sorreggono i servizi pubblici di un paese) hanno tutto l’interesse a disporre di informazioni e dati utili per capire come funziona la scuola frequentata dai loro figli o quelle della propria città o della propria nazione.

In questo campo l’Italia presenta forti ritardi, se paragonati a quanto avviene in altri paese europei (e non solo), nonostante che ormai da una ventina d’anni si siano susseguite le proposte per far decollare un sistema nazionale di valutazione, trasformando strutture preesistenti come il CEDE o rilanciando e ampliando i compiti di istituti creati ad hoc come l’INVALSI (l’istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione, creato con il D.lgs 286/2004).[v. su “Rivista dell’istruzione” n. 5/2013, un’ampia ricostruzione dell’evoluzione normativa del sistema di valutazione, a cura di D.Previtali].

Questi ritardi furono certificati nel lontano 1997 da una specifica review (indagine) dell’OCSE che nelle sue raccomandazioni sulle prospettive di sviluppo della scuola italiana individuava esplicitamente la costruzione di un servizio (o sistema) nazionale di valutazione ed il rilancio di un moderno servizio ispettivo, per un controllo più puntuale del funzionamento e dei risultati della scuola italiana, anche in forma di auditors (controllo interno, autovalutazione) e di supervisione.

Scheda di approfondimento – Cosa aveva raccomandato l’OCSE 15 anni fa?

Noi raccomandiamo che sia istituito un sistema di valutazione indipendente, che incentri la sua attività sulla definizione di parametri di valutazione, per mettere le scuole nella condizione di autovalutarsi con riferimento a tali parametri, sviluppi test, svolga verifiche ai vari livelli scolastici e fornisca consulenza su come devono essere allocate le risorse perché si ottengano risultati più equi e migliori.

Raccomandiamo altresì che il Governo consideri l’opportunità di istituire un ente indipendente incaricato di svolgere ricerche indipendenti in materia di istruzione utilizzando sia fondi pubblici che fondi provenienti da altre fonti, se c’è interesse ad avere un parere indipendente sul funzionamento del sistema formativo.

Raccomandiamo che il Governo riesamini il ruolo dell’ispettorato alla luce delle mutate condizioni delle scuole in relazione alle riforme. Gli ispettori dovrebbero, in particolare, essere coinvolti nel programma di miglioramento delle scuole e valutarne i risultati.

Raccomandiamo la creazione di un sistema di testing per valutare gli alunni in determinati momenti del corso di studi o in determinate classi, specialmente al termine della scuola dell’obbligo. Spetta al governo decidere quale tipo di estensione debba avere la valutazione: se a campione o per l’intera coorte, in modo che ogni allievo e la sua famiglia possano conoscere il livello medio di rendimento della scuola frequentata.

Raccomandiamo, inoltre, che i risultati di questa valutazione vengano messi a disposizione dei genitori e della comunità, in genere sotto forma di media delle scuole, in modo che si possa decidere come le singole scuole possano migliorare e come le pratiche che hanno successo possano essere disseminate a favore di un maggior numero di insegnanti.

OCSE, Esame delle politiche nazionali dell’istruzione/Italia, Armando, Roma, 1997.

Sappiamo che tutto questo solo in minima parte è avvenuto, anzi, la mancata indizione dei concorsi ispettivi per ben 17 anni, ha portato alla sostanziale scomparsa di questo corpo tecnico. Solo sul versante dell’INVALSI si è registrato un maggior dinamismo, per cui oggi è operante un sistema abbastanza collaudato di rilevazioni censuarie, esterne e standardizzate, degli apprendimenti, rivolte ad intere leve di classi di allievi (2^ e 5^ primaria, 1^ e 3^ secondaria di I grado, 2^ classe secondaria di II grado), così come era stato prescritto nell’ottobre 2007 nel testo della legge 176, peraltro approvata da un’ ampia maggioranza parlamentare [sulle prospettive di evoluzione dell’Invalsi si è aperto un acceso dibattito, per cui rimando ad un mio recente intervento su www.sussidiario.net: http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2014/1/8/SCUOLA-Invalsi-piccolo-promemoria-per-il-nuovo-presidente/457118/

 

Le scelte più recenti: ce lo chiede l’Europa?

