Precariato: una patata bollente per il Governo

da Tecnica della Scuola

Precariato: una patata bollente per il Governo
di Lucio Ficara
Da anni (anzi da sempre) l’Italia infrange almeno due clausole di una importante direttiva europea. Finora il problema è sempre stato ampiamente sottovalutato. Ce la farà il Governo Renzi ad affrontare la questione?
Si tratta di una vera e propria patata bollente di non facile risoluzione per il Governo italiano, quella di regolarizzare oltre 140mila docenti precari storici in lista d’attesa da molti lustri per un contratto a tempo indeterminato. Nessun Governo precedente a quello del premier Renzi ha mai preso sul serio la questione, ritenendo normale il reiterarsi di contratti a tempo determinato su posti vacanti anche rinnovati per decenni. Eppure esiste una chiara, chiarissima direttiva europea che avrebbe imposto all’Italia di risolvere questa evidente anomalia, che ormai sta assumendo i contorni della vera e propria ingiustizia. Si tratta della direttiva 1999/70/CE, di cui l’Italia  infrange puntualmente da anni almeno due clausole (la n. 4 e la n. 5), senza rendere conto all’Europa Nella clausola 4 è riportato che “per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”, mentre nella clausola 5 si specifica che “per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti”. Nonostante i sindacati siano coscienti del fatto che bisognerebbe cambiare le norme legislative e contrattuali, in modo da accogliere i punti di tale direttiva europea, si continua imperterriti ad applicare norme contrattuali che vanno nella direzione opposta. Infatti le clausole suddette sono infrante sia dal CCNL 2006-2009, ma anche da tutti i CCNI sulla mobilità, che trattano con criteri diversi i casi di lavoratori a tempo determinato da quelli a tempo indeterminato. È utile fare un esempio per comprendere dove sta l’evidente infrazione. Prendiamo, per ordine di tempo, l’ultimo contratto sulla mobilità 2014-2015 del 26 febbraio 2014, ancora persiste la differenza di trattamento nel calcolo dell’anzianità di servizio tra il pre-ruolo e il ruolo, dove il servizio svolto con contratti a tempo determinato vale la metà di quello svolto a tempo indeterminato, con l’aggiunta che, per la tabella della mobilità d’ufficio, il servizio svolto a tempo determinato viene calcolato per i primi quattro anni la metà di quello svolto in ruolo e per gli anni successivi ai primi quattro vale addirittura i due terzi e quindi un terzo di quello svolto dal docente di ruolo. Si tratta di una palese infrazione della clausola 4, che si reitera di anno in anno, con gli accordi contrattuali sulla mobilità. Perché questi criteri diversi tra il calcolo del punteggio del servizio pre-ruolo e quello di ruolo? Quali sono le motivazioni oggettive che giustificano tale differenza sul calcolo di detti servizi? Quindi mentre Amministrazione e sindacati continuano a fare accordi che non riconoscono l’incipit della direttiva europea 1999/70 , la Corte di Giustizia europea, riunitasi il 27 marzo 2014, si è dichiarata convintamente favorevole alle posizioni dei lavoratori. Secondo la Corte non esiste alcuna giustificazione per la permanenza in questo stato non solo degli insegnanti precari, ma di tutti i precari italiani. Inoltre non bisogna dimenticare che anche la Commissione Ue, ha più volte precisato di avere ricevuto, in questi ultimi anni, numerosi ricorsi che indicano come il personale precario della scuola è trattato in modo meno favorevole di quello che ha un contratto a tempo indeterminato. In particolare, sono impiegati con contratti a termine ma ‘continuativi’, per molti anni, che li lasciano in condizioni precarie nonostante svolgano un lavoro permanente come gli altri e su posti non occupati da personale di ruolo. E le leggi non prevedono misure per prevenire tali abusi. Inoltre, ricevono un salario più basso dello staff permanente nonostante abbiano le stesse qualifiche ed esperienze. Per la Commissione, la situazione dei precari è contraria alla direttiva sul lavoro a tempo determinato. Quindi si può dire che adesso, soprattutto dopo l’intervento della Corte di giustizia europea, il nodo del precariato della scuola italiana sta venendo al pettine, quindi il governo dovrà necessariamente intervenire per sanare quelle evidenti differenze. Tutto questo dovrà essere recepito anche normativamente e quindi sul piano giuridico anche con il rinnovo del contratto scuola. Anche molti docenti entrati da anni in ruolo rivendicano il riconoscimento del pieno punteggio di anzianità di servizio per tutto il loro servizio pre-ruolo, che anche quest’anno si vedono puntualmente dimezzato in barba alla direttiva europea 1999/70.