Negli ultimi anni si è incentivato il discorso sulla valutazione delle scuole, anche in relazione a temi più controversi come il merito, l’eccellenza, la qualità, la responsabilità. Il Ministro Gelmini aveva promosso alcuni progetti sperimentali orientati in questa prospettiva (come il progetto “Valorizza, per premiare i docenti con la migliore reputazione, e il progetto VSQ: valutazione sviluppo scuola, per premiare le scuole migliori).  Una legge (la n. 10 del 2011) ha ridisegnato il sistema di valutazione immaginando il concorso paritario di tre partner: Invalsi, Indire, Corpo ispettivo, conferendo al Governo una ampia delega per regolamentare l’intero sistema e per ridefinire la funzione ispettiva (quindi due regolamenti). Il legislatore ha poi “limato” ulteriormente l’architettura di sistema, dando più peso all’Invalsi (legge 111/2011 e legge 35/2012).

Nel frattempo (estate-autunno 2011) è intervenuto il noto scambio di lettere tra Italia e Europa (in particolare sotto dettatura della BCE), con il quale il nostro Governo assumeva – tra i tanti oneri per trasformarci in un Paese virtuoso sotto il profilo economico-sociale –  l’impegno ad aumentare l’accountability (qui potrebbe stare per valutazione esterna) delle nostre scuole e ad intervenire  nei confronti delle scuole con risultati non soddisfacenti.

 

Scheda di approfondimento – I nostri impegni con l’Europa (la lettera della BCE)

I due punti (13 e 14) richiamati nella lettera di intenti erano sintetizzati nell’obiettivo di:

Promozione e valorizzazione del capitale umano.

a) L’accountability delle singole scuole verrà’ accresciuta (sulla base delle prove INVALSI), definendo per l’anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti;

b) si valorizzerà’ il ruolo dei docenti (elevandone, nell’arco d’un quinquennio, impegno didattico e livello stipendiale relativo); si introdurrà un nuovo sistema di selezione e reclutamento.(…)

L’Europa ha preso atto dei nostri impegni, ma ha richiesto ulteriori chiarimenti, per saggiare la concreta disponibilità dei nostri governanti ad attuare quanto concordato.

Questi i contro quesiti dell’Unione Europea

 “Quali caratteristiche avrà il programma di ristrutturazione delle singole scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti ?”

(“Come intende il governo valorizzare il ruolo degli insegnanti in ogni singola scuola?E quale tipo di incentivi il governo intende mettere in campo? ”

 

Il nuovo regolamento sul Sistema Nazionale di Valutazione

Pur accolto tra molti “distinguo” il nuovo Regolamento sul sistema di valutazione (Dpr 28-3-2013, n. 80) sembra innestarsi nell’alveo di questa cultura. Certamente la parte innovativa del regolamento è la previsione di un sistema di valutazione esterna delle scuole. Si tratta di un tassello mancante nel nostro sistema, mentre fin dall’attribuzione dell’autonomia (art. 21 della legge 59/1997) si faceva carico ad ogni scuola di rendere conto della propria produttività culturale. Un principio in larga parte disatteso, visto il mancato obbligo di adottare procedure di autovalutazione o di dotarsi di un proprio “bilancio sociale”. Esistono molte buone pratiche di autovalutazione, così come alcune scuole si sono dotate di strategie di “rendicontazione sociale”, ma è mancato un impegno di sistema per generalizzare questi passaggi.

Nel regolamento (Dpr 80/2013) questo principio di responsabilità si comincia a scorgere, nella connessione indispensabile tra:

–       pratiche di autovalutazione (anche sulla base di un input che arriva da indicatori e dati forniti dal centro: prove Invalsi, “scuola in chiaro”, questionari, ecc.),

–       momenti di verifica esterna “in situazione” (ad opera di equipe che dovrebbero essere coordinate da Ispettori);,

–       azioni di miglioramento (affidate all’iniziativa delle scuole, che possono avvalersi dell’Indire e di altri soggetti pubblici e privati);

–       forme di trasparenza e rendicontazione pubblica (che può assumere forme e modalità diverse).

In sintesi, emerge dall’articolato (mancano infatti i decisivi protocolli sulla cui base condurre le indagini nelle scuole), un’idea di valutazione finalizzata al miglioramento, ove  la competizione è semmai con sé stessi, per una scuola che diventa consapevole dei propri punti di forza così come delle proprie criticità, attraverso l’analisi di informazioni comparabili su base più ampia (benchmarking) ed il confronto con un punto di vista “esterno” che può aiutare a superare la propria autoreferenzialità. L’obiettivo, alla fine, è quello di stimolare ogni istituzione scolastica a dare il meglio di sé, a raggiungere standard ottimali di funzionamento (che dovranno però essere esplicitati), a  produrre risultati  soddisfacenti in termini di apprendimento degli allievi, pur tenendo conto dei diversi contesti (il c.d. “valore aggiunto”).

 

L’autovalutazione

Di fronte a questi quattro elementi qualificanti del sistema (autovalutazione, valutazione esterna, miglioramento, rendicontazione sociale), quali sono gli sviluppi che ci possiamo aspettare? In materia di autovalutazione è fondamentale uscire da una dimensione autoreferenziale, secondo cui l’autovalutazione è come un  fotoshop che apporta ritocchi per migliorare l’immagine,  sviluppando invece un’ottica di partecipazione, condivisione e confronto. [Nella formazione dei dirigenti neo-assunti è stata proposta l’elaborazione di un RAV-Rapporto di Autovalutazione, attraverso uno schema che aggregava gli indicatori di funzionamento della scuola attorno alle aree del contesto, dell’organizzazione, della didattica e dei risultati. Il RAV sfocia poi nella definizione di obiettivi strategici attorno ai quali sviluppare Piani di Miglioramento].

In merito agli elementi di comparazione va però soppesata con attenzione la tendenza dell’INVALSI di favorire la comparazione sincronica: cioè di mettere a confronto i punti di forza e le criticità di ogni scuola con altre scuole di riferimento. Questa procedura va certamente ri-equilibrata facendo pesare di più il fattore “valore aggiunto”, cioè i risultati scolastici depurati dai fattori contestuali[1].

Ugualmente importante è il confronto della scuola con i risultati degli anni precedenti, perché questo aspetto diacronico permette di cogliere l’evoluzione dei fenomeni e di interpretare anche i fattori che possono influire sui cambiamenti positivi e negativi. Alcuni indicatori e parametri dovrebbero essere stabili nel tempo (in questa ottica l’Invalsi sta costruendo prove “ancorate”, cioè in grado di consentire confronti successivi), essere patrimonio comune a più scuole (questo è l’esito di molti progetti di autovalutazione in rete),  con possibilità di arricchimenti differenziati in base ad esigenze di analisi mirate.

 

La valutazione esterna

Nel nostro paese è stata enfatizzata la somministrazione di prove standardizzate per la rilevazione degli apprendimenti, suscitando non poche polemiche[2], invece manca una tradizione di osservazione diretta delle scuole, di audit e survey, che affianchi le agenzie che si occupano di rilevazione degli apprendimenti. Ora, il nuovo regolamento colma questa lacuna ed il sistema appare più equilibrato, in quanto i dati sui risultati degli apprendimenti saranno controbilanciati dalla lettura diretta dei contesti, da analisi dei processi organizzativi, da interazioni in situazione con i diversi soggetti interessati.

L’analisi dell’organizzazione scolastica è compiuta dai nuclei di valutazione attraverso incontri, audizioni, sopralluoghi, visite a classi e laboratori, acquisizione di documentazione. Gli indicatori di performance e gli standard di riferimento (descritti in apposite rubriche) dovrebbero consentire l’apprezzamento di evidenze circa il funzionamento dell’istituto.[cfr. frame work sviluppato nell’ambito del progetto VALES. Materiali e documenti disponibili nell’apposito sazio informativo www.invalsi.it ].

La qualità di una scuola, dunque, non si giocherà solo sugli esiti dei test (una misura sempre parziale e discutibile), ma su una conoscenza più ampia del suo modo di essere, quindi anche sui suoi valori, sulle sue scelte educative, sulla capacità di produrre equità e non solo di “tirare a lucido” gli apprendimenti degli allievi in alcune discipline (con tutti i possibili fraintendimenti del caso).

I dati numerici, gli indici, i punteggi, saranno accompagnati da osservazioni, argomentazioni, interpretazioni, capaci di suggerire piste di miglioramento o confermare buona pratiche. Si rende così possibile far interagire valutazione e sviluppo della qualità, che resta l’obiettivo vero di un onesto sistema di valutazione. [un esempio di buone pratiche di audit è stato sviluppato nell’ambito del progetto SAPERI, realizzato da reti di scuole piemontesi, poi allargatosi ad altre regioni]

 

Scheda di approfondimento:  i protocolli

Un protocollo di valutazione dovrebbe considerare la dimensione didattica, progettuale, organizzativa e gestionale delle istituzioni scolastiche. Le aree di osservazione dovrebbero riferirsi ad alcuni aspetti fondamentali del funzionamento di una scuola. Nel progetto VALES i fattori da analizzare sono raggruppati in quattro classi:

A)     la prima si riferisce agli esiti formativi ed educativi

  1. successo scolastico;
  2. competenze di base;
  3. equità degli esiti;
  4. risultati a distanza;

 

B) la seconda si riferisce alle pratiche educative e didattiche poste in essere nelle singole scuole (1. selezione dei saperi, scelte curricolari e offerta formativa; 2. progettazione della didattica e valutazione degli studenti; 3.Sviluppo della relazione educativa tra pari; 4. Inclusione, integrazione, differenziazione dei percorsi; 5 continuità e orientamento);

 

C)     la terza si riferisce all’ambiente organizzativo all’interno del quale quelle pratiche e quei processi si sviluppano (6. identità strategica e capacità di direzione della scuola-leadership; 7. gestione strategica delle risorse; 8. sviluppo professionale delle risorse; 9. capacità di governo del territorio e rapporti con le famiglie; 10. attività di autovalutazione);

 

D)    la quarta richiama il contesto socio-ambientale e le risorse in cui si inscrive il funzionamento dell’Istituto, visto nella duplice prospettiva di vincoli e opportunità per l’azione organizzativa e formativa della scuola:

  1. ambiente;
  2. capitale sociale;
  3. risorse economiche e materiali;
  4. risorse professionali.

 

Il miglioramento

Parlare di miglioramento significa entrare nel vivo del “senso” del valutare, perché dalla diagnosi sul funzionamento di una scuola (frutto di un mismatch interno esterno) scaturisce la motivazione al miglioramento. A quel punto gli strumenti della qualità (in particolare del TQM: total quality management), la filosofia del PDCA (il ciclo di Deming: Plan, Do,Check, Act), le logiche del CAF (Common Assessment Framework) diventano binari utili da percorrere per intraprendere percorsi di innovazione e di sviluppo.

Se il cambiamento richiama quasi un ciclo naturale di una scuola che voglia sentirsi organismo vitale, il miglioramento implica l’addensarsi di scelte, di valori, di decisioni, di strategie operative, di regolazione controllata dei processi.

Resta aperto il nodo dei soggetti che devono svolgere le funzioni di accompagnamento, se cioè siano da affidare ai “valutatori” o ad altre figure. In alcuni progetti sperimentali (come VSQ, PQM ed ora VALES) appare la figura del “tutor per il miglioramento” cui è affidato un compito di intervento nella scuola, a seguito delle prime diagnosi valutative, per promuovere azioni di informazione, ricerca, formazione, progettazione assistita. “… una separazione tra ruoli valutativi e ruoli progettuali o tra accompagnamento della valutazione esterna ed interna può essere comprensibile entro una logica di controllo, ma in una logica di sviluppo risulta contradditorio in rapporto agli scopi e disfunzionale in rapporto ai risultati attesi”(Castoldi).

Tenendo conto di queste osservazioni si potrebbe immaginare almeno l’attivazione di una figura “interna” all’istituto scolastico, con compiti di catalizzatore delle azioni di valutazione (esterne ed interne) in funzione del miglioramento dei processi organizzativi e curricolari.

 

Scheda di approfondimento : Il tutor per il miglioramento

La figura del tutor di miglioramento si qualifica in quanto consulente di processo, ovvero di colui che aiuta le scuole a strutturare un percorso di riflessione e di azione progettuale in merito alle proprie problematiche, in una prospettiva di apprendimento organizzativo. Il suo ruolo è quindi di accompagnamento, nel “prendere per mano” la scuola a gestire in modo rigoroso e funzionale un percorso di revisione delle proprie scelte e di qualificazione dell’offerta formativa.

Una più attenta disanima delle funzioni connesse a tale ruolo può essere fatta richiamando la lezione di Huberman (1982) in merito alla promozione di processi innovativi nelle scuole; l’autore evidenziava quattro macro-funzioni da presidiare:

•               Facilitatore:  agevolare e promuovere l’autodeterminazione e l’elaborazione collegiale nei gruppi professionali;

•               Catalizzatore: favorire una rivisitazione critica della propria azione professionale e valorizzare e mobilitare le risorse interne ed esterne potenzialmente disponibili al cambiamento;

•               Consigliere tecnico: mettere a disposizione una competenza esperta in rapporto agli specifici temi che caratterizzano il progetto di cambiamento, accompagnare la riflessione e la progettazione attraverso approcci teorici, proposte operative, altre esperienze, suggerimenti di merito;

•               Figura di collegamento con l’esterno e reperimento di risorse: stimolare costantemente il processo migliorativo, sia operando dall’interno, sia mettendolo in collegamento con esperienze e soggetti esterni.

Facilitare, catalizzare, consigliare, collegare: quattro azioni chiave da affidare al tutor per il miglioramento, in una prospettiva di integrazione tra valutazione interna ed esterna, tra diagnosi e sviluppo. Si tratta di azioni delicate e strategiche, che richiedono un bagaglio di competenze tecniche, sociali, organizzative; ne consegue una domanda di selezione e formazione di figure di questo genere nel nostro sistema scolastico: un passaggio ineludibile per partire con il piede giusto (da un intervento di Mario Castoldi).

 

La rendicontazione sociale

La semplice pubblicazione dei dati sugli apprendimenti, non accompagnata da una descrizione del valore aggiunto (effetti di contesto), non intrecciata con riflessioni sui processi organizzativi e didattici, porterebbe ad una turbativa nelle dinamiche delle iscrizioni e nelle scelte dei genitori. Questo fenomeno, che rischia di accentuare le differenze sociali tra le scuole, è stato studiato in molti paesi stranieri, ma quasi per nulla in Italia.[3]

I dati grezzi sugli apprendimenti potrebbero essere lo specchio delle caratteristiche socio-culturali degli allievi e del contesto sociale in cui opera la scuola. Le scelte dei genitori potrebbero convergere verso le scuole con i migliori risultati, svuotando e peggiorando quelle con i risultati più scadenti. Visto dal punto di vista del singolo genitore il fenomeno è comprensibile, dal punto di vista dell’equità di un sistema educativo certamente no. Dagli studi della Fondazione Agnelli[4] è emerso che i risultati migliori si ottengono nelle condizioni di equi-eterogeneità, là ove non si differenziano e cristallizzano le polarità nei rendimenti scolastici. Il sistema è equo se c’è una equilibrata distribuzione delle criticità e delle eccellenze, dunque la pubblicità dei dati senza debita lettura rischia di accentuare un fenomeno  di differenziazione e di stratificazione sociale tra le scuole.

In sintesi, la rendicontazione sociale è la capacità della scuola di dare conto delle proprie funzioni educative e sociali in uno specifico contesto, non in chiave agonistica, ma come contributo alla crescita della qualità della vita nella comunità di riferimento.

 

Le sperimentazioni in atto

La cultura della valutazione (a livello di sistema educativo) richiede di chiarire il rapporto tra autovalutazione (o valutazione interna) e valutazione esterna, la dialettica tra valutazione e miglioramento, il sistema di incentivi-premi o altre conseguenze che possono essere associate ai processi valutativi.

Le sperimentazioni avviate in questi ultimi anni possono aiutare a chiarire questi nodi. Ci riferiamo in particolare al progetto VALES, che sembra essere stato gradito – una volta tanto – da un’ampia platea di scuole (oltre 1000, di cui 300 impegnate nella ricerca). Sono stati apprezzati:

a)     l’assenza di un sistema premiale e, viceversa, l’erogazione di finanziamenti a tutte le scuole partecipanti;

b)     l’inserimento nel programma di valutazione della performance del dirigente scolastico (come “interprete” e “leader” della propria comunità professionale);

c)     la finalizzazione esplicita delle varie fasi del processo di valutazione alle azioni di miglioramento;

d)     l’accentuazione della dimensione autovalutativa, come spinta al protagonismo dei soggetti “interni” e assunzione di responsabilità da parte della scuola per il proprio sviluppo.

Questi criteri, di cui c’è traccia anche nel Regolamento sul sistema nazionale di valutazione (Dpr 80/2013), sembrano accantonare la logica competitiva suggerita negli ultimi anni (cfr. Progetti “Valorizza” e “VSQ”) per sposare invece altri orientamenti maturati a livello europeo, come ad esempio il modello CAF-Common Assessment Framework, cioè la capacità di autoanalisi delle organizzazioni pubbliche, incentrate su processi autovalutativi accompagnati da azioni di  audit e/o monitoraggio esterno, sulla base di indicatori strategici per la descrizione del funzionamento di una istituzione, nel nostro caso formativa. Molte esperienze costruite dal basso (marchio Saperi, rete Avimes, rete AIR, progetti AICQ, ecc.) sembrano suggerire una “via italiana” alla qualità dell’istruzione, strategia che andrebbe valorizzata per costruire un maggiore consenso attorno agli sviluppi del sistema di valutazione.

 

E’ possibile sperimentare la valutazione dell’insegnamento?

L’autovalutazione (delle scuole, ma anche del personale) è un principio accettato dai docenti, quindi da valorizzare a fondo, ma di per sé non è sufficiente e rischia di tradursi in autoreferenzialità, se non si alimenta attraverso il confronto con punti di vista esterni, il vaglio critico dei pari (peer review), lo stimolo al miglioramento, l’etica della rendicontazione. E’ pur vero che il lavoro dell’insegnante gode di una copertura costituzionale (è garantita la libertà di insegnamento), che però a volte si traduce in uno “splendido isolamento”, mentre è avvertita l’esigenza di una condivisione delle scelte, di un gioco di squadra che renda più efficace l’insegnamento in una classe e il lavoro a scuola.

Il concetto di comunità professionale ben si addice ad un ambiente cooperativo ad alta intensità relazionale come è la scuola. I meccanismi valutativi e premiali non dovrebbero contraddire e deludere questa aspettativa. Sembra dunque opportuno spostarsi da una valutazione per “premiare” ad una valutazione per “migliorare”, sapendo che i risultati sono migliorabili attraverso il confronto, la formazione permanente, la partecipazione ad un contesto professionale stimolante e motivante. Le buone pratiche dei buoni insegnanti (curare la propria formazione, assumere un atteggiamento di ricerca didattica, gestire in modo efficace l’insegnamento, ottenere buoni risultati con gli allievi in un clima di benessere sociale e formativo, assumere atteggiamenti collaborativi nella vita della scuola) dovrebbero essere riconosciute e validate (crediti) e trasformarsi in “tessere” spendibili per determinare un potenziale sviluppo professionale (e di carriera).

Se l’obiettivo è quello di disporre di insegnanti migliori, di tendere potenzialmente a far sì che tutti i docenti siano “buoni insegnanti”, l’obiettivo si realizza non solo promuovendo e riconoscendo i “singoli campioni” portatori di eccellenze, ma tonificando l’insieme del gruppo professionale, anche grazie al contributo dei docenti più stimati e accreditati.

 

La valutazione dei dirigenti

Lo schema di regolamento fa un “pescaggio” nell’annosa questione della valutazione dei dirigenti scolastici, prevista dallo status  dirigenziale (d.lgs 165/2011) e dal Contratto di lavoro e, non ultimo, dalla riforma della Pubblica Amministrazione (D.lgs 150/2009), ma mai effettivamente decollato. E’ evidente che una migliore conoscenza del contesto in cui opera un dirigente (cioè la sua scuola) è azione preliminare per delineare un credibile sistema di indicatori, che possano esprimere i vettori in cui esplicare la funzione dirigenziale (e da inserire in un contratto di missione meno generico dell’attuale incarico di preposizione ad una scuola).

 

Scheda di approfondimento: una proposta di lavoro elaborata nell’ambito del progetto VALES (a cura di D.Previtali).

Per la valutazione dei Ds il comma 1 dell’art. 25 del DLgs 165/2001 evidenzia la necessità di tener conto “della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate”.

È opportuno rilevare che definire “funzioni” i comportamenti messi in campo dal Ds è riduttivo, risulta più appropriato definirli comportamenti organizzativi o meglio ancora “competenze professionali” tipiche della dirigenza scolastica. In Italia non abbiamo un profilo del Ds (a differenza della Francia che lo ha appena ridefinito) pertanto è opportuno riferirsi alle competenze professionali riportate nella normativa e già concordate, utilizzando la sperimentazione Vales per una miglior declinazione, regolazione, integrazione.

Le competenze professionali declinate dallo stesso art. 25 del Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 sono le seguenti:

“assicura la gestione unitaria dell’istituzione”
“organizza l’attività’ scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative”
“ha autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane”
“promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio
“sovrintende, con autonomia operativa, nell’ambito delle direttive di massima impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi generali dell’istituzione scolastica, coordinando il relativo personale”

Le competenze professionali richiamate sopra possono essere ricondotte alle variabili di efficacia delle leadership scolastica come emergono dalla letteratura di school effectiveness e school improvement. Più precisamente, esiste una generale convergenza su cinque principali competenze di leadership:

  1. definire la direzione unitaria della scuola attraverso il processo di formulazione, comunicazione e dispiegamento degli obiettivi in corrispondenza dei diversi nuclei operativi responsabili dell’implementazione del miglioramento delle pratiche educative ed organizzative;
  2. definire la struttura e i meccanismi organizzativi attraverso i quali sono articolati ruoli e responsabilità, procedure operative e sistemi gestionali funzionali ad un esercizio collegiale del potere decisionale e all’implementazione responsabile delle strategie perseguite;
  3. sviluppo delle risorse umane con particolare riguardo a tutti i meccanismi formali e informali attraverso i quali la leadership si preoccupa di accrescere il capitale professionale della scuola e le motivazioni degli insegnanti a innovare e realizzare efficacemente le pratiche educative;
  4. costruzione di relazioni fiduciarie per la crescita del capitale sociale della scuola, promuovendo e realizzando un patto di corresponsabilità con studenti, famiglie, altre scuole, enti pubblici e privati, profit e non profit, funzionale al perseguimento degli scopi istituzionali in modo condiviso con le risorse educative, professionali, sociali ed economiche della comunità territoriale;
  5. gestire i processi e i sistemi di misurazione, valutazione e rendicontazione sociale quale presidio organizzativo diffuso all’interno delle strutture organizzative e operative della scuola per promuovere, accompagnare  e revisionare il miglioramento continuo delle pratiche e delle prestazioni.

Molte di queste competenze hanno la possibilità di essere rilevate attraverso alcuni strumenti utilizzati per la valutazione della scuola, altre potrebbero essere “verificate”, documentate e/o osservate e rilevate direttamente dalle visite dei Nuclei di valutazione esterni. Altre ancora potrebbero essere oggetto di specifici strumenti di autovalutazione e a seguito di valutazione esterna.

Per la valutazione della dirigenza, che avviene al termine del percorso triennale a seguito dello sviluppo del Piano di Miglioramento, un elemento di valutazione determinate che è competenza specifica del dirigente scolastico,  sarà la valutazione della capacità di  pianificazione, organizzazione, gestione, monitoraggio e verifica del Piano di miglioramento orientato al raggiungimento dei risultati. 

La valutazione”esterna” delle scuole non coincide con la valutazione dei dirigenti responsabili della medesima scuola, ma costituisce la base conoscitiva per costruire una carta diagnostica sul funzionamento dell’istituto, utile al Direttore Generale per caratterizzare e personalizzare l’incarico conferito ad ogni dirigente, anche in vista della sua valutazione. Comunque, la valutazione formale del dirigente scolastico è operata dal Direttore Generale, che si avvale di uno specifico nucleo e acquisisce ogni utile elemento di documentazione (ivi compresi i report delle valutazioni esterne).

 

Riferimenti bibliografici

Fondazione G.Agnelli, La valutazione della scuola. A cosa serve e perché è necessaria all’Italia, Laterza, Roma-Bari, 2014.

G.Cerini (a cura di), Una certa idea di valutazione, Homeless Book, Faenza, 2012

D.Previtali, Come valutare i docenti?, La scuola, Brescia, 2012.

M.Castoldi, Valutare le competenze, Carocci, Roma, 2009.

M.Castoldi, Valutare a scuola. Dagli apprendimenti alla valutazione di sistema, Carocci, Roma, 2012.

L.Guasti, Didattica per competenze. Orientamenti e indicazioni pratiche, Erickson, Trento, 2012.

M.G.Accorsi, Insegnare le competenze, Maggioli, Rimini, 2013.

G.Cerini-M.Spinosi (a cura di), Strumenti e cultura della valutazione, Voci della scuola, 2/2013, Notizie della Scuola, Tecnodid, n. 11/12, febbraio 2013.

“Rivista dell’istruzione”, n. 5, settembre-ottobre 2013, Maggioli. Numero monografico sulla valutazione (con interventi di: M.Castoldi, M.Tiriticco, M.Comoglio, D.Previtali, L.Rondanini, G.Bolondi, S.Loiero, G.Cerini, D.Cristanini, V.Infante, M.Orsi, e altri)

 


Riferimenti normativi

 

  • Legge 28 Marzo 2003 n. 53: Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.
  • Decreto legislativo 19 novembre 2004 n. 286: Istituzione del servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione, nonché riordino dell’omonimo istituto.
  • Legge 25 ottobre 2007, n. 176: Conversione del decreto legge 7 settembre 2007, n. 147 (disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico).
  • Direttiva MIUR 15 settembre 2008, n. 74: Direttiva triennale rivolta all’INValSI.
  • DPR 22 giugno 2009 n. 122: Regolamento valutazione degli alunni.
  • Legge 26 febbraio 2011, n. 10: Conversione del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225 (interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie).Art. 2, comma 4-undevicies: sistema nazionale di valutazione.
  • Legge 15 luglio 2011, n. 111: Conversione del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria). Art. 19: razionalizzazione della spesa relativa all’organizzazione scolastica.
  • Legge 4 aprile 2012, n. 35: Conversione del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5 (disposizioni urgenti in materia di semplificazione e sviluppo). Art. 52: Potenziamento del sistema nazionale di valutazione.
  • DPR 28 marzo 2013, n. 80: Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione .

 



[1] R.Ricci, I modelli di valore aggiunto in ambito scolastico, in “Voci della scuola” 2/2013, numero monografico di “Notizie della Scuola, febbraio 2013.

[2] Tracce delle perplessità espresse dal mondo della scuola sono ben rappresentate dal documento “La valutazione: un tema cruciale, un impegno condiviso“, sottoscritto il 5 febbraio 2013 da un nutrito gruppo di associazioni professionali (tra cui AIMC e CIDI). Nel documento si chiede di tornare a rilevazioni a campione (e non più censuarie) e di eliminare la prova nazionale dall’esame di 3^ media (cfr. www.cidi.it).

[3] A.Martini, I risultati delle singole scuole nelle prove Invalsi devono essere pubblicizzati?, in “Rivista dell’istruzione”, n. 3, maggio-giugno 2012, Maggioli.

[4] Fondazione Agnelli, Rapporto sulla scuola in Italia, 2012, Laterza, Bari-Roma, 2012